domingo, 7 de julho de 2019

LA GIOIA DI ESSERE DISCEPOLO/A



Riflessione a partire di Is 66, 10-14; Gl 6, 14-18; Lc 10, 1-12


     
       Quello che riassume il messaggio di questi testi è la certezza che siamo chiamati alla gioia e che questa gioia è condizionata dalla fedeltà al Dio fedele. “Egli vuole plasmare in noi il cuore del suo Figlio” e per questo ci vuole disponibili e generosi.

      Usando un linguaggio materno, Isaia fa un invito alla gioia a motivo di quello che il Signore sta per compiere nella vita del suo popolo. La presenza costante di Dio in mezzo al suo popolo fa superare i momenti di disagi e delusione aprendo spazi alla speranza e alla gioia anche se tutto sembra perduto. Come al popolo della Antica Alleanza, anche a noi viene chiesta una instancabile fiducia nell’azione misteriosa del Signore perché è sempre fedele Colui che promette.

       La seconda lettura presenta una grande polemica: alcuni giudeo-cristiani, che rimanevano ancora legati alle loro tradizioni giudaiche, volevano costringere i pagani ad essere circoncisi come loro. Per questo motivo Paolo dice che se giudichiamo così rendiamo vana la croce di Cristo. Tramite la croce Cristo ha vinto la morte e anche il mondo vecchio è stato crocifisso! "Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove". Ci viene chiesto di vivere da risorti, abbandonando i vecchi atteggiamenti le vecchie mentalità, tutto ciò che contraddice la nostra nuova condizione.

Il brano del Vangelo ci presenta Gesù che oltre gli apostoli chiama ed invia altre 72 persone ad evangelizzare. L’evangelizzazione non è compito solo dei preti e suore ma coinvolge tutti. Gesù li manda a due a due mettendo al centro della loro attività l’esperienza comunitaria; essa è la prima testimonianza che devono dare al mondo. La missione è un impegno che non si assume da solo. Abbiamo bisogno del supporto comunitario per l’esito della nostra missione.

I discepoli devono essere persone di preghiera come esperienza fondante, cioè, come base che mantiene l’edificio della loro esistenza. Devono essere consapevoli che la messe ha il suo padrone, un Padre buono e generoso, che sa dei bisogni dei suoi figli prima che gli chiedano qualcosa. Dio non ha bisogno della nostra preghiera; siamo noi che abbiamo bisogno di pregare poiché quando preghiamo cresciamo nella consapevolezza di essere figli e discepoli molto amati; diventiamo quello che già siamo per vocazione. I discepoli sono come agnelli in mezzo a lupi, entrando nella dinamica del vero Agnello, Colui che toglie i peccati del mondo perché è in grado di donare la propria vita per i suoi amici. È in questa logica – dell’amore, del dono di sé - che la loro vita trova il suo vero senso.

Essi devono abbandonare le false sicurezze e tutto ciò che impedisce un abbandono fiducioso alla provvidenza, poiché tali sicurezze tendono a occupare nella nostra vita il posto che appartiene a Dio. La vita semplice e distaccata del discepolo è un annuncio profetico dell’amore e della cura di Dio per i suoi figli. Vivere in sovrabbondanza, invece, oltre a negare la nostra identità di discepolo, mette a rischio la credibilità del messaggio che portiamo essendo ostacolo alla fede altrui. Chiediamo al Signore la grazia di vivere gli atteggiamenti del vero discepolo, secondo il desiderio di Cristo affinché a partire dalla nostra testimonianza la fede nella Provvidenza cresca sempre di più.

Fr Ndega
Revisione dell'italiano: Giusi