sexta-feira, 14 de outubro de 2022

LA PREGHIERA INSTANCABILE

 

Riflessione a partire da Lc 18, 1-8




                                       

    La persona di Gesù è il “luogo” privilegiato dell’incontro tra Dio e l’essere umano. Egli spesso cerca di stare con il Padre in un dialogo intimo e profondo dando alla gente l’esempio di vera preghiera rivolta a colui che sa tutto ed è sempre attento alle suppliche dei suoi figli. Quando diciamo: “Padre, ascoltaci”, riconosciamo prima di tutto la sua paternità. Questo ci invita a rinnovare la fede nella sua provvidenza con la consapevolezza di aver ricevuto molto.  Gesù insegnava ai suoi discepoli a fare come Egli stesso faceva, cioè a pregare sempre, senza stancarsi mai. Per aiutarli a capire bene questa realtà racconta loro una parabola.

    Un giudice per molto tempo si rifiutò di ascoltare la richiesta di una vedova contro il suo avversario ma alla fine decise di fare giustizia nei suoi confronti a causa della sua insistenza. La vedova era sicura che il giudice fosse in grado di difenderla e per questo era insistente nella sua richiesta, presentandoci le condizioni fondamentali per raggiungere il risultato in qualsiasi attività che facciamo, specialmente riguardante la preghiera, vale a dire, fiducia e perseveranza.

     C'è un desiderio in noi che ci ispira a Dio. Attraverso questo desiderio riconosciamo che il senso della vita è quello di incontrarlo, di essere nutriti dalla sua vita e di essere guidati da Lui poiché senza di lui non possiamo fare nulla. Se Dio sembra in ritardo riguardo le nostre suppliche è perché il suo tempo è diverso dal nostro ma lui sa cosa fare e quando fare. Secondo il profeta Isaia (55, 6.8), “dobbiamo cercare Dio perché si fa trovare, ed invocarlo poiché è vicino”. La sfida per noi è quella di pregare Dio e permettere che agisca secondo il suo tempo.

    Pregare è intimità, è sentire Dio molto vicino a noi, parlando alle nostre orecchie ogni giorno e ogni tempo. Pregare è un dialogo con Lui, per cui usiamo un tempo più di qualità che di quantità. Più rimaniamo con lui più siamo conformati a lui. Più andiamo da lui più lui ci invia agli altri. Quando preghiamo veramente sentiamo che molte cose cominciano a cambiare in noi e nella realtà che ci circonda. Anche se questa realtà continua con le stesse difficoltà e sfide, il nostro sguardo e il nostro atteggiamento saranno diversi poiché non siamo motivati dalle nostre debolezze ma dalla forza di Colui che sa cambiare la realtà cattiva perché diventi buona e la realtà di morte perché sorga vita.

    Oltre a parlare della necessità di pregare, Gesù ci ha affidato la sua preghiera, quella che porta il contenuto della sua intimità con il Padre, vale a dire il Padre nostro. Questa preghiera traduce i sentimenti dei figli che riconoscono la grandezza e la vicinanza del Padre e quindi, li motiva ad avere un rapporto filiale con lui. Per questi figli, la preghiera non è un obbligo, ma una necessità che proviene dal loro cuore. Per loro la preghiera è un rapporto d’amore perché sanno di essere amati. Amano fare come il loro maestro che pregava cuore a cuore. Questo è lo scopo della preghiera, vale a dire: “sintonizzare il nostro cuore con il cuore di Dio”.

    Forse ci manca questo giusto atteggiamento poiché ci rivolgiamo a un Padre buono che conosce i nostri bisogni. Lui è molto sensibile a ciò che accade a noi ed è sempre pronto a farci del bene perché è questo il suo modo d’agire. Da parte nostra ci è chiesta “più fede”, cioè non mancare di fede mai, abbandonandoci fiduciosamente nelle sue mani come ha fatto Gesù consapevole di stare facendo la cosa giusta. “La preghiera è la prima opera della fede. Non si può credere senza aprirsi a un dialogo con il Padre”. Avere fede vuol dire avere dialogo con Colui che ci ama.

    Nella preghiera che ci ha insegnato, preghiamo non solo per i nostri bisogni, ma per i bisogni di tutti. Se è così, quando diciamo “Padre Nostro” è perché crediamo di essere fratelli e sorelle di molti altri. Dio non fa discriminazione di persone e non dimentica nessuno dei suoi figli. Non gli piace quando nelle nostre preghiere non pensiamo ad altri fratelli e sorelle. Se non riceviamo quello che chiediamo è perché chiediamo male. Ci chiede di essere insistenti non perché sia sordo ma perché gli piace sentirci. Però anche se non chiediamo, Dio ci dona sempre quello di cui abbiamo bisogno. Forse ci mancano ancora l’atteggiamento e lo scopo giusti richiesti da Gesù quando ha insegnato ai suoi discepoli a pregare. L’esempio della vedova ci motivi a ricominciare in modo giusto.

 

Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

KUSALI KWA UVUMILIVU

 

Kutafakari kuhusu Lk 18, 1-8




                                       

    Uwepo wa Yesu ni mahali maalum pa mkutano kati ya Mungu na binadamu. Mara nyingi yeye hukutana na Baba yake kwa mazungumzo ya ndani akiwapa watu mfano wa sala ya kweli na yule ambaye anajua kila kitu na ndiye makini daima kwa maombi ya wanao. Tunapoimba: Baba, sikia wanao, sikia sauti zao, sikia dunia nzima”, tunataka kumaanisha kwamba Mungu ni Baba na kutarajia tuweze kumhutubia sala zetu kwa imani kama wenye uhakika kwamba tumepokea sana. Basi, Yesu aliwafundisha wafuasi wake wafanye kama Yeye alivyo, yaani, kusali daima bila kukata tamaa kamwe. Ili wafuasi wake wafahamu vizuri mahitaji haya alisimulia mfano mmoja kulingana na ufundishaji wake wa ajabu.

    Hakimu mmoja wakati wa muda mrefu alikataa kumsikiliza ombi la mama mjane dhidi ya adui yake na hatimaye alimsikiliza kwa sababu ya kusisitiza kwake. Mfano wa mama huyo ni lazima kuwa rejeo kwa maombi yetu. Mama huyo alikuwa na uhakika kwamba yule hakimu akawa na uwezo wa kumtetea kwa hivyo alikuwa na uvumilivu kuhusu ombi lake. Mama huyo anatujulisha kipimo ili kufikia mafanikio katika mpango wowote hasa kuhusu uzoefu wa sala.

    Kuna hamu falani ndani yetu ambayo inatuvutia kwa Mungu. Kupitia hamu hii tunatambua kwamba maana ya maisha ni kukutana naye, kulishwa na uhai wake na kuongozwa naye kwa sababu bila yeye hatuwezi kufanya chochote. Ikiwa Mungu anachelewa kuhusu dua zetu ni kwa sababu wakati wake ni tofauti na wetu. Kulingana na kifungu cha nabii Isaya (55, 6.8), tunaalikwa kumtafuta Mungu daima kwa sababu anapatikana naye yupo karibu. Changamoto kwetu ni kusali na kusubiri kulingana na wakati na njia ya Mungu.

    Basi, kusali ni uzoefu wa ndani; ni kumhisi Mungu karibu sana nasi, kwa kuongea kwa masikio yetu kila siku na siku zote. Kusali ni mazungumzo na Mungu, kwa kutumia muda wa ubora kuliko wa kiasi. Tunaposali kwa kweli tunahisi kwamba vitu vingi huanza kubadilisha ndani yetu nasi tunapata mtazamo tofauti kuhusu hali kandokando yetu. Ingawa hali hii inaendelea kwa ugumu wake na changamoto zake, mtazamo na tabia yetu itakuwa tofauti kwa sababu tunaimarishwa sio na udhaifu wetu bali na nguvu ya yule ambaye ana mazoea ya kubadilisha hali mbaya ili iwe hali mzuri na hali ya mauti ili iwe ya uzima.

    Pamoja na shauri kuhusu mahitaji ya kusali daima Yesu alitupa sala yake mwenyewe, sala iliye na yaliyomo ya mazungumzo yake na Baba, yaani Baba Yetu. Sala hii tafsiri hisia za wana ambao wanatambua ukuu na ukaribu wa Baba yao na kwa hivyo wana uhusiano wa ndani naye. Kwao sala si sharti, bali mahitaji ambayo yanatokana na ndani yao. Kwao sala ni uhusiano wa upendo kwa sababu wanapata kujiona wapendwa. Wanapenda kufanya kama mwalimu wao ambaye alisali kutokana na moyo kwa moyo.

    Labda tunahitaji tabia hii kamili kwa sababu tunamwomba Baba mmoja aliye mwema na kujua mahitaji yetu. Yeye ana macho na masikio yenye hisia kuhusu kile kinachotokea nasi na yupo tayari daima ya kututendea mema kwa sababu pia hiyo ni njia yake. Kwa upande wetu tuwe na imani zaidi na kujisalimisha kabisa mikononi mwake kama Mwanawe wa pekee. Katika sala aliyotufundisha tunasali si kwa mahitaji yetu tu, bali kwa mahitaji ya wote. Hivyo, ikiwa tunasema “Baba Yetu” ni kwa sababu tunasadiki kwamba sisi ni ndugu wa wengine wengi.

    Mungu hawabagui watu wala kusahau yeyote wa wana wake. Hapendezwi na sala ambayo haifikirii ndugu wengine. Mungu hatupatii daima vitu ambavyo tunamwomba, bali anatupatia daima vitu ambavyo tunahitaji. Ikiwa mara nyingi hatupokei vitu ambavyo tunamwomba ni kwa sababu hatuombi ipasavyo. Labda tunashindwa kuwa na tabia na nia kamili zilizodaiwa na Yesu wakati aliwafundisha wafuasi wake kusali... Mfano wa mama mjane uwe utuimarishe kuanza tena kusali kwa njia kamili.


Fr Ndega

sábado, 8 de outubro de 2022

LA PAROLA ED IL RINGRAZIAMENTO

 

Riflessione a partire di 2Re 5, 14-17; 2Tm 2, 8-13; Lc 17, 11-19




 

    La centralità di questa riflessione punta su due cose: la forza liberatrice della Parola e l’invito al ringraziamento. Secondo il primo testo, tramite la parola del profeta, lo straniero Naamàn fa l’esperienza dell’amore e della misericordia di Dio e ringrazia per il dono ricevuto. La testimonianza dell’apostolo Paolo ci fa concludere che la parola di Dio è libera e ci rende liberi. Il nostro compito è quello di annunciarla libera da ogni mentalità che riduce la sua forza profetica.

    Alcuni giorni fa abbiamo visto che Gesù aveva preso la ferma decisione di andare a Gerusalemme per compiere la sua opera di salvezza. Lungo il cammino, passando di villaggio in villaggio, annunciava la buona notizia del Regno di Dio. Essendo vicino a uno di questi villaggi gli vennero incontro dieci lebbrosi gridando: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi”. E Gesù appena li vide, conoscendo la loro situazione e sensibile al dolore umano, li mandò dai sacerdoti e li guarì mentre erano in cammino. Uno di loro, un samaritano, straniero, riconoscendo il dono ricevuto, tornò da Gesù per ringraziarlo e, a motivo della sua fede, ricevette una grazia ancora più grande: la salvezza.

    La lebbra in quel tempo, come altre malattie era considerata un castigo divino, rendendo la persona disgraziata e proprio per questo esclusa dalla comunità. Doveva tenersi lontano dal villaggio, portando dei campanacci legati ai piedi come avviso per gli altri e gridare: “non avvicinatevi, sono lebbroso!”  La legge infatti proibiva di avvicinarsi a qualcuno e chi si avvicinava una persona lebbrosa diventava anch’esso impuro. Dinanzi a questa situazione, ci domandiamo: come mai i lebbrosi escono dal villaggio incontro a Gesù? Come mai normalmente Gesù si avvicina a questa gente? Come mai potendo guarirli subito, Gesù li manda dai sacerdoti?

    I villaggi, nei vangeli, non sempre hanno un significato positivo. Ricordiamo che Gesù quando guarisce un cieco a Betsaida lo guarisce fuori dal villaggio e gli chiede di non tornare al villaggio che in questo caso indica quella mentalità che fa opposizione a Gesù; per la persona guarita è importante non tornare alla mentalità di prima, alla vita che aveva prima dell’incontro con Gesù. La società dell’epoca di Gesù riteneva che gli ammalati, specie i lebbrosi, erano stati condannati da Dio a causa dei loro peccati. Gesù invece si avvicina senza paura di essere contaminato, anzi, si avvicina loro per “contaminarli” con il suo amore, la sua tenerezza, la sua misericordia.

    I sacerdoti rappresentano l’istituzione religiosa, ed erano incaricati di riconoscere una guarigione e ufficializzare la riammissione alla comunità. Questo spiega il motivo di Gesù di inviare i lebbrosi dai sacerdoti. È interessante notare che Gesù li invia come se fossero già stati guariti e loro si fidano della sua parola; non sono guariti perché andavano dai sacerdoti, ma perché sono stati motivati spinti dalla parola di Gesù e si sono messi in cammino. La guarigione avviene non per l’obbedienza a una prescrizione legale ma per fiducia ad una parola scaturita da uno sguardo attento e da un cuore compassionevole del dolore umano: Gesù ha detto la parola che porta la vita.

        Il testo porta anche una certa delusione di Gesù nel vedere che soltanto uno dei lebbrosi guariti è tornato a ringraziarlo per il bene ricevuto. Gesù non è uno che cerca applausi e riconoscimenti per un’opera buona ma spera che rendiamo gloria a Dio per la sua generosità nei nostri confronti. La salvezza è gratuità divina ma chiede la nostra adesione di fede. La vera fede scaturisce da un cuore che sa riconoscere e ringraziare per i doni ricevuti. “Ringraziare non è solo un atto di buona educazione, bensì un atto di amore riconoscente e, rivolto a Gesù, è un atto che apre alla salvezza, come fu per il samaritano”. Possiamo dire che anche per ringraziare “di cuore” ci vuole fede. Che possiamo essere riconoscente e grati a Dio per i doni che riceviamo e essere generosi nei suoi confronti e nei confronti degli altri. E siccome Dio non si lascia vincere in generosità ci darà molto di più.               


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

sábado, 1 de outubro de 2022

LA FEDE È QUESTIONE DI QUANTITÀ O DI QUALITÀ?

 

    Riflessione a partire di Ab 1, 2-3; 2,2-4; 2Tm 1,6-8.13-14; Lc 17, 5-10




 

    Il tema su cui vogliamo riflettere è la fede, dono che ci viene fatto da Dio e con il quale rispondiamo ai suoi appelli. Questo dono ha bisogno di essere nutrito costantemente, altrimenti non crescerà e non darà i frutti attesi. A volte facciamo fatica a credere veramente a causa di alcune situazioni che ci fanno pensare alla assenza di Dio. Però non è così.

    La prima lettura ci porta proprio un messaggio che motiva a perseverare nella fede, facendoci capire che Dio c’è, è vicino e si manifesterà quando meno ce lo aspettiamo. Ci dice don Calabria: “Quando le difficoltà sembrano aumentare, più fede, e allora vedremo la Provvidenza manifestarsi abbondantemente”. San Paolo ha combattuto la buona battaglia della fede fino alla fine. Ora in carcere si sente motivato dalla forza di Dio e dall’aiuto del suo Spirito a esortare il suo discepolo Timoteo e ogni cristiano a ravvivare il dono di Dio per non perdere l’entusiasmo nella missione.

    Gli apostoli hanno fatto una richiesta a Gesù: “Accresci in noi la fede!”. Gesù non risponde alla richiesta ma preferisce correggere la loro mentalità affermando in un modo piuttosto sconcertante: “Se aveste fede quanto un granello di senape…” Egli sembra dire che la fede c’è o non c’è e quando c’è, anche se piccola, può operare cose prodigiose.  La richiesta dei discepoli è sbagliata perché non è compito di Dio aumentare la nostra fede. Il suo compito è darci la fede e con questo dono rispondiamo a Lui. Quindi, la fede è una adesione a Dio da innamorati che siamo del suo modo d’agire e condurre l’universo e la nostra vita. Gesù fa loro capire che importante non è la quantità di fede ma la sua qualità. E questo dipende soltanto da noi.

    Questa richiesta è avvenuta dopo alcune condizioni proposte da Gesù per la sua sequela. Una di esse la troviamo nel versetto che precede questo brano: “Se tuo fratello commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te… tu gli perdonerai”. Così fa capire che “la misura del perdono è il perdono senza misura”. I discepoli riconoscendo la loro difficoltà, chiedono: “Accresci in noi la fede, non ce la faremo mai”. È una conclusione a cui arriviamo anche noi riconoscendo che non ci impegniamo abbastanza. Ma la Scrittura dice: “Il giusto vivrà per la sua fede”. È solo per la fede che possiamo accogliere gli altri con i loro limiti e fragilità perché anche noi siamo fatti così.

    Questo rimprovero di Gesù ai suoi discepoli ci fa capire la loro debole fede. Allora, come potranno seguirlo con radicalità, servendolo nella gratuità e nella generosità? È per la fede che capiranno che non si segue Gesù se non per farsi servi. Chi vive cercando grandezza, popolarità e privilegi sta seguendo una logica che non è quella di Cristo. Lui in persona ci ha dato l’esempio poiché è venuto non per essere servito ma per servire e dare sua vita per tutti.

    Quindi, la misura della nostra fede passa per la nostra consapevolezza di essere servi e per la qualità del nostro servizio. Per questo diceva San Giacomo: “Mostrami la tua fede senza le opere ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede”. Questa verità è stata assunta con radicalità da Don Calabria. Quello che ha vissuto è stato in grado di proporlo agli altri, vale a dire: “La nostra fede sia pratica, coerente; nessun contrasto tra la fede che professiamo e la condotta che abbiamo”. Il nostro comportamento può diventare un’affermazione o una negazione del Dio in cui crediamo.

    Non dobbiamo avere paura di credere perché non crediamo da soli. La fede prima di essere individuale è un dono che si riceve in comunità e tramite la comunità. Quindi, la nostra fede è comunitaria, ecclesiale perché “la fede della Chiesa precede, genera e nutre la nostra fede”. L’espressione più profonda della nostra fede sta nel fidarci di Colui per il quale nulla è impossibile. Per arrivare a questo ci vuole maturità. Quella fede che abbiamo ricevuto nel nostro battesimo, quando eravamo bambini, non può rimanere infantile sempre: ogni età con la sua fede. Non possiamo proseguire nella sequela di Cristo con una fede infantile. Ci dice San Paolo: “Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino - (e possiamo aggiungere: credevo da bambino). Divenuto adulto, ho eliminato ciò che è da bambino”. 

    La maturità della nostra fede ci aiuterà a capire che crede veramente solo chi si sente servo, cioè, semplice strumento nelle mani di Dio, poiché è Lui che fa le opere. Questo è il grande prodigio della fede. Se i miracoli non avvengono è perché non permettiamo che accadano, per la nostra debole fede o per mancanza di fede. In tal modo si capisce che la dimensione dei miracoli è in proporzione alla misura della fede. È interessante che “anche davanti alla difficoltà dei suoi discepoli, Gesù continua a confidare in loro, a non far mancare loro la sua parola, il suo affetto e la sua correzione”. Quindi, non ci mancheranno i mezzi per approfondire la nostra fede, perché Gesù vuole che facciamo le stesse opere sue. Avviciniamoci a Lui con umiltà e supplichiamolo con amore: “nonostante la nostra debole fede, rendici tuoi servi fedeli!”


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi