sexta-feira, 1 de julho de 2022

LA GIOIA CHE NON DELUDE

 

Riflessione a partire di Is 66, 10-14; Gal 6, 14-18; Lc 10, 1-12


 

    Quello che riassume il messaggio di questi testi è la certezza che non solo stiamo in missione ma che siamo anche una missione su questa terra. Non è merito nostro ma pura gratuità di colui che ci ha chiamati ed inviati per la salvezza nostra e altrui. Essere missionario è essere chiamato alla gioia, condizionata dalla fedeltà al Dio fedele. “Egli vuole plasmare in noi il cuore del suo Figlio” e per questo ci vuole disponibili e generosi.

    Usando un linguaggio materno, Isaia fa un invito alla gioia a motivo di quello che il Signore sta per compiere nella vita del suo popolo. La presenza costante di Dio in mezzo al suo popolo fa superare i momenti di disagio e delusione aprendo spazi alla speranza e alla gioia anche se tutto sembra perduto. Come a questo popolo, anche a noi viene chiesta una instancabile fiducia nell’azione del Signore, perché è sempre fedele Colui che promette.

    La seconda lettura presenta una grande polemica: alcuni giudeo-cristiani, che rimanevano ancora legati alle loro tradizioni giudaiche, volevano costringere i pagani ad essere circoncisi come loro. Per questo motivo Paolo dice che se giudichiamo in questo modo, rendiamo vana la croce di Cristo. Tramite la croce, Cristo ha vinto la morte e anche il mondo vecchio è stato crocifisso! Siamo creature nuove. Tocca a noi vivere da risorti, abbandonando i vecchi atteggiamenti, la vecchia mentalità, tutto ciò che contraddice la nostra nuova condizione.

Il brano del Vangelo ci presenta Gesù che oltre gli apostoli chiama ed invia altre 72 persone ad evangelizzare. Questo numero, nell’Antico Testamento era simbolo della totalità delle nazioni e indica l’universalità della missione, cioè, l’evangelizzazione non è compito solo dei preti e suore ma coinvolge tutti. Gesù li manda a due a due mettendo al centro della loro attività l’esperienza comunitaria, la relazione. La missione è un impegno che non si assume da soli. Abbiamo bisogno del supporto comunitario per l’esito della nostra missione.

I discepoli devono essere persone di preghiera come esperienza fondante, cioè, come base che mantiene l’edificio della loro esistenza. Devono essere consapevoli che la messe ha il suo padrone, un Padre buono e generoso, che sa dei bisogni dei suoi figli prima che gli chiedano qualcosa. Usando la parola “messe” Gesù accenna all’importanza di valorizzare ogni luogo dove si arriva poiché ci ha preceduto lo Spirito Santo con i semi della Parola eterna. Quindi, non si esce da un giardino verso un deserto, ma da un giardino all’altro. “Messe vuol dire terreno fertile”.

Dio non ha bisogno della nostra preghiera; siamo noi che abbiamo bisogno di pregare poiché quando preghiamo cresciamo nella consapevolezza di essere figli e discepoli molto amati; diventiamo quello che già siamo per vocazione. I discepoli sono come agnelli in mezzo a lupi, perché sono chiamati a incarnare la logica del vero Agnello, Colui che toglie i peccati del mondo perché è in grado di donare la propria vita per i suoi amici. È in questa logica – dell’amore, del dono di sé - che la loro vita trova il suo vero senso. Missione è darsi, è donarsi.

Tra le preoccupazioni di Gesù c’è anche il problema delle cose materiali di cui ci fidiamo tanto per la realizzazione di alcune attività. Gesù ci chiede prudenza, sobrietà, distacco nei confronti di queste false sicurezze che a volte fanno ombra alla Provvidenza, cioè, tendono a occupare nella nostra vita il posto che appartiene a Dio. L’abbandono fiducioso alla Provvidenza deve essere il distintivo del vero discepolo-missionario e diventa un annuncio profetico dell’amore e della cura di Dio per i suoi figli. Vivere in sovrabbondanza mette a rischio la credibilità del messaggio che portiamo essendo ostacolo alla fede altrui.

 I discepoli tornano pieni di gioia perché hanno avuto successo nella missione, specie nei confronti dei demoni che si sono sottomessi a loro a motivo del nome di Gesù. Ma il maestro chiede attenzione riguardo questo tipo di gioia che ci può illudere. La vera gioia non viene dal successo per un’opera fatta o per il diventare famosi e popolari in questo mondo. La gloria di questo mondo è sempre passeggera. La vera gioia consiste nell’essere accolti dal Padre come figli amati e partecipare alla missione del Figlio, condividendo la sua stessa vita. Che possiamo essere conformati alla vita di colui che siamo chiamati ad annunciare con la vita ancor prima che con le parole.  


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

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