sábado, 19 de novembro de 2022

UN RE STRANO, UN REGNO DIVERSO

 

 Riflessione a partire da 2 Sam 5, 1-3; Col 1, 12-20; Lc 23, 35-43



 

 

    Concludendo l’anno liturgico, la Chiesa celebra la solennità di Cristo Re dell’Universo. Questa solennità “è stata istituita da Pio XI nel 1925, in un periodo di dittature, e, probabilmente, nell’intenzione del Papa, doveva essere un richiamo al fatto che ogni sovrano sarà giudicato e dovrà rendere conto del suo operato a Gesù Cristo Re”. Ogni potere emana da Dio, è partecipazione alla sua stessa autorità e dipende da Lui, che è Sovrano sopra ogni cosa.

    Dopo essere stato scelto da Dio e unto da Samuele (1Sm 16, 1.13), Davide riceve una seconda unzione da parte degli anziani di Giuda, con la quale inaugura il regno su Giuda (2Sm 2,4). Ma il brano di oggi parla di una terza unzione in cui entrano in scena questa volta gli anziani di Israele. Ora Davide viene riconosciuto ufficialmente re su tutta la nazione. Lui sarà il re secondo il cuore di Dio, prefigurando il regno senza fine che Gesù instaurerà con la sua opera di salvezza.

    Il testo ai Colossesi è un inno cristologico in cui San Paolo ci invita a ringraziare Dio che ci concede la grazia di prendere parte al regno del suo Figlio. Come immagine del Dio invisibile, Egli è il centro di tutto il creato e tutto sussiste in lui. Tutto deve ruotare intorno a lui e in funzione di lui. Come discepoli suoi, per l’azione del suo Spirito, ci viene data la grazia di formare un solo corpo con lui, il nostro capo, e ricevere dalla sua pienezza grazia su grazia.    

    Il brano del vangelo scelto per quest’occasione ci aiuta a riflettere sul potere regale di Gesù che, attraverso la sua morte e risurrezione, vince tutto il potere del mondo, salvando tutta l’umanità e stabilendo il regno di Dio suo Padre. Gesù è il re che accettò la croce come suo trono, dove mostrò il suo grande amore per il mondo. Il suo amore, la sua compassione fino alla fine è il punto di riferimento del nostro agire. Tutte le persone sono invitate a partecipare a questo Regno, che è già presente tra noi e solo l’unione con Cristo ci rende in grado di provarlo in modo concreto.

    Gli evangelisti mostrano che Gesù ha rifiutato il titolo di re nei suoi momenti prodigiosi e l’ha accettato proprio nel momento in cui sembrava sconfitto, vale a dire, sulla croce: “Non aveva apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi” (Is 53, 2). La sua opposizione a questo titolo era dovuta alla mentalità politica di regno, contraria al significato della sua missione. Il suo regno non proviene da questo mondo e non può essere visto, dicendo: eccolo qui o eccolo lì. Esso segue una logica diversa: non si vede ma c’è, non chiama l’attenzione ma è efficace nella sua azione.

    Gesù ammette che è re. Però, un re strano, un re sulla croce, un re umiliato, un re che muore amando. Quindi, “un re giustiziato, ma non vinto; che noi possiamo rifiutare, ma che non ci rifiuterà mai. E la risurrezione è la conferma che un amore così non andrà mai perduto”. Gesù è un re che si fa servitore dei suoi: “sono venuto per servire e non per essere servito”. La sua corona e il suo trono esprimono la potenza dell’amore che ha motivato tutta la sua vita. Mentre è sulla croce gli viene chiesto di salvare sé stesso affinché quella gente possa credere in Lui. Ma questa è la logica dei regni di questo mondo dove ciascuno pensa a sé stesso e si mostra meglio dell’altro.

    Gesù non ha bisogno di salvare sé stesso perché non è venuto per questo. Durante tutta la sua vita ha vissuto per gli altri, pensato solo agli altri e donato tutto senza prendere niente. Anche se non ha definito cosa sia il Regno di Dio, lo ha mostrato presente nel mondo nella sua stessa persona. Ci ha invitato a fare l’esperienza della sua presenza e vicinanza attraverso l’appello alla conversione.  Il Signore ha vissuto la sua regalità non esercitando il potere sugli altri, ma offrendo la sua vita fino alla morte, spendendo tutto se stesso per gli uomini: la sua regalità l’ha vissuta nel servizio e proprio per il suo amore gratuito è stato risuscitato dal Padre e costituito Re dell’universo.

    Noi che siamo suoi discepoli, abbiamo ereditato questo messaggio. Tocca a noi l’impegno di collaborare affinché i valori del regno si diffondano sempre di più tra la gente. Anche se il regno non è da questo mondo, è proprio per questo mondo, il quale ha tanto bisogno di cambiamento. Nonostante questo, con uno sguardo ottimista, possiamo trovare molti segni della presenza del regno nella nostra società, come scriveva S. Paolo VI: “i valori che il regno annuncia sono vissuti dalle culture dei popoli e l’evangelizzazione non può raggiungere esito se questi valori vengono trascurati”. Siccome la gloria di colui che seguiamo passa per l’offerta di sé, ci sentiamo uniti a lui e rendiamo visibile il suo regno solo se accogliamo la sua logica di dono totale al Padre e ai fratelli.

 

Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

sábado, 12 de novembro de 2022

PERSEVERARE IN MEZZO ALLE PROVE

 

Riflessione a partire da Ml 3, 19-20; 2Ts 3, 7-12; Lc 21, 5-19

 




    La liturgia ci sta conducendo pian piano verso la fine dell’anno liturgico e la frase che può riassumere la riflessione di oggi è questa: camminiamo nella speranza, anche in mezzo alle prove. Il Signore ci assicura che non sono le prove l’ultima parola nella nostra vita. Dobbiamo considerare che la nostra vita appartiene a Dio e che lui la conduce secondo un piano di sapienza e bontà.

    Secondo il profeta Malachia, il male deve essere eliminato alla radice e il Signore è il primo interessato perché questo avvenga. Egli non è indifferente ai nostri atteggiamenti: si rifiuterà ad accogliere chi ha deciso di vivere lontano da lui ma chi ha deciso di vivere secondo la sua volontà lo ricompenserà per ogni bene fatto.

    La testimonianza di gratuità e generosità dell’apostolo Paolo nell’annuncio del vangelo è modello per ogni cristiano che vuole che la sua vita sia gradita a Dio. Il cristiano non deve cercare riconoscimento o ricompensa per il servizio che fa per il vangelo, anzi deve essere grato per il compito che gli è stato affidato.

    All’inizio del vangelo troviamo un’allusione alla bellezza delle pietre e i doni votivi del tempio di Gerusalemme che attiravano l’ammirazione di tutti i visitanti. Il tempio era orgoglio dei giudei, espressione del loro potere politico, economico e religioso. I gruppi che facevano opposizione a Gesù e il suo messaggio, vale a dire, i farisei, scribi e dottori della legge, assolutizzavano questo spazio al punto di confondere la sua finalità. In un altro passo, con una frusta in mano, li aiuterà a ripensare la loro posizione. Così, Gesù si mostra molto libero e capace di relativizzare quella dimora di Dio, che è soggetta alla caducità, facendo capire che il titolo di assoluto va riservato a Dio solo.

    Nel seguito, Gesù annuncia la distruzione di quel luogo. Questa rivelazione motiva alcuni dei suoi discepoli a chiedere riguardo i segni, il giorno e l’ora di questo drammatico avvenimento. Allora, usando un linguaggio simbolico, Gesù rivela il senso della storia e la missione della comunità dei discepoli in mezzo a una realtà ostile, che agirà con violenza nei suoi confronti. Questo sconvolgerà la fede dei discepoli portandoli alla mancanza di entusiasmo ma Egli li incoraggia a perseverare fino in fondo in vista della salvezza. Non basta essere discepolo, bisogna perseverare fino alla fine.

    Infatti, al tempo in cui è stato scritto questo vangelo, la comunità cristiana viveva un periodo di crisi a motivo delle ininterrotte persecuzioni, che causavano la morte di alcuni dei suoi membri (i martiri) e che portavano altri a rinunciare alla loro identità di seguaci di Gesù. Davvero sembrava la fine del mondo. Coloro che perseveravano si domandavano: “Cosa vuol dire tutto questo?”. Il ricordo degli insegnamenti di Gesù è stato fondamentale per una ripresa di quello che dava vero senso alla loro vita, consapevoli che se Gesù è il punto di riferimento di tutto, allora, la vita e la storia non camminano per una fine ma per un vero fine: Gesù stesso.

    Gesù è vincitore del peccato e della morte e farà vincitori tutti coloro che lo seguono. La sua Parola ci dice che le prove e difficoltà accompagnano la nostra condizione di cristiani, però ci assicura anche che “è per la nostra perseveranza che saremo salvi”. In un altro passo dice: “Non vi terrorizzate. Devono infatti accadere queste cose, ma non sarà subito la fine" (Lc 21,9). Ed il vangelo di Marco aggiunge che tutti questi segnali sono "appena l’inizio dei dolori di parto!" (Mc 13,8). “Ora, i dolori del parto, pur essendo molto dolorosi per la madre, non sono segno di morte, bensì di vita! Non sono motivo di timore, bensì di speranza! Questo modo di leggere i fatti porta tranquillità alle comunità perseguitate” e a tutti noi, specie quando dobbiamo affrontare i nostri momenti di buio.

    La nostra testimonianza coraggiosa deve portare la gente a ripetere ciò che dicevano i maghi in Egitto davanti ai segni e al coraggio di Mosè e Aronne: “Qui c’è il dito di Dio” (Es 8,15). Siccome non sempre riusciamo a capire gli avvenimenti attorno a noi, dobbiamo avere fiducia nel Padre, consapevoli che “siamo nelle sue mani e, quindi, in buone mani. Nulla sfugge al suo sguardo. Tutto è guidato da un piano suo di saggezza e bontà” (Calabria). Quindi, dalla nostra parte, fiducia in colui che sta conducendo la storia. Anche se ci avvengono le prove, ci accompagna anche la speranza che non delude mai. “La vita cristiana è un cammino, non triste, ma gioioso”. Quindi, viviamo con gioia ed entusiasmo la nostra vocazione e tutto sarà bello per noi e per gli altri!


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi