segunda-feira, 22 de fevereiro de 2021

LE TENTAZIONI DEL QUOTIDIANO

 

Riflessione su Gen 9: 8-15; 1Pt 3: 18-22; Mc 1: 12-15




 

        Abbiamo iniziato il tempo di Quaresima, un periodo penitenziale che ci invita a convertirci al Vangelo. La sua durata di quaranta giorni ci riporta ai quaranta giorni che Mosè trascorse sul monte Sinai per ricevere i dieci comandamenti; all’esperienza dei quarant’anni del Popolo di Israele nel deserto; ai quaranta giorni di Elia camminando verso il monte Horeb per incontrare Dio e ricevere istruzioni per la sua missione; e, soprattutto all’esperienza dei quaranta giorni di Gesù nel deserto prima di iniziare la sua missione. Questo numero è simbolico e vuole significare un lungo periodo, oppure tutta la vita.

    Come periodo di preparazione per la celebrazione del mistero della Pasqua di resurrezione, la quaresima ci propone un’esperienza di deserto. Per molti personaggi biblici, il deserto è sempre stato un posto speciale per l’esperienza di Dio, esperienza di purificazione e decisione. Essi cercavano questo posto specialmente prima di eventi importanti nella loro vita in modo che potessero svolgere il loro compito con entusiasmo e credibilità. Così è la Quaresima come preparazione per l’evento più importante della nostra fede, cioè il mistero pasquale di Cristo.

      Il brano della Genesi ci invita a riflettere sulla fedeltà di Dio espressa attraverso le sue parole riguardo l’alleanza. La parabola del diluvio ci parla del desiderio di Dio di rinnovare l’intera umanità, costituendo con essa e tutto il creato un’alleanza d’amore. Al centro di questa esperienza non c’è la distruzione ma il rinnovamento, la riconciliazione, la fedeltà simbolizzate dall’arcobaleno. Nella sua lettera, Pietro parla circa l’impatto del diluvio per la creazione come figura della nuova vita che riceviamo da Cristo mediante il Battesimo: siamo stati rigenerati.

        Nel vangelo, Gesù è sospinto nel deserto dalla potenza dello Spirito Santo. Egli accetta quest’esperienza per confrontarsi con il piano di Dio per conformarsi ad esso. Il deserto è luogo di silenzio, di solitudine, di armonia, ma anche di prova, di tentazione. Il brano parla anche della presenza delle bestie selvatiche e degli angeli che servono Gesù. E’ un riferimento alla persona e identità di Colui nel quale tutta la creazione diventa nuova e armoniosa. In Gesù tutta la creazione riprende il suo splendore e bellezza secondo il sogno di Dio.

     Diversamente dagli altri evangelisti, in cui le tentazioni vengono messe alla fine della esperienza del deserto, Marco afferma che Gesù è stato tentato durante tutti i quaranta giorni. L’evangelista non descrive il tipo di tentazione perché la sua intenzione è dire che Gesù fu tentato durante tutta la sua vita terrena. L’obiettivo del tentatore è stato quello di convincere Gesù ad agire in un modo diverso da ciò che Dio aveva pensato, negando la sua identità di Figlio di Dio e di Messia servo. Da questa esperienza Gesù uscirà vittorioso poiché  convinto di non essere  solo e di seguire la via giusta per fare la volontà del Padre.

       Secondo quello che dicono anche Matteo e Luca, Satana ha tentato di persuadere Gesù a usare i suoi poteri per beneficiare se stesso; a usare l’autorità e l’imposizione invece dell’amore, della compassione e del servizio; a cercare lode per se stesso invece di annunciare Dio e il suo Regno. Sembrano tre tentazioni ma si tratta di tutta una realtà che si oppone al progetto di Dio e alla missione di Gesù. Tuttavia Egli fu in grado di vincere tutte queste tentazioni perché guidato dallo Spirito Santo. La consapevolezza della sua identità divina è la ragione della sua fedeltà. Quindi non c’è nulla che possa distoglierlo dallo scopo della sua missione.

      Le tentazioni che Gesù ha affrontato non gli hanno impedito di fare la volontà di Dio. Come è successo a lui, le trappole del nemico di Dio sono presenti anche nella nostra vita, nel nostro quotidiano e hanno lo scopo di rubare la nostra speranza e il nostro entusiasmo. Ci fanno rinunciare ai nostri impegni con la fraternità; ci fanno preferire l’uso della forza anziché il rispetto della libertà altrui; ci fanno parlare di più invece che ascoltare o preferire la logica della comodità che la logica del dono. Come Gesù non era da solo, anche noi non siamo mai soli in questa lotta.

       Siamo chiamati a fidarci di Gesù e ad accettare la proposta della sua parola che ci invita alla conversione. Le tentazioni saranno sempre presenti nella nostra vita, ma secondo Sant’Agostino, “Se in Cristo noi siamo stati tentati, in lui vinciamo satana. Cristo potrebbe gettare il tentatore lontano da sé; ma se non fosse stato tentato non ci insegnerebbe come vincere le tentazioni”. L’esempio di Gesù di fedeltà a Dio è un invito per la nostra fedeltà. Chiunque segua le sue orme e sia aperto all’aiuto del suo Spirito, è in grado di fare la volontà di Dio così come lui stesso ha fatto. La sua vittoria ravviva la nostra speranza di riuscita nella lotta contro tutto ciò che ci allontana dalla proposta divina e dalla nostra vera identità.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

domingo, 7 de fevereiro de 2021

LIBRES PARA AMAR Y SERVIR

 

Reflexión a partir de Job 7. 1-4, 6-7; 1Cor 9, 16-19. 22-23; Mc 1, 29-39




 

Vivir es la oportunidad que nos es dada para amar y servir, pero se vuelve una ilusión cuando perdemos el tiempo que tenemos viviendo para nosotros mismos, buscando satisfacción y realización personal en las cosas que pasan. Esta es una enfermedad de la cual el Señor nos quiere curar. Hoy Él pide para entrar en la casa de nuestra vida y solamente dentro de la casa, o sea, de una relación de intimidad nos puede curar y hacernos levantar para servirnos con amor y generosidad. No existe otra manera de hacer de la vida una oportunidad plena para ser vivida.

La historia de Job nos enseña a ir más allá de la experiencia que vivimos en esta tierra. Él era un hombre que vivía en la abundancia, pero su corazón estaba preso de lo que poseía. Después de perder todo lo que era material, los familiares y hasta a sus propios amigos, él pasa a considerar la vida como un fardo, debido al sufrimiento que lo afectó. Sin embargo, mantiene la fe en Dios, razón de su esperanza.

Job está consciente de la brevedad de la vida y por eso busca vivirla de acuerdo con la voluntad de Dios. En su llamado “recuerde que mi vida es un soplo”, él exprime la fragilidad de la condición humana pero al mismo tiempo hace una importante alusión a la alianza y fidelidad divinas, y por eso él sabe que no quedará defraudado en el momento definitivo de su existencia. Esa experiencia de Job es una invitación para que también nosotros hagamos de nuestras vidas una entrega constante en las manos de aquel para el cual vivimos, nos movemos y existimos.

De acuerdo con el testimonio de San Pablo, aquellos que evangelizan no lo hacen por iniciativa propia. Evangelizar es una misión que se nos confía. Cristo nos dio el Evangelio con total gratuidad, diciendo: “Recibisteis gratuitamente, den también gratuitamente”. Para tener parte con el Evangelio como el Señor quiere la persona debe invertir todas sus energías con total gratuidad y con conciencia de ser un siervo inútil.

Aquellos que evangelizan deben servir al Evangelio, no servirse de el. Estamos llamados a servir a los hermanos y hermanas, no a servirnos de ellos. Protagonista no es la persona que lleva el contenido, sino el contenido que lleva la persona. Aquellos que sirven no son más importantes que los que son servidos. En este sentido, debemos tener cuidado porque la búsqueda por privilegios, recompensa y elogios pone en riesgo la credibilidad del contenido que llevamos y el propósito de nuestro servicio. Para superar esa tendencia tenemos que fijar nuestra mirada sobre Jesús que se ofrece totalmente para que pudiéramos tener vida.

El Evangelio comienza diciendo que Jesús después de dejar la sinagoga entró en la casa de Pedro. Es importante enfatizar ese pasaje porque cuando Jesús visitaba la sinagoga no iba a rezar, sino a enseñar. En aquel lugar, él siempre enfrentó oposiciones a sus pensamientos, porque su propósito era liberar a las personas, no usarlas como sus líderes lo hacían. El hombre endemoniado que él encontró dentro de la sinagoga es una señal concreta de esa oposición, pero Jesús no se deja vencer.

En ves de eso, cuando Jesús entra en “la casa”, la situación cambia totalmente. La casa nos transporta a la experiencia familiar, a la intimidad de las relaciones. Al contrario de la sinagoga, donde Jesús encontraba resistencia, en la casas el encuentra acogida. La acogida ofrecida a Jesús y a sus enseñanzas en el interior de la casa permite que la salvación ocurra. Recordemos el episodio de Zaqueo: “hoy entró la salvación en esta casa”. Por lo tanto, es apenas a través de una relación de intimidad que Jesús continúa tocando a cada persona con la abundancia de sus dones salvíficos.

Cuando Jesús llega a la casa, los discípulos inmediatamente lo informan sobre la enfermedad de la suegra de Pedro. Esa actitud de los discípulos indica la mediación de la comunidad que se dirige con confianza a aquel que tiene el poder de liberarnos de todo mal. Como Él es el primer interesado en hacerlo, inmediatamente se aproxima, la toma por la mano y la levanta. La proximidad de Reino de Dios no es algo teórico para relatar. Es un tomar las manos de la humanidad sufridora, “herida en el cuerpo y en el espíritu”, paralizada e impedida de servir y vivir sus relaciones plenamente.

A continuación las personas son atraídas y se reúnen al frente de la casa, porque saben que dentro de esa “casa”, o sea, en el centro de ella está Jesús que movido por la compasión garantiza una nueva vida para todos. Así, con palabras y gestos concretos, Jesús revela el verdadero rostro de Dios que finalmente visita a su pueblo y participa de lo cotidiano, no para dejarlo de la misma manera, sino para llenarlo con significado. Aunque la fama y la popularidad de Jesús crezcan, ella no lo impiden de escapar solo para encontrarse con el Padre, la fuente que lo vuelve capaz de donarse a los otros. Jesús es la síntesis perfecta entre ser todo de Dios y todo para el pueblo.

Jesús es libre para ir a otros lugares. Él no deja que nadie lo retenga. Está consciente de que es “patrimonio universal”. Él confiaba en el Padre, las personas le confiaban sus enfermos, y la vida retomaba su significado y vigor. Con la experiencia de Jesús aprendemos que debemos rezar par discernir y confiar para decidir. Sólo la oración nos vuelve humanos porque nos hace sensibles a las necesidades de los otros. Cuando más nos aproximamos de Dios, más él nos abre a los otros. Sólo la oración nos hace conscientes de nuestras miserias y abiertos a la experiencia de la misericordia divina.

Entonces, vamos al encuentro de los demás, intentemos liberarnos de la fiebre de sentirnos superiores o mejores que ellos; vamos como personas que fueron curadas, perdonadas, “misericordiadas”. La verdadera oración nos abre para la eternidad de Dios, volviéndonos todo para todos, sin dejar preso a nadie. Aquello que somos en la relación con los otros depende mucho de la calidad de nuestra oración, o sea, de la intensidad de nuestra relación con Dios. La oración es una experiencia fundante, sin ella el edificio de nuestra existencia se derrumba. Es por eso que San Juan Calabria decía: “Ustedes pueden dejar todo, menos la oración”.


Fr Ndega

Traducion: Nomade de Dios

LIBERI PER AMARE E SERVIRE


Riflessione a partire da Gb 7,1-4.6-7; 1Cor 9,16-19.22-23; Mc 1,29-39




 

Il vivere è l’opportunità che ci è data per amare e servire, ma diventa un’illusione quando sprechiamo il tempo che abbiamo vivendo per noi stessi, cercando soddisfazione e realizzazione personale nelle cose che passano. Questa è una malattia da cui il Signore vuole guarirci. Oggi Egli viene alla casa della nostra vita e solo all’interno della casa, cioè, di una relazione ci guarisce e ci fa rialzare per servire con generosità e compassione. Non ha un’altra via per fare della vita l’opportunità piena per essere vissuta.

La storia di Giobbe ci insegna ad andare oltre l’esperienza che viviamo su questa terra. Egli era un uomo che viveva nell’abbondanza ma il suo cuore non era preso da quello che possedeva. Dopo che ha perso tutto ciò che era materiale, i familiari e anche i suoi amici, passa a considerare “la vita un peso” a causa della sofferenza che lo ha colpito. Tuttavia mantiene la fede in Dio, ragione della sua speranza.

Giobbe è consapevole della brevità della vita e per questo cerca di viverla secondo la volontà di Dio. Nella sua supplica “Ricordati che un soffio è la mia vita” riconosce la brevità e la fragilità della condizione umana e porta una sottointesa allusione all’alleanza e alla fedeltà divine e per questo sa che non sarà deluso al momento definitivo della sua esistenza. Questa esperienza di Giobbe è un invito anche per noi a fare della nostra vita una costante consegna nelle mani di Colui per cui viviamo, ci moviamo e siamo.

Secondo la testimonianza di San Paolo, chi evangelizza non lo fa per propria iniziativa. Evangelizzare è una missione che ci è stata affidata. Cristo ci ha donato il vangelo nella totale gratuità e ha detto: “avete ricevuto nella gratuità; date nella gratuità”. Per fare parte dell’opera del vangelo come vuole il Signore, la persona è chiamata impiegare tutte le sue energie nella totale gratuità con la consapevolezza di essere un/a servo/a inutile.

Chi evangelizza deve servire al vangelo non servirsi di esso; servire i fratelli e non servirsi di essi. Il protagonista non è la persona che porta il contenuto ma il contenuto che la persona porta. Chi serve non è più o meno importante di chi è servito. A questione non è essere di più o di meno, ma fare quello che ci tocca senza guardare il merito di nessuno. In questo senso, dobbiamo stare attenti perché la ricerca di privilegi, ricompensa e apprezzamento mette a rischio la credibilità del contenuto che portiamo e della finalità del nostro servizio. Per vincere questa tendenza dobbiamo fissare lo sguardo su Gesù che ha dato tutto se stesso affinché avessimo la vita.

Il brano del vangelo inizia dicendo che Gesù dopo aver lasciato la sinagoga entrò in “casa” di Pietro. È importante sottolineare questo passaggio perché quando Gesù visitava la sinagoga non andava a pregare ma a insegnare. In quel luogo Egli sempre affrontava opposizione ai suoi insegnamenti, perché il suo scopo era liberare la gente non servirsi di essa come facevano i suoi capi. Per questo è riconosciuto come uno che parla con autorità. La persona indemoniata che trovò all’interno della sinagoga è un segno concreto di questa opposizione, ma Gesù non si lascia vincere.

Invece, quando Gesù va alla “casa”, la situazione cambia totalmente. La casa ci riporta all’esperienza familiare, all’intimità delle relazioni. Diversamente che nella sinagoga dove Gesù trovava resistenza, nella casa Lui trova accoglienza. L’accoglienza offerta a Gesù e ai suoi insegnamenti all’interno della casa permette che la salvezza avvenga. Ricordiamo l’episodio di Zaccheo: “oggi la salvezza è entrata in questa casa”. Quindi soltanto attraverso una relazione di intimità, Gesù continua a toccare ogni persona con l’abbondanza dei suoi doni salvifici.

Quando Gesù arriva alla casa di Pietro subito i discepoli lo informano riguardo la malattia di quella donna. Questo atteggiamento dei discepoli indica la mediazione della comunità che sa rivolgersi con fiducia a Colui che ha il potere di liberarci da ogni male. Siccome Egli è il primo interessato a farlo, subito si avvicina, la prende per mano e la rialza. La vicinanza del Regno di Dio non è qualcosa di teorico da raccontare. Si tratta di un prendere in mano l’umanità sofferente, “piagata nel corpo e nello spirito”, paralizzata e impedita di servire e vivere in pienezza i suoi rapporti.

In seguito, la gente è attratta e si raduna davanti a casa perché sa che dentro la “casa”, cioè, al centro di essa c’è Gesù che mosso dalla compassione assicura vita nuova a tutti. Così, con parole e gesti concreti, Gesù rivela il vero volto di Dio che finalmente visita il suo popolo e partecipa alla sua quotidianità non per lasciarla allo stesso modo ma per riempirla di senso. Anche se la fama e popolarità di Gesù crescono, esse non gli impediscono di uscire per stare da solo con il Padre, la sorgente che lo rende sempre capace di donarsi agli altri. Gesù è la perfetta sintesi tra l’essere tutto di Dio e tutto per il popolo, che appartiene a Dio stesso.

Gesù è libero per andare altrove. Non si lascia prendere da nessuno. È consapevole di essere “patrimonio universale”. Egli si affida al Padre, la gente affida a Lui i suoi malati e la vita riprende il suo senso e vigore. Dall’esperienza di Gesù impariamo che bisogna pregare per discernere e a affidarsi per decidere. Solo la preghiera ci fa veramente umani perché ci rende sensibili ai bisogni degli altri. Più ci avviciniamo a Dio più Egli ci apre agli altri. Solo la preghiera ci fa consapevoli delle nostre miserie e aperti alla esperienza della misericordia divina.

Quindi, quando andiamo incontro agli altri, cerchiamo di liberarci dalla febbre di sentirsi superiori o migliori di loro; andiamo come persone che sono state guarite, perdonate, toccate dalla misericordia. La preghiera vera ci apre alla eternità di Dio rendendoci tutto per tutti senza lasciarsi prendere da nessuno. Quello che siamo nel rapporto con gli altri dipende molto dalla qualità della nostra preghiera, cioè dalla intensità del nostro rapporto con Dio. La preghiera è esperienza fondante, senza di essa l’edificio della nostra esistenza crolla. Per questo diceva San Giovanni Calabria: “Potete lasciare tutto, eccetto la preghiera”.   


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

 


sábado, 6 de fevereiro de 2021

LIVRES PARA AMAR E SERVIR

 

Reflexão a partir de Jó 7.1-4.6-7; 1Cor 9.16-19.22-23; Mc 1:29-39




      Viver é a oportunidade que nos é dada para amar e servir, mas se torna uma ilusão quando perdemos o tempo que temos vivendo para nós mesmos, buscando satisfação e realização pessoal nas coisas que passam. Esta é uma doença da qual o Senhor quer nos curar. Hoje Ele pede para entrar na casa da nossa vida e somente dentro da casa, ou seja, de uma relação de intimidade pode nos curar e nos fazer levantar para servirmos com amor e generosidade. Não existe uma outra maneira de fazer da vida uma oportunidade plena de ser vivida.

        A história de Jó nos ensina a ir além da experiência que vivemos nesta terra. Ele era um homem que vivia em abundância, mas seu coração não era preso àquilo que possuía. Depois de perder tudo o que era material, os familiares e até mesmo seus próprios amigos, ele passa a considerar a "vida um fardo" devido ao sofrimento que o afetou. No entanto, mantém a fé em Deus, razão de sua esperança.

    Jó está ciente a respeito da brevidade da vida e por isso busca vivê-la de acordo com a vontade de Deus. Em seu apelo "Lembre-se que a minha vida é um sopro" ele exprime a fragilidade da condição humana mas ao mesmo tempo faz uma importante alusão à aliança e fidelidade divinas e por isso ele sabe que não ficará desiludido no momento definitivo de sua existência. Essa experiência de Jó é um convite para que também nós façamos de nossas vidas um entrega constante nas mãos daquele para o qual vivemos, nos movemos e somos.

     De acordo com o testemunho de São Paulo, aqueles que evangelizam não o fazem por iniciativa própria. Evangelizar é uma missão confiada a nós. Cristo nos deu o evangelho em total gratuidade, dizendo: “Recebestes de graça; de graça, dai também vós. Para ter parte com o evangelho como o Senhor quer, a pessoa deve investir todas as suas energias em total gratuidade e com a consciência de ser é um/a servo/a inútil.

    Aqueles que evangelizam devem servir ao evangelho, não servir-se dele. Somos chamados a servir os irmãos e irmãs e não servirmo-nos deles. Protagonista não é a pessoa leva o conteúdo, mas o conteúdo que a pessoa leva. Aqueles que servem não são mais importantes do que aqueles que são servidos. Nesse sentido, devemos ter cuidado porque a busca por privilégios, recompensa e elogios coloca em risco a credibilidade do conteúdo que levamos e o propósito do nosso serviço. Para superar essa tendência temos que fixar nosso olhar sobre Jesus que se oferece totalmente para que pudéssemos ter a vida.

      O evangelho começa dizendo que Jesus depois de deixar a sinagoga e entrou na "casa" de Pedro. É importante enfatizar essa passagem porque quando Jesus visitava a sinagoga ele não ia rezar, mas ensinar. Naquele lugar, ele sempre enfrentou oposição aos seus ensinamentos, porque seu propósito era libertar as pessoas, não usá-las como seus líderes faziam. O homem endemoninhado que ele encontrou dentro da sinagoga é um sinal concreto dessa oposição, mas Jesus não se deixa vencer.

      Em vez disso, quando Jesus entra na "casa", a situação muda totalmente. A casa nos transporta à experiência familiar, à intimidade das relações. Ao contrário da sinagoga onde Jesus encontrava resistência, na casa ele encontra acolhida. A acolhida oferecida a Jesus e a seus ensinamentos no interior da casa permite que a salvação ocorra. Lembremos o episódio de Zaqueu: "hoje a salvação entrou nesta casa". Portanto, é apenas através de uma relação de intimidade que Jesus continua a tocar cada pessoa com a abundância de seus dons salvíficos.

        Quando Jesus chega à casa, os discípulos imediatamente o informam sobre a doença da sogra de Pedro. Essa atitude dos discípulos indica a mediação da comunidade que se dirige com confiança àquele tem o poder de nos libertar de todo o mal. Como Ele é o primeiro interessado em fazê-lo, imediatamente se aproxima, a pega pela mão e a levanta. A proximidade do Reino de Deus não é algo teórico para relatar. É um tomar nas mãos a humanidade sofredora, "ferida no corpo e no espírito", paralisada e impedida de servir e viver suas relações plenamente.

      Em continuação, as pessoas são atraídas e se reúnem na frente da casa porque sabem que dentro da "casa", ou seja, no centro dela está Jesus que movido pela compaixão garante uma nova vida para todos. Assim, com palavras e gestos concretos, Jesus revela o verdadeiro rosto de Deus que finalmente visita seu povo e participa de seu cotidiano não para deixá-lo da mesma maneira, mas para enchê-lo com significado. Embora a fama e a popularidade de Jesus cresçam, elas não o impedem de escapar sozinho para ir se encontrar com o Pai, a fonte que o torna capaz de se doar aos outros. Jesus é a síntese perfeita entre ser todo de Deus e todo para o povo.

      Jesus é livre para ir para outros lugares. Ele não deixa que ninguém o retenha. Está ciente de que é "patrimônio universal". Ele confiava no Pai, as pessoas confiavam-lhe os seus doentes, e a vida retomava seu significado e vigor. Com a experiência de Jesus aprendemos que devemos rezar para discernir e confiar para decidir. Só a oração nos torna humanos porque nos torna sensíveis às necessidades dos outros. Quanto mais nos aproximamos de Deus, mais ele nos abre aos outros. Só a oração nos faz conscientes de nossas misérias e abertos à experiência da misericórdia divina.

      Então, quando vamos ao encontro dos demais, tentemos nos libertar da febre de nos sentirmos superiores ou melhores do que eles; vamos como pessoas que foram curadas, perdoadas, "misericordiadas". A verdadeira oração nos abre para a eternidade de Deus tornando-nos tudo para todos nós sem nos deixar presos a ninguém. Aquilo que somos na relação com os outros depende muito da qualidade da nossa oração, ou seja, da intensidade da nossa relação com Deus. A oração é uma experiência fundante, sem ela o edifício da nossa existência desaba. É por isso que São João Calábria dizia: "Vocês podem deixar tudo, menos a oração".


Fr Ndega