sábado, 28 de março de 2020

LA SPERANZA CHE NON DELUDE



Riflessione su Ezechiele 37, 12-14; Rom 8, 8-11; Giovanni 11, 1-45





          La nostra vita è un grande mistero. Essa è un dono di Dio e trova la sua pienezza in Gesù Cristo, per questo è senza fine, cioè la vita non finisce dopo l’esperienza terrena. E dinanzi l’esperienza evidente della morte, cosa finisce in noi? Soltanto la parte biologica. Tutto è stato creato a partire dal nulla, ma non camminiamo verso un nulla o verso la dannazione, ma verso la piena realizzazione della nostra vita in Gesù Cristo, risurrezione e vita.

      Il profeta Ezechiele porta parole di consolazione a un popolo che durante l’esilio babilonese sembrava di essere come morto e chiuso nella tomba. La centralità del messaggio è la promessa del Dio fedele che ama il suo popolo e vuole che esse viva in piena libertà. Condividendo con noi il suo Spirito, Dio si rivela come fonte della vita rendendoci partecipi della sua stessa vita. Così stiamo già vivendo su questa terra la realtà che ci attende presso di Lui.

       In questa prospettiva, San Paolo ci invita a considerare che il popolo che è di Dio è aperto alla vita e la promuove. Il cammino di fede è un cammino di vita costantemente rinnovata dallo Spirito di Dio che vive in noi per farci figli di Dio e discepoli del suo Figlio. Siamo chiamati a vivere la vita dell’eterno e con la forza di questo Spirito realizzeremo pienamente questa vocazione, sperimentando una resurrezione simile alla quella di Gesù.

      Il vangelo racconta la risurrezione/rianimazione di Lazaro, fratello di Marta e Maria. Questi tre fratelli vivono un’esperienza di amicizia molto profonda con Gesù. Il brano dice che Gesù li amava. Quando Egli riceve la notizia della morte del suo amico e va a trovarlo, piange. Gesù non è indifferente né impassibile, “egli non è estraneo alle vicende e ai sentimenti umani, anzi è veramente uno di noi, che condivide la nostra condizione”. In Cristo, Dio si lascia colpire dal dolore e sofferenza delle persone non per lasciarle nella stessa situazione ma per farle esperimentare una nuova realtà.  

       Ci colpisce il fatto che le due si incontrano con Gesù in momenti diversi, senza una previa combinazione, ma portano nel loro cuore la stessa certezza, vale a dire: “Signore, se tu fossi stato qui, mio ​​fratello non sarebbe morto! (Gv 11,21)”. La persona che vive un rapporto d’amore con Cristo riconosce che senza di lui tutto perde il senso. I molti incontri di questi tre fratelli con Gesù li hanno resi capaci d’accoglierlo e riconoscerlo come il Messia di Dio, la Risurrezione e la Vita.

         La notizia che Marta porta alla sorella Maria, vale a dire “Il Maestro è qui e ti chiama” è un invito a lasciare tutto per stare con Lui e sintonizzarsi con il suo cuore. Questo invito anticipa la chiamata che Gesù farà al suo fratello, chiamandolo alla vita, chiamandolo a sé: “Lazzaro! Vieni fuori!” Queste parole mostrano un modo proprio di Dio d’agire, chiamando a se’ coloro che egli ama. L’invito a Maria a incontrarsi con Gesù e a Lazzaro a lasciare la tomba, sono un invito a lasciare il dolore per trovare la gioia, lasciare il buio per trovare la luce, lasciare la morte al fine di ottenere la vita.

         La resurrezione di Lazzaro è un annunzio della resurrezione di Cristo e della certezza della nostra risurrezione in Cristo. Questo motiva la nostra speranza e dà senso alla nostra fede. Per questo San Paolo dice: “Se Cristo non è risuscitato, vana è la nostra fede e anche la nostra speranza è vana”. Il Dio in cui crediamo è il Dio della vita e quando ci dà la vita, si unisce a noi rendendoci i suoi figli amati. Per questo, la sofferenza in questa vita, a causa della nostra condizione debole, non può essere paragonata alla gloria che ci sarà svelata nella nostra futura condizione.

     Mentre siamo qui, impariamo a consegnarci come ha fatto Gesù, che anche nel momento di dolore e della sofferenza si abbandonò con totale fiducia nella provvidenza di Dio, vale a dire: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Questo dovrebbe essere il grido della nostra anima convinti che Dio non ci lascia, né rimane in silenzio dinanzi a ciò che ci accade. Davanti alla morte di Gesù, la risposta di Dio è stata la risurrezione del suo Figlio. In questo avvenimento si fonda la nostra fede ed essa motiva la speranza di resurrezione anche per noi, battezzati in Cristo e membra vive del suo Corpo.

       Siamo invitati a proclamare la fede in Gesù che ha vinto la morte e riconoscere che la sua risurrezione ci ha fatto partecipare della eternità. Dio ci attira a sé con la sua compassione e tenerezza per renderci veramente pieni. Proclamare la fede nella risurrezione dei morti è rendersi conto che Dio continua a fare meraviglie per il suo popolo contro tutte le aspettative negative sulla vita umana e sulla realtà di dolore che viviamo. Lo scopo della nostra vita è quello di trovare la pienezza e la pienezza è Dio, come bene ha detto Agostino, vale a dire “Dio, ci hai creati per te e il nostro cuore vive inquieto finché non riposiamo in te”.

       Per chi ha fede, la morte è un riposo in Dio, cioè una consegna definitiva nelle mani di Colui che si prende cura di noi perché ci ama e vuole che viviamo da amati. “Affrettiamoci ad amare!”. Il momento fondamentale della nostra vita arriverà nel momento in cui incontreremo Dio faccia a faccia in un modo unico. Quando staremo dinanzi a lui non ci sarà chiesto se abbiamo partecipato ad alcuna religione oppure quante volte andiamo in chiesa, ma quanto abbiamo amato veramente. Anche se sono le nostre scelte che definiranno la direzione della nostra vita, non dobbiamo dimenticare che la volontà di Dio è che la nostra vita raggiunga la pienezza che è già cominciata nel proprio atto di credere in Lui.

Fr Ndega

sexta-feira, 20 de março de 2020

“ANDRÀ TUTTO BENE”



Riflessione a partire di 1 Sam 16,1b, 6-7,10-13a; Ef 5.8 a 14; Gv 9,1-41




        Gesù ci ha rivelato il vero volto di Dio: il Dio che è misericordia, che si occupa della vita umana, il Dio che è amore, il Dio che è Padre. Ma spesso si sente dire che “Dio punisce”; o “Dio esige” per essere fatto in questo modo... e non il contrario; o ancora, quell’uomo ha ucciso “in nome di Dio”, o davanti alla situazione che l’umanità sta vivendo, qualcuno dice, questo è “volontà di Dio”, ecc. Forse stiamo parlando dello stesso Dio rivelato da Gesù Cristo? Certamente, no.

      Se Dio è buono ed è il primo interessato ad eliminare il male della nostra vita, sarebbe una contradizione e grande sacrilegio l’attribuire alla sua volontà il male avvenuto nella vita dei suoi figli. Per questo la frase “Andrà tutto bene” oltre ad essere un messaggio di ottimismo, è un invito alla fiducia in Colui che non vuole il male, che non è indifferente a quello che si passa con noi, che lotta con noi, ma che ha il suo modo proprio d’agire. E proprio per questo, “tutto andrà bene!”[1]

       Il primo brano parla dell’elezione e l’unzione di Davide. I criteri utilizzati per questo sono contrari a tutte le aspettative umane. Spesso noi guardiamo le persone per l’aspetto fisico, e consideriamo molto la forza, la capacità di parlare e tutto ciò che ci colpisce - e che sono solo gli aspetti esterni. Il Signore vede diversamente. Ai suoi occhi, il più importante è il più piccolo, l’insignificante, il semplice, l’umile.

      Dio vede bene perché vede oltre, cioè, quello che accade dentro i cuori della gente. Pertanto, vede bene solo chi vede con gli “occhiali” (sguardo) di Dio, per poi agire secondo il suo cuore. Sappiamo che il cuore è il centro delle nostre decisioni; è lì che possiamo decidere di vivere da fratelli o da nemici, da figli della luce o da figli delle tenebre.

     Ma prima di qualsiasi decisione, San Paolo ci invita a considerare che siamo stati illuminati da Cristo per essere e vivere come figli della luce. Da parte di Dio, la nostra condizione di essere figli della luce è già stata garantita, ma la continuità di questo processo è una risposta di tutti i giorni. Mi hanno sempre colpito le parole di un Santo che dice: “Che cosa siamo? Noi siamo figli di Dio; e che cosa siamo diventati? Questa è la nostra risposta a lui”.

       Naturalmente, nella nostra risposta non possono mancare i frutti di bontà, giustizia e verità. È buono a sapere che Dio ha un piano di amore per la nostra vita e ci ha dato tutte le condizioni per realizzarlo. Ci dice per mezzo del profeta Geremia: “Non è un figlio carissimo per me Efraim, il mio bambino prediletto? Ogni volta che menziono il suo nome me ne ricordo sempre con affetto. Per questo il mio cuore si commuove per lui e sento per lui una profonda tenerezza” (Ger 31,20).

     In Gesù, Dio ha un modo particolare di guardare. Gesù vede un cieco nato e il suo sguardo è di tenerezza e compassione. Là dove tutti vedevano un condannato, uno punito da Dio, Gesù vede un figlio amato, che ha un profondo desiderio di partecipare pienamente alla comunità, vedere e riconoscere gli altri come veri fratelli e sorelle. La questione sollevata dai discepoli rivela la mentalità del tempo che considerava cecità e altre malattie come punizione, “volontà” divina.

       Gesù non risponde su chi ha causato la cecità. Egli preferisce rivelare la vera immagine di Dio attraverso un modo speciale di cura per le persone. Guarendo un cieco nato, Gesù ha anche rivelato la sua identità di Messia, in quanto secondo la profezia del profeta Isaia solo il messia atteso ha potere di fare tale attività (Is 29,18). Quindi si comprende la ragione delle domande dei farisei al cieco e la loro resistenza ad accettare questa azione fatta da Gesù.

       Guarendo quello uomo, Gesù si rivela come luce del mondo e assicura che colui che lo segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita. Seguire Gesù è camminare nella luce. E questa sequela accade in un’illuminazione progressiva, come è accaduto al cieco. La saliva di Gesù mescolata con la terra ha causato un effetto illuminatore, rigenerante. È la nuova creazione che accade per il cieco come era al principio, quando Dio plasmò l’uomo dall’argilla della terra e dal suo respiro è venuta la vita. La saliva di Gesù è simbolo della sua Parola che ci dà nuova visione e ci motiva a camminare.

       Però riconoscere la funzione della parola di Gesù nella nostra vita non è sufficiente per essere suo discepolo. Bisogna riconoscerlo come qualcuno che è più di un “uomo chiamato Gesù” e più di un “profeta”. Egli è il Messia atteso, il Cristo di Dio e vuole rivelarlo nell'incontro personale con ognuno di noi in modo che possiamo riconoscerlo e testimoniarlo. È proprio nella preghiera vissuta in profondità che si dà l’identificazione del discepolo con il Maestro e non basta un unico incontro per decidere di credere in Gesù e seguire i suoi passi.

      In questo intero processo possiamo giungere a tre importanti conclusioni per il nostro cammino. In primo luogo, si tratta della visione che abbiamo di Dio. Abbiamo bisogno di correggere le nostre immagini di Dio. È un errore pensare che possiamo controllare Dio con le nostre misure piccole. Non possiamo mettere limiti alla sua generosità e misericordia. Dobbiamo lasciare che Dio sia Dio, e che si riveli a noi con tutta la potenza del suo amore.

       In secondo luogo, si tratta della visione che abbiamo degli altri. Dobbiamo imparare a guardare attraverso gli “occhiali di Dio”, perché normalmente abbiamo una visione incompleta, deficiente. Quando guardiamo le persone facilmente le giudichiamo e anche condanniamo. Lo sguardo di Dio non giudica, non condanna, ma motiva la persona a camminare perché è pieno di tenerezza e compassione.

     In terzo, si tratta di sintonizzarci con il desiderio di Dio. Il desiderio di Dio è quello di “formare in noi e il cuore di suo Figlio”. Questo è un processo lungo che accade ogni giorno attraverso l’ascolto della sua Parola che ci chiama alla conversione, ci porta consolazione e ci motiva all’azione. Ogni giorno sono chiamato a capire quello che il Signore sta facendo nella mia vita. Ogni avvenimento è sempre una nuova opportunità per rispondere a una chiamata divina. Che la drammaticità del momento presente non ci impedisca di sentire che non lottiamo da soli e così possiamo spalancare le porte del nostro cuore alla speranza sicuri che “andrà tutto bene”.

 Fr Ndega




[1] Questa frase viene da Giuliana di Norwich (8 novembre 1342 – 1416) che è stata una mistica inglese, considerata una delle più grandi mistiche della storia; è commemorata come santa dalla Chiesa Anglicana (l'8 maggio) e come beata dalla Chiesa Cattolica (il 13 maggio). In una delle sue visioni il proprio Gesù le avrebbe detto: “Il peccato è una tragedia perché vi fa un male incredibile, ma tutto andrà bene, tutto finirà bene, e ogni sorta di cose andrà bene”. (Little Gidding, III tempo, vv. 17-19; 43-50)

sábado, 14 de março de 2020

KUNA KIU NYINGI NDANI YANGU



Kutafakari kuhusu Kutoka 17, 3-7; Yohane 4, 5-42




       Maji ni zawadi ya thamani kubwa mno. Mara nyingi hatuitumii zawadi hii kama ipasavyo. Tunatambua tu umuhimu wa maji wakati tuko bila maji. Maisha ya viumbe vyote yanayategemea maji[1]. Tunajua umuhimu wa kunywa maji mazuri kwa ajili ya kiu na ya afya yetu, sio ukweli? Ingawa maji ni muhimu sana kwa ajili ya kuizima kiu yetu ya kimwili, maji haya hayatoshi kwa ajili ya kiu zingine za ndani na za kiroho, yaani kiu ya upendo, ya haki, ya furaha, ya heshima, na ya ukamilifu. Kwa namna hii ya kiu tunahitaji maji tofauti yaliyo maji hai. Tujiulize maswali, ‘ni nani anaweza kututolea maji haya’ na ‘tunawezaje kuyapata maji haya?’

           Kama tulivyotafakari, nyika ni mahali maalum pa mkutano na Mungu. Wakati huo huo nyikani ndipo mahali pa kujaribiwa maana tuko na uzoefu wa ngumu. Watu wa biblia walivutiwa jangwani kwa ajili ya uzoefu wa Mungu aliye na uhusiano wa upendo na watu wake. Tukumbuke maneno ya Mungu mwenyewe katika kitabu cha nabii Hosea: “Kwa hiyo angalia, mimi nitamvutia, na kumleta nyikani, na kusema naye maneno ya kumtuliza moyo (Hos 2,14).” Vivyo hivyo Yesu alipojifunua kwa mwanamke Msamaria jangwani alimwambia, Mimi ninayesema nawe, ndiye (Yoh 4,26).”

       Mungu wetu ni “Mungu wa neno” na kuongea na watu wake moyo kwa moyo kwa sababu moyo ndio mahali pa uamuzi. Ndipo moyoni mwao ambapo Mungu aliweka kiu na njaa ya kulisikiliza Neno lake (cf. Am 8,11). Mara nyingi, kosa la utambuzi liliwaongoza kumwacha Mungu ili kuifuata “miungu mingine”. Mungu aliwatolea maji kwa ajili ya kiu ya mwili, lakini alitaka kuonyesha kwamba ipo kiu ya ndani kabisa waliyopaswa kugundua pole pole, yaani kiu ya kumjua Mungu vizuri na ya kuiamini riziki yake. Ufundishaji wa jangwa ulikuwa nafasi pia ya kutambua kuwa ndiye Mungu peke yake aliye chemchemi ya maji hai kwa ajili ya kiu yao na sio miungu.

      Ufundishaji huu wa kimungu ni wazi sana pia katika mkutano wa Yesu na mwanamke Msamaria. Mwanamke huyo alifika kisimani katika saa sita mchana, yaani saa isiyo ya kawaida kwa ajili ya kuteka maji kisimani. Labda aliepuka kukutana na wengine ambao walimkosoa na kumdharau kwa sababu ya maisha yake yenye makosa mengi. Huu ni mkutano wa ajabu kwa maana Yesu ni Myahudi na, kulingana na andiko hili Wayahudi hawachangamani na Wasamaria[2]. Kweli, “Yesu amevunja ukuta uliokuwepo na uliomtenga yeye na yule mwanamke Msamaria. Anataka kutuonyesha kuwa Mungu hatumii vipimo vya wanadamu.”

     Yesu anapatikana kwa mkutano huu kwa ajili ya kumsaidia mwanamke huyo kugundua tena furaha ya kuishi. Kweli, mwanamke huyo hakuwa na mume wala heshima wala furaha. Kwanza kabisa, Yesu anamwomba maji, bali sio kwa ajili ya kiu ya kimwili. Je, ilikuwa kwa kiu gani?  Kulingana na Mt Agustino, “Yule ambaye aliomba maji alikuwa na kiu ya imani ya mwanamke Msamaria.” Yesu alimwomba maji kwa sababu alitaka kutoa maji tofauti na mazuri zaidi, ndiye yeye mwenyewe. Basi, kwa njia maalum na kwa uvumilivu, Yeye alimwongoza mwanamke atofautishe kati ya ‘kiu ya mwili’ na ‘kiu ya uzima.’ 

      Yesu aliyajua makosa mengi ya mwanamke Msamaria, lakini hakumhukumu kwa maana ya hayo. Yeye alipendekeza maisha mapya ambayo yanaanza moyoni. Kama mwanamke huyo hakumjua Yesu, alihitaji mwendo pole pole na hatua kwa hatua ili kumwamini na kuruhusu kuongozwa naye. “Kwanza alimwita Yesu Myahudi (Yoh 4:9); pili alimwita Yesu Bwana (Yoh 4:11.15); tatu, nabii (Yoh 4,19), nne, Kristo (Yoh 4, 25-26.28-29)[3].” Mwanamke Msamaria alifanya ugunduzi mkubwa wa maisha yake. Haraka ya kutangaza habari hii njema ilimfanya aache mtungi wake ulio mfano wa kuacha shida zake, vidonda vyake, ukabila, hofu, uasherati, aibu. yule mwanamke ambaye hakuwa mkweli aliweza kuwa shahidi wa ukweli. Maisha yake yaliyokuwa maana ya kashfa, kutoka hapo yalikuwa msaada kwa ajili ya kuwasaidia wengine katika imani.

        Mkutano wa Yesu na mwanamke Msamaria ni mfano wa uzoefu wetu wa Mungu. Huu ndio mkutano na huruma ambayo inamzaa mtu tena ili awe shahidi wa huruma huu. Kama tulivyotafakari, sisi tu “watafuta wa Mungu” tangu kuzaliwa kwetu kwa sababu Yeye mwenyewe aliweka moyoni mwetu tamani (kiu) kwa ajili yake. “Ikiwa tunamtafuta Mungu ni kwa sababu yeye alitutafuta kwanza (Kitabu cha Wimbo Ulio Bora).” Kwa maneno mengine, tamani yetu ya Mungu ndiye Mungu mwenyewe anayetamani ndani yetu. Hivyo, mwanamke Msamaria ambaye hana jina ni sisi sote tunayovutiwa kukutana na Mungu katika saa na mahali pasipotarajiwa. Anakuja kukutana nasi katika hali ya maisha yetu - yenye haja na udhaifu - na kutaka kuongea nasi moyo kwa moyo.

    Yeye anatutafuta tunapopotea (tukumbuke pia uzoefu wa “mwana mpotevu”) naye hatuhukumu kwa sababu ya makosa yetu, bali anataka tukubali pendekezo lake la maisha mapya. Mwendo huu ni wa muda mrefu lakini ndio ufanisi hasa tunapokiri ukweli wa maisha yetu na kukubali ukweli wa Yesu. Ikiwa ninabaki kufungwa bila kukiri udhaifu wangu tena itakuwa ngumu kufanya uzoefu wa kweli wa Mungu. Yeye anapatikana kama chanzo cha “maji hai” ambayo yanazizima kiu zote. Kwa hivyo, tukubali maji haya yametolewa na Kristo ili sisi pia tuweze kuwa “chanzo cha maji yanayobubujika kwa uzima wa milele”.   

Fr Ndega




[1] Sayarini mwetu maji ni zaidi kuliko ardhi (71%).  Maisha ya sayari unayategemea maji. Kuna maji misituni, katika wanyama, mwilini mwetu na kadhalika. Maji yanarudisha upya, yanasafisha, yanatakasa na kutoa uhai.
[2] “Tunayo historia ndefu ya chuki na uadui kati ya Wayahudi na Wasamaria ambayo imedumu hata leo. Wote wanamkiri mhenga mmoja katika Imani yaani Ibrahimu, na wote wana vitabu vitano vya kwanza katika Biblia takatifu ambavyo vinaitwa ‘Torati’… Baada ya kifo cha mfalme Sulemani, palitokea ugaidi mnamo mwaka 933 K.K uliosababisha kutengana kwa falme za kaskazini-Israeli na ufalme wa kusini-Yudea. Mji mkuu wa ufalme wa kaskazini ulikuwa Samaria na ule wa ufalme wa kusini ulikuwa Yerusalemu. Ufalme wa kaskazini ulistawi Zaidi ya ufalme wa kusini. Mwaka 722 K.K Wasiria waliuteka nyara. Waliwachukua mateka viongozi muhimu wa ufalme huo na kuwateua wageni kuwa viongozi wa watu. Hatimaye, wageni hao walioana na wenyeji wa Samaria. Kizazi Kilichofuata kilikuwa si kizazi halisi cha Wasamaria. Ndiyo maana Wasamaria wanadharauliwa na Wayahudi wa Yudea (R. BAAWOBR. Injili ya Mathayo: kwa ajili ya jumuiya ya Kikristu. Nairobi: Paulines, p. 38-39).”
[3] Id. Ibid., p. 39.

"QUANTA SETE NEL MIO CUORE!"



Riflessione su Esodo 17, 3-7; Giovanni 4, 5-42



       L’acqua è un dono molto prezioso. Spesso, però, non lo usiamo nel modo migliore. Riconosciamo l’importanza dell’acqua solo quando ci manca. Tutta la vita del pianeta dipende dall’acqua. Ma qui vogliamo riflettere su un’altra acqua perché anche se l’acqua naturale è molto importante per la nostra sete fisica, non è soddisfacente per altre seti che ci portiamo dentro come desideri profondi, vale dire sete di amore, di giustizia, di felicità, di rispetto, di pienezza. Per questo tipo di sete abbiamo bisogno un’acqua diversa, un’acqua viva. Proviamo a domandarci: ‘Chi può darci quest’acqua? ’ e ‘come possiamo acquistare questa acqua? ’

      Come abbiamo già riflettuto, il deserto è un luogo speciale di incontro con Dio. Nel frattempo deserto è anche luogo di tentazione poiché si tratta di un’esperienza impegnativa. Il popolo di Israele è stato attirato nel deserto non per soffrire ma per fare esperienza della vicinanza di Dio in un modo tutto particolare. Ricordiamo le parole del libro del profeta Osea: “Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” (Os 2,16). Cosi anche Gesù quando si è rivelato alla Samaritana nel deserto, disse: “Sono io che parlo con te (Gv 4,26)”.

       Il nostro Dio è il “Dio della parola” e decide di parlare al suo popolo da cuore a cuore, perché il cuore è il luogo della decisione, dell’innamoramento. È nel cuore che Dio ha messo la sete e la fame della sua Parola (cfr Am 8,11). Attraverso il dono dell’acqua per saziare la loro sete nel deserto, Dio ha voluto anche rivelare l’esistenza di una sete più profonda che loro dovevano scoprire a poco a poco, cioè, la sete di conoscere meglio Dio e credere nella sua provvidenza. La pedagogia del deserto è stata anche l’opportunità di riconoscere che solo Dio è la sorgente di acqua viva per la loro sete, non altre divinità.

        Questa pedagogia divina è molta chiara anche nell’incontro di Gesù con la Samaritana. La donna è venuta al pozzo a mezzogiorno, che è un’ora improbabile per quella regione arida. Forse lei stava evitando di incontrare coloro che conoscevano la sua situazione di molti errori e per questo la disprezzavano. Questo è stato un incontro stupendo perché Gesù era un Ebreo e, secondo questo testo, i Giudei non hanno rapporti con i Samaritani. In realtà, Gesù ha tolto il muro esistente tra lui e la Samaritana. Egli vuole mostrarci che Dio non usa le misure umane.

       Gesù ha pensato questo incontro per aiutare la donna a riscoprire la gioia di vivere. Veramente, lei non ha marito, né dignità e neanche felicità. Gesù aspetta lei in “quella situazione” che fa parte del suo quotidiano.  Prima di tutto, egli chiede l’acqua, ma non per la sua sete fisica. Quale era la sua sete? Secondo Sant’ Agostino, “Colui che ha chiesto l’acqua aveva sete della fede della donna samaritana.” Ha chiesto acqua perché voleva offrire l’acqua viva, che è lui stesso. Poi, in un modo stupendo condusse la donna a distinguere tra ‘sete del corpo’ e ‘sete di vita.” Interessante è che alla fine di tutto questo, nessuno dei due ha preso dell’acqua del pozzo.

     Gesù aveva conoscenza dei molti errori della donna Samaritana, ma non l’ha condannata a causa di questo. Egli ha proposto una nuova vita e questa doveva iniziare nel suo cuore. Come lei non lo conosceva, aveva bisogno di una lenta e progressiva apertura del cuore per arrivare alla fiducia in lui, permettendogli di essere guidata e trasformata. “In primo luogo ella chiama Gesù l’Ebreo (Gv 4, 9); in un secondo momento lo chiama il Signore (Gv 4, 11.15); nel terzo, il profeta (Gv 4,19) e nel quarto in poi, il Cristo (Gv 4, 25-26.28-29)”. Questa donna ha fatto la grande scoperta della sua vita. La fretta ad annunciare questa buona notizia agli altri l’ha fatta lasciare la sua anfora, cioè, ha lasciato i suoi problemi, le sue ferite, la paura, la prostituzione, la vergogna. La donna che non era una persona vera è diventata una testimone della verità. La sua vita era motivo di scandalo, ma adesso è uno strumento utile per aiutare gli altri nel cammino della fede.

       Questo incontro di Gesù con la donna Samaritana parla molto della nostra esperienza di Dio. È l’incontro con la misericordia che fa rinascere la persona al punto che anche essa diventi misericordiosa. Come abbiamo meditato, siamo “cercatori di Dio” dalla nascita. Egli ha messo nel nostro cuore il desiderio di lui. “Se noi cerchiamo Dio è perché egli ci ha cercato per primo” (Cantico dei Cantici). Così, quella donna, che non ha un nome, siamo tutti noi chiamati ad incontrare Dio nell’ora e nel posto più improbabile della nostra giornata. Egli viene a trovarci nella nostra personale situazione con i nostri bisogni e debolezze e vuole parlare con noi cuore a cuore.

      Dio ci cerca dove eravamo perduti (ricordiamo qui l’esperienza del figlio prodigo) e lui non ci giudica a causa dei nostri errori, ma spera che possiamo accettare la sua proposta di una nuova vita. Questo movimento è lungo, ma è efficace specialmente quando riconosciamo la verità della nostra vita e accettiamo la verità che è Gesù. Se io rimango chiuso senza ammettere le mie debolezze sarà molto difficile fare una vera esperienza di Dio. Lui rivela se stesso come sorgente di “acqua viva” che sazia tutte le seti. Pertanto, accogliamo questa acqua che è fornita da Cristo in modo che anche noi possiamo diventare “una fonte d’acqua viva che scaturisce per la vita eterna”.

Fr Ndega

sexta-feira, 6 de março de 2020

KUGEUKA SURA KWETU KWA KAWAIDA



Tafakari ya Mt 17, 1-9



       Siku sita baada ya kuwasilisha masharti ya kumfuata, Yesu aliwaalika wanafunzi wake kupanda mlimani. Jambo la Mlima ni muhimu sana katika Injili ya Mathayo. Mwinjilisti huyo anaandika kwa Wayahudi na kwa hivyo, nia yake ni daima kumjulisha Yesu kama Musa mpya. Mlima katika Biblia ni mahali pazuri kwa ajili ya uzoefu wa Mungu. Hasa katika injili hii mlima unatajwa sana kwa sababu ni rejeo katika matukio makubwa ya maisha na utume wa Yesu. Mathayo anaongea kuhusu milima 7, tangu mwanzo wa maisha ya umma mpaka kupaa kwake,. Namba 7 inatusaidia kuelewa umuhimu wa mahali huko katika uzoefu wa ufunuo wa Yesu kama Mwana mpendwa wa Mungu.

      Tunataka kwa kifupi kukumbuka kidogo matukio ya milima hii 7 kwa kusisitiza yale ambayo tumesema, yaani Mlima wa majaribu - wakati wa majaribu, Yesu aliletwa kwenye mlima juu sana ambapo yeye alithibitisha uaminifu wake kwa mpango wa Baba (Mt 4,8s). Mlima wa Heri nane – Yesu alienda mlimani wakati alipotangaza kwa mara ya kwanza Ufalme wa Mungu (Mt 5). Mlima ya maombi - baada ya kuzidisha mikate na samaki kwa mara ya kwanza, yeye alipanda mlimani peke yake ili kusali (14:23). Mlima ya kuzidisha mikate – hali hii inatukumbusha tukio la Heri, yaani, Yesu alipanda mlimani na huko aliketi; umati mkubwa ukakusanyika karibu naye (15,29s). Mlima wa Golgotha (27), Mlima wa kupaa mbinguni (28) na katika sura ya 17 tuko na Mlima wa Kugeuka sura.

     Kisha, Yesu aliamua kuchukua baadhi ya wanafunzi na kuwapeleka kwenye mlima mrefu. Kulingana na desturi ya Kikristo, mlima huu unaitwa Tabor. Huko mlimani Yesu aligeuka sura mbele yao na uzoefu huu uliubadilisha mtazamo wao kuhusu mwalimu. Yesu aliwaonyesha kidogo utukufu wake na hali ijayo ya maisha ya wale wanaomfuata kwa uaminifu. Yesu aliwaalika kwa uzoefu wa juu ili waone kwa mtazamo wa juu na kuweza kuona vizuri hali ya kujisalimisha kwake na hali wanayoalikwa kuichukua kama ahadi na Mwalimu wao.

     Uwepo wa Musa na Elia unaeleza kuhusu rejeo la ufunuo katika Agano la Kale. Wote wawili waliongea na Yesu wakionyesha kwamba hakuna kupasuka kati ya mafundisho yao na yale ya Yesu; ndio mwendelezo. Lakini kulingana na sauti iliyosikika kutoka kwenye wingu ndiye yeye kwa uwezo wa kufundisha na kutafsiri kamili yale yaliyosemwa na mababu wa zamani. Baba alishuhudia kwa upendo kuhusu Mwana wake, akimweka kama rejeo la maisha yetu, yaani, “Huyu ni Mwanangu mpendwa, msikilizeni”. Wote wanaalikwa kumsikiliza. Kusikiliza katika Biblia ni kitenzi chenye nguvu sana. Hii ni tabia kamili ya Myahudi mbele ya Neno la Mungu, akifanya mazoezi kuhusu yale aliyosikia. Basi, kusikiliza kuna uhusiano wa ndani na kushika/kutenda.

      Yesu ni ufunuo wa kipekee wa Mungu. Hakuna mwingine ambaye aweze kumdhihirisha Mungu kama Yesu alivyo. Kweli Mungu aliongea wakati wa zamani kwa mababu zetu. Lakini “siku hizi” mambo yote Mungu anayoendelea kudhihirisha kwa watu anafanya kwa kupitia Mwanawe Yesu. Hata wale ambao hawamjui Yesu wanapokea ufunuo wa Mungu kwa njia yake. Katika kila ndugu ambaye wanamsaidia wanaweza kukutana na Kristo aliyejitambulisha na walio na mahitaji mengi (cf. Mt 25,31-46). Kipimo ni upendo/huruma. Matendo yao ya huruma yanaongelea Kristo.

   Wanafunzi “wanatamani kubaki mlimani, lakini sauti inatoka mbinguni ikiwaalika kumsikiliza na kumtii Yesu.” Mara nyingi Mungu anatualika kufanya uzoefu wa uwepo wake kama ilivyotokea kwa wale kwenye mlima, mfano, wakati tunaposhiriki katika sherehe fulani ama siku za maombi na kadhalika. Uzoefu kama huu unaiimarisha imani yetu na hamu yetu kwa ajili ya kazi ya Mungu. Kwa kawaida tunataka uzoefu huu uwe na muda mrefu. Lakini safari yetu yapaswa kutendeka kati ya “kupanda mlimani” (mfano wa uzoefu wa Mungu wa kibinafsi) na “kushuka milimani” (mfano wa changamoto za undugu na kazi). Kila siku tunaalikwa kufanya uzoefu wa “kugeuka sura” kwa kusikiliza Neno la Yesu na kutenda kulingana na Neno hili. Uzoefu huu unatusaidia kuitambua nyuso za baadhi ya ndugu wengi kandokando yetu na kuona hisia na tabia za Kristo kwa ajili yao. “Kusikiliza neno lake kunatupatia nguvu ya kumfuata mpaka mwisho.” Hii ni njia kamili ya kujibu kwa pendekezo la kuishi kama “wana wapendwa” wa Mungu katika Mwana Mpendwa Yesu.

Fr Ndega

LA NOSTRA TRASFIGURAZIONE QUOTIDIANA



Riflessione su Mt 17, 1-9




      Sei giorni dopo aver presentato le condizione per seguirlo, Gesù prende tre dei suoi discepoli e sale su un alto monte. Il monte è molto significativo nel vangelo di Matteo. Questo evangelista scrive ai giudei e pertanto la sua intenzione è sempre presentare Gesù come il nuovo Mosè. Il monte nella Bibbia è un luogo privilegiato per l’esperienza di Dio e specialmente in questo vangelo il monte è molto menzionato perché è stato il punto di riferimento nei grandi avvenimenti della vita e missione di Gesù. Dall’inizio della vita pubblica fino all’ascensione, Matteo presenta 7 monti. Il numero 7, segno di pienezza e totalità, ci aiuta a capire l’importanza di questo luogo nell’esperienza rivelatrice di Gesù come Figlio amato.

       Vogliamo ricordare brevemente gli avvenimenti di questi monti per rafforzare ciò che abbiamo detto prima: Il Monte delle tentazione - durante le tentazioni, Gesù è portato su un monte altissimo dove ha confermato la sua fedeltà al progetto del Padre (Mt 4,8s). Il Monte delle Beatitudini - quando Gesù fa il discorso inaugurale del Regno di Dio, egli sale sul monte (Mt 5). Il Monte della preghiera - dopo la prima moltiplicazione dei pane egli congeda la folla e sale sul monte, in disparte, a pregare (14,23). Il Monte della moltiplicazione dei pani – la situazione ricorda l’evento delle Beatitudini, cioè, Gesù sale sul monte e lì si ferma e attorno a lui si raduna molta folla (15,29s). Monte del Calvario (27), Monte della Ascensione (28) e nel capitolo 17 troviamo il Monte della trasfigurazione. Vogliamo soffermaci su quest’ultimo.

       Gesù prende con sé alcuni discepoli e sale insieme su un alto monte. Secondo la tradizione cristiana, questo monte si chiama Tabor. Là egli è trasfigurato davanti a loro. Gesù fu trasfigurato davanti a loro e la bellezza di questa esperienza ha trasfigurato il loro modo di vedere. Gesù ha mostrato loro un po’ della sua gloria e la realtà futura della vita di coloro che lo seguono fedelmente. Egli invita loro a fare l’esperienza “dell’Alto” perché possano vedere meglio e capire il senso della sua consegna e il senso della loro partecipazione alla sua missione.

       La presenza di Mosè e di Elia fa riferimento alla rivelazione nell’Antico Testamento. Questi due parlavano con Gesù mostrando che non c’è rottura tra i loro insegnamenti e gli insegnamenti di Gesù, anzi, una continuità. Ma secondo la voce uscita dalla nube, è Gesù che ha l’autorità di insegnare e interpretare ciò che fu detto dagli “Antenati”. Il Padre rende testimonianza al suo Figlio con affetto, e lo presenta come punto di riferimento della nostra vita. Tutti siamo invitati ad ascoltarlo. Ascoltare nella Bibbia è un verbo molto importante; esprime il giusto atteggiamento dell’Ebreo pio di fronte alla Parola di Dio, assumendo l’impegno di praticare ciò che ha sentito. Così ascoltare la parola è intimamente correlato alla sua pratica.

      Gesù è la rivelazione massima di Dio. Nessun altro può rivelare Dio come egli fa. Veramente Dio ha parlato ai nostri padri. Ma “in questi giorni” tutto ciò che Dio continua a manifestare alla gente lo fa attraverso il suo Figlio Gesù. Anche coloro che non conoscono Gesù ricevono la rivelazione di Dio per mezzo di lui. In ogni fratello che loro sono capaci di aiutare possono trovare il proprio Cristo, che si identifica con coloro che sono più bisognosi (cfr Mt 25,31-46). La misura è l’amore/compassione. I loro gesti di compassione parlano di Cristo.

       I discepoli “avevano il desiderio di rimanere sulla montagna, ma una voce dal cielo li invitò ad ascoltare e obbedire Gesù”. Dio ci invita spesso a fare esperienza profonda della sua presenza come è successo ai discepoli sul monte, per esempio, quando partecipiamo ad una celebrazione o a una giornata di preghiera e così via. Esperienze come queste rafforzano la nostra fede e il nostro zelo per l’opera di Dio. Naturalmente vogliamo che questa esperienza abbia lunga durata. Ma il nostro cammino di fede è fatto tra “scalare il monte” (simbolo del rapporto personale con Dio) e “scendere il monte” (simbolo della esperienza di fraternità).

        Ogni giorno siamo invitati a sperimentare una trasfigurazione tramite l’ascolto e pratica della Parola di Gesù. Questa esperienza ci fa recuperare “l’ascolto dell’interiorità che ci porta in alto, sul monte, a fissare lo sguardo su Cristo” e ci aiuta anche a riconoscerlo nei volti sfigurati di molti fratelli e sorelle intorno a noi ed avere verso di loro gli stessi sentimenti e atteggiamenti di Gesù Cristo.  “Ascoltare la sua parola ci dà la forza di seguirlo fino alla fine”.  Qui abbiamo il modo giusto per rispondere alla proposta di vivere anche noi da “figli amati” di Dio nel Figlio amato Gesù.

Fr Ndega



domingo, 1 de março de 2020

IL TEMPO DI FARE LA SCELTA GIUSTA



Riflessione su Genesi 2, 7-9; 3,1-7; Romani 5, 12-19; Matteo 4, 1-11




        Abbiamo iniziato un periodo di penitenza chiamato dai cristiani di Quaresima. Trattasi di quaranta giorni di preparazione per la celebrazione del mistero della Pasqua di Cristo. Questo periodo ci propone una esperienza di deserto. Per la maggior parte dei capi della Bibbia, il deserto sempre è stato un posto speciale per l’esperienza di Dio, esperienza di purificazione e decisione. Loro cercavano questo posto specialmente prima di eventi importanti nella loro vita in modo che potessero svolgere la loro missione con entusiasmo e fedeltà. Così è la Quaresima come preparazione per l’evento più importante della nostra fede, cioè la risurrezione di Gesù.

        Il brano della Genesi racconta che l’essere umano fu plasmato dalla polvere della terra per ricevere la vita di Dio in se stesso. Insieme a un buon posto per vivere, l’uomo ha ricevuto anche in regalo tutto ciò di cui aveva bisogno per coltivare la comunione con Dio e l’armonia con il creato che fa parte della sua vita. Ma la tentazione di utilizzare i suoi doni per se stesso lo ha portato a interrompere la comunione con Dio e organizzare la sua vita in modo molto diverso da ciò che Dio ha pensato per lui. Vivere come se Dio non ci fosse è rubare dalla vita il suo vero senso.

    La lettera ai Romani riprende l’argomento del brano della Genesi e parla delle conseguenze della decisione del primo essere umano per tutta l’umanità e parla anche dell’intervento di Dio tramite l’uomo Gesù Cristo. Allora, Il primo essere umano preferì obbedire al serpente, simbolo di satana, che obbedire a Dio. Questa realtà ha portato la morte per tutti gli uomini. Gesù è il Vero Uomo, che ha riscoperto il piano di Dio e vinto il male attraverso l’obbedienza al Padre. Questa scelta ha fatto la differenza perché ha portato la vita per tutti.

     Dopo il battesimo, Gesù è condotto dallo Spirito nel deserto ed è rimasto in questa esperienza per quaranta giorni e quaranta notti. Il numero quaranta nella Bibbia è simbolico, usato per parlare di un lungo periodo. Esso ci fa ricordare i quaranta giorni che Mosè rimase sul monte Sinai per ricevere i dieci comandamenti; sui quarant'anni della purificazione dei figli d’Israele nel deserto; ancora i quaranta giorni di Elia camminando verso il monte Horeb per incontrare Dio e ricevere istruzioni per la sua missione di profeta.

    Oltre l’esperienza di preghiera e digiuno, Gesù è stato anche tentato da Satana. Diversamente degli altri evangelisti, Matteo mette le tentazioni alla fine dell’esperienza. Il tentatore ha iniziato dalle piccole cose, approfittando della riduzione della forza fisica di Gesù a causa del digiuno. Il diavolo voleva scoraggiarlo, ma Gesù consapevole della sua identità e del senso della sua missione, sceglie di rimanere fedele al Padre. Tutte le tentazioni erano contro il tipo di messianismo che Gesù ha scelto. Gesù fu tentato di usare il suo potere a proprio beneficio, invece di usare amore, compassione nei confronti degli altri, di fare la propria volontà e non quella del Padre e di cercare onore per se stesso piuttosto che proclamare la gloria di Dio e il suo Regno.

       Queste tentazioni sono poste all’inizio della missione di Gesù come anticipazione delle numerose opposizioni che Egli dovrà subire lungo la sua missione, fino all’ultima violenza della morte. In esse viene anticipata anche la sua vittoria finale nella risurrezione. Come è successo a lui, anche noi siamo tentati di vivere senza considerare Dio come unico punto di riferimento nella nostra vita. Le trappole del tentatore ci portano a preferire l’uso dell’autorità più che il servizio, a costringere più che proporre, cercare privilegio più che l’amore, a vivere da ipocriti più che essere autentici. Come in Gesù è ormai vinto il nemico di Dio, la sua scelta diventa per noi motivazione perché le nostre scelte possono fare la differenza. Secondo Sant’Agostino “Se in Cristo siamo tentati, in lui noi vinceremmo il diavolo. Cristo avrebbe potuto lanciare il tentatore via da lui; ma se non fosse stato tentato non ci avrebbe insegnato come vincere sulla tentazione”. Se “in Cristo siamo noi che siamo tentati”, allora, è certo che con lui anche noi saremo vincitori. Basta che ci lasciamo guidare dallo Spirito e dalle Scritture come ha fatto Lui.

Fr Ndega