sexta-feira, 20 de março de 2020

“ANDRÀ TUTTO BENE”



Riflessione a partire di 1 Sam 16,1b, 6-7,10-13a; Ef 5.8 a 14; Gv 9,1-41




        Gesù ci ha rivelato il vero volto di Dio: il Dio che è misericordia, che si occupa della vita umana, il Dio che è amore, il Dio che è Padre. Ma spesso si sente dire che “Dio punisce”; o “Dio esige” per essere fatto in questo modo... e non il contrario; o ancora, quell’uomo ha ucciso “in nome di Dio”, o davanti alla situazione che l’umanità sta vivendo, qualcuno dice, questo è “volontà di Dio”, ecc. Forse stiamo parlando dello stesso Dio rivelato da Gesù Cristo? Certamente, no.

      Se Dio è buono ed è il primo interessato ad eliminare il male della nostra vita, sarebbe una contradizione e grande sacrilegio l’attribuire alla sua volontà il male avvenuto nella vita dei suoi figli. Per questo la frase “Andrà tutto bene” oltre ad essere un messaggio di ottimismo, è un invito alla fiducia in Colui che non vuole il male, che non è indifferente a quello che si passa con noi, che lotta con noi, ma che ha il suo modo proprio d’agire. E proprio per questo, “tutto andrà bene!”[1]

       Il primo brano parla dell’elezione e l’unzione di Davide. I criteri utilizzati per questo sono contrari a tutte le aspettative umane. Spesso noi guardiamo le persone per l’aspetto fisico, e consideriamo molto la forza, la capacità di parlare e tutto ciò che ci colpisce - e che sono solo gli aspetti esterni. Il Signore vede diversamente. Ai suoi occhi, il più importante è il più piccolo, l’insignificante, il semplice, l’umile.

      Dio vede bene perché vede oltre, cioè, quello che accade dentro i cuori della gente. Pertanto, vede bene solo chi vede con gli “occhiali” (sguardo) di Dio, per poi agire secondo il suo cuore. Sappiamo che il cuore è il centro delle nostre decisioni; è lì che possiamo decidere di vivere da fratelli o da nemici, da figli della luce o da figli delle tenebre.

     Ma prima di qualsiasi decisione, San Paolo ci invita a considerare che siamo stati illuminati da Cristo per essere e vivere come figli della luce. Da parte di Dio, la nostra condizione di essere figli della luce è già stata garantita, ma la continuità di questo processo è una risposta di tutti i giorni. Mi hanno sempre colpito le parole di un Santo che dice: “Che cosa siamo? Noi siamo figli di Dio; e che cosa siamo diventati? Questa è la nostra risposta a lui”.

       Naturalmente, nella nostra risposta non possono mancare i frutti di bontà, giustizia e verità. È buono a sapere che Dio ha un piano di amore per la nostra vita e ci ha dato tutte le condizioni per realizzarlo. Ci dice per mezzo del profeta Geremia: “Non è un figlio carissimo per me Efraim, il mio bambino prediletto? Ogni volta che menziono il suo nome me ne ricordo sempre con affetto. Per questo il mio cuore si commuove per lui e sento per lui una profonda tenerezza” (Ger 31,20).

     In Gesù, Dio ha un modo particolare di guardare. Gesù vede un cieco nato e il suo sguardo è di tenerezza e compassione. Là dove tutti vedevano un condannato, uno punito da Dio, Gesù vede un figlio amato, che ha un profondo desiderio di partecipare pienamente alla comunità, vedere e riconoscere gli altri come veri fratelli e sorelle. La questione sollevata dai discepoli rivela la mentalità del tempo che considerava cecità e altre malattie come punizione, “volontà” divina.

       Gesù non risponde su chi ha causato la cecità. Egli preferisce rivelare la vera immagine di Dio attraverso un modo speciale di cura per le persone. Guarendo un cieco nato, Gesù ha anche rivelato la sua identità di Messia, in quanto secondo la profezia del profeta Isaia solo il messia atteso ha potere di fare tale attività (Is 29,18). Quindi si comprende la ragione delle domande dei farisei al cieco e la loro resistenza ad accettare questa azione fatta da Gesù.

       Guarendo quello uomo, Gesù si rivela come luce del mondo e assicura che colui che lo segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita. Seguire Gesù è camminare nella luce. E questa sequela accade in un’illuminazione progressiva, come è accaduto al cieco. La saliva di Gesù mescolata con la terra ha causato un effetto illuminatore, rigenerante. È la nuova creazione che accade per il cieco come era al principio, quando Dio plasmò l’uomo dall’argilla della terra e dal suo respiro è venuta la vita. La saliva di Gesù è simbolo della sua Parola che ci dà nuova visione e ci motiva a camminare.

       Però riconoscere la funzione della parola di Gesù nella nostra vita non è sufficiente per essere suo discepolo. Bisogna riconoscerlo come qualcuno che è più di un “uomo chiamato Gesù” e più di un “profeta”. Egli è il Messia atteso, il Cristo di Dio e vuole rivelarlo nell'incontro personale con ognuno di noi in modo che possiamo riconoscerlo e testimoniarlo. È proprio nella preghiera vissuta in profondità che si dà l’identificazione del discepolo con il Maestro e non basta un unico incontro per decidere di credere in Gesù e seguire i suoi passi.

      In questo intero processo possiamo giungere a tre importanti conclusioni per il nostro cammino. In primo luogo, si tratta della visione che abbiamo di Dio. Abbiamo bisogno di correggere le nostre immagini di Dio. È un errore pensare che possiamo controllare Dio con le nostre misure piccole. Non possiamo mettere limiti alla sua generosità e misericordia. Dobbiamo lasciare che Dio sia Dio, e che si riveli a noi con tutta la potenza del suo amore.

       In secondo luogo, si tratta della visione che abbiamo degli altri. Dobbiamo imparare a guardare attraverso gli “occhiali di Dio”, perché normalmente abbiamo una visione incompleta, deficiente. Quando guardiamo le persone facilmente le giudichiamo e anche condanniamo. Lo sguardo di Dio non giudica, non condanna, ma motiva la persona a camminare perché è pieno di tenerezza e compassione.

     In terzo, si tratta di sintonizzarci con il desiderio di Dio. Il desiderio di Dio è quello di “formare in noi e il cuore di suo Figlio”. Questo è un processo lungo che accade ogni giorno attraverso l’ascolto della sua Parola che ci chiama alla conversione, ci porta consolazione e ci motiva all’azione. Ogni giorno sono chiamato a capire quello che il Signore sta facendo nella mia vita. Ogni avvenimento è sempre una nuova opportunità per rispondere a una chiamata divina. Che la drammaticità del momento presente non ci impedisca di sentire che non lottiamo da soli e così possiamo spalancare le porte del nostro cuore alla speranza sicuri che “andrà tutto bene”.

 Fr Ndega




[1] Questa frase viene da Giuliana di Norwich (8 novembre 1342 – 1416) che è stata una mistica inglese, considerata una delle più grandi mistiche della storia; è commemorata come santa dalla Chiesa Anglicana (l'8 maggio) e come beata dalla Chiesa Cattolica (il 13 maggio). In una delle sue visioni il proprio Gesù le avrebbe detto: “Il peccato è una tragedia perché vi fa un male incredibile, ma tutto andrà bene, tutto finirà bene, e ogni sorta di cose andrà bene”. (Little Gidding, III tempo, vv. 17-19; 43-50)

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