domingo, 28 de junho de 2020

LA RADICALITÀ DELLA SEQUELA DI CRISTO


Riflessione su 2Re 4,8-11.14-16a; Mt 10, 37-42


 

      Dio ama l’essere umano in modo libero e gratuito, cioè non c’è nulla che lo obblighi a farlo ed allo stesso tempo non esige di essere amato dall’essere umano né di essere contraccambiato per alcun bene fatto. Tuttavia aspetta solo che l’amore dell’essere umano così limitato e debole segua la via che egli stesso ha percorso nel suo modo d’amare. È certo che non arriveremo mai ad amare come Dio ma possiamo intraprendere la via giusta che ci avvicina a lui.

      Il profeta Eliseo è stato inviato a Sunem per visitare una coppia che non aveva figli. La donna lo ha accolto riconoscendolo come un uomo di Dio e con il marito gli ha preparato una buona sistemazione nella loro casa accogliendolo come un membro della loro famiglia. A motivo di tanta generosità ricevono il dono di potere generare un figlio. Dio si prende cura dei bisognosi e non si lascia vincere in generosità. Se siamo generosi nei suoi confronti Egli ci darà molto di più.

     San Paolo ci fa riflettere sul significato e l’importanza del nostro Battesimo il quale ci unisce a Cristo come membra del suo Corpo, chiamati a vivere la sua stessa condizione. Come è successo con Cristo, che ha provato la morte, è stato sepolto ed è risorto, così avviene in modo spirituale per ogni persona che fa l’esperienza del battesimo: è immersa nella morte con Cristo, seppellendo l’antica condizione dell’uomo vecchio per rinascere con Cristo ed in Cristo come creatura nuova.  

       Nel Vangelo Gesù chiede un amore totale ed esclusivo dai suoi discepoli, vale a dire “Chi ama il padre o la madre, il figlio o la figlia più di me non è degno di me, chi non prende la propria croce e non mi segue non è degno di me”. Gesù non intende un disprezzo per i familiari. Vuole un amore prioritario nella vita di chi ha deciso di seguirlo. E’ una proposta radicale, una via che configura ogni discepolo al maestro e che non va percorsa senza rinunce e sacrifici. Ma il vero discepolo sa che il sacrificio assunto per causa di Cristo non è inutile; è espressione d’amore.

       Per Gesù amare vuol dire “dare”, come ha fatto il Padre: “Tanto Dio ha amato il mondo da dare il proprio Figlio”; e come lui stesso ha fatto: “non c’è amore più grande di questo, dare la vita per gli amici”. È a questo amore a cui è chiamato il discepolo, un amore vero, espresso nel dono di sé con totale libertà e gratuità. A questo punto, si capisce che l’amore del discepolo verso colui che lo ha chiamato non si oppone all’amore per i familiari. L’amore prioritario che Gesù chiede nel cuore del discepolo è quello che genera, motiva e dà senso all’amore ai familiari.

       Nei versetti che precedono questo brano Gesù aveva detto che non è venuto a portare la pace, ma la spada. Lui parlava proprio della divisione che può essere causata dal suo messaggio. Ha invitato la gente a prendere una decisione: vivere in modo diverso il rapporto con Dio e le relazioni nella famiglia. L’amore che Gesù richiede ai suoi ci fa ricordare il dialogo in cui lui ha chiesto a Pietro per tre volte, “Simone, figlio di Giona, mi ami più di costoro? Gesù conosce la debolezza dei suoi discepoli, ma chiede di amarlo veramente poiché sarà Lui stesso a renderli in grado di amare così.

      Tramite le parole di Gesù i discepoli hanno avuto la possibilità di riflettere sul senso del loro cammino. Gesù è stato molto onesto presentando le condizioni per essere veri discepoli ed evitare una sequela fatta in qualsiasi modo. Per una vera sequela di Cristo i discepoli devono assumere le conseguenze di questa decisione. Quello che dicevamo riguardo i familiari vale anche per le altre situazioni. Chi ha incontrato Gesù ha trovato il vero tesoro della sua vita e non può rimanere come prima; la persona è chiamata a valutare le altre cose in modo diverso, cioè, non c'è nulla che possa dare vero senso alla sua vita, se non Gesù stesso.

       Gesù ci ha affidato il suo regno e ci presenta la via della croce in modo che possiamo fare la volontà del Padre suo. In questo modo, ci rendiamo conto che seguire Gesù non porta fama e nemmeno status, ma sacrificio personale e consegna quotidiana per il suo regno. Così, chi vuole vivere nella tranquillità, senza difficoltà e, quindi, senza croce non sarà mai un vero discepolo. Prendere la croce è un segno della nostra disponibilità ad accogliere la volontà di Dio per la nostra vita. Seguire la logica di Cristo è imparare ad essere dono, essendo disposto alle prove poiché la nostra identità cristiana è un andare controcorrente. Insomma, se siamo in grado di vivere con più qualità le nostre relazioni permettendo che Dio si riveli attraverso di esse, certamente sarà possibile quell’amore totale ed esclusivo che Gesù ha chiesto nella sua identificazione con chi lo segue.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

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