sábado, 27 de outubro de 2018

COSA LA NOSTRA FEDE (NON) CI FA VEDERE?



Riflessione a partire di Ger 31,1-7; Eb 5,1-6; Mc 10, 46-52


     Il brano di Geremia è un invito alla gioia perché il Signore sta per compiere un’opera stupenda nella vita del suo popolo; anzi, quest’opera è già cominciata. Egli è un padre pieno di tenerezza per il suo popolo, specialmente per i più deboli tra noi. Egli attira a sé ogni vivente per fare sperimentare la sua salvezza perché “la sua tenerezza abbraccia ogni creatura”. Egli ci dice oggi: “tu che ascolti, tu che soffri, tu che ami, tu che preghi, tu sei mio figlio prediletto, mia figlia prediletta!” Davanti a un Dio che agisce così nei nostri confronti, il nostro atteggiamento deve essere di totale fiducia, lasciando spazio all’azione della sua grazia nella nostra vita, cioè, lasciando che Dio sia Dio in noi.

     Il brano della Lettera agli Ebrei ci porta l’immagine del sacerdote che è scelto fra gli uomini e costituito per il bene degli uomini. Lui è rivestito di debolezza e per questo è in grado di sentire giusta compassione per coloro che commettono errori. Questa realtà parla proprio della identità di Gesù Cristo, vero sacerdote, che “riunisce nella sua persona la debolezza dell'uomo e la potenza rinnovatrice dell'Altissimo”. La dignità di sommo sacerdote non si dà da se stesso, ma l'ha ricevuta dal Padre. Anche noi a partire dal nostro battesimo, abbiamo in Lui una dignità sacerdotale che è servizio alla salvezza. Essa è prima di tutto un dono, un’iniziativa di Dio a cui noi dobbiamo rispondere con fedeltà e gioia. Siamo aiutati dalla sua grazia e dalla comunità perché possiamo vivere la nostra vocazione come un dono per gli altri.

        Il brano del vangelo parla della guarigione del cieco Bartimeo e, quindi, la rivelazione di Gesù come luce che ci dà nuova visione. Questo miracolo è avvenuto mentre Gesù usciva dalla città di Gerico, cioè, nella periferia. Questa è una delle città più antiche del mondo. È stata scenario di alcuni importanti eventi biblici; anche nel tempo di Mosè si parlava di questa città. Ricordiamo il blocco e la presa di Gerico da parte degli Israeliti sotto la guida di Giosuè (Gio 6, 1-27). Ricordiamo anche l’evento di Zaccheo: il cambiamento della sua vita è successo proprio a Gerico. Questa città è vicina al fiume Giordano e Gesù l’ha visitata molte volte. In una di queste ha avuto un incontro con il cieco Bartimeo che era seduto lungo la strada a mendicare. Certamente questo cieco ha sentito parlare più volte di Gesù e desiderava molto una opportunità di incontrarlo. Ed ecco l’opportunità è arrivata! L’entusiasmo di Bartimeo è stato tale che non c’era nessuno che potesse farlo tacere: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Gesù si commosse e lo chiamò. Il cieco gettò via quello che gli dava sicurezza e con un salto andò verso Gesù e guarito, lo seguì.

      Il grido di Bartimeo è il grido di ogni uomo consapevole della sua debolezza e quindi bisognoso della misericordia di Dio. La situazione del cieco è simbolo della esclusione evidente di molti nostri fratelli e sorelle vittime dell’ingiustizia e della disuguaglianza sociale. Questa è una opportunità per riconoscere che molte persone sono “cadute” o state abbandonate lungo le vie per cui passiamo. Loro gridano per misericordia e opportunità perché credono che coloro che dicono di essere seguaci di Gesù possano ascoltare la loro voce e fare loro del bene. Gesù ha sentito non soltanto il grido del cieco ma anche il grido di coloro che hanno detto al cieco: “taci!”, dimostrando indifferenza dinanzi alla sua situazione. Gesù condanna l’indifferenza perché distrugge la fraternità e nega l’identità del vero discepolo.  

       Certamente la risposta di Gesù è stata un misto di misericordia e indignazione perché si trovava dinanzi a due cecità: la cecità di Bartimeo e la cecità della gente che lo seguiva ma senza comunione con i suoi sentimenti. Dobbiamo domandarci: chi è cieco di più, colui che è cieco dalla nascita o coloro che non riescono a vedere o percepire i bisogni di coloro che vivono accanto a sé?  Per fortuna tra quella gente c’erano anche altri che hanno detto al cieco: “Coraggio! Alzati, Egli ti chiama! Egli non si è dimenticato di te né abbandona coloro che confidano in lui!” Queste voci esprimono l’atteggiamento di persone che assumono l’impegno di motivare coloro che sentono difficoltà a credere a causa di qualche delusione o mentalità opposta alla fede. Queste voci sono anche segno degli strumenti che Dio usa per farsi sentire nella vita e nel cuore di coloro che sono in ricerca della loro vocazione perché siano consapevoli della chiamata divina nelle sue scelte fondamentali. 

      Il Gesù che seguiamo è molto umano. Ha gli occhi e le orecchie attenti alla situazione della gente. Egli ci invita ad avere la stessa sensibilità. Spesso siamo come il cieco Bartimeo, cioè, abbiamo difficoltà a vedere bene e cerchiamo una opportunità, un incontro che ci trasformi veramente al fine di vedere chiaramente ciò che sta accadendo intorno a noi e seguire Gesù che porta un nuovo senso alla nostra vita. Ma alle volte siamo anche come la folla che seguiva Gesù: ci sentiamo molto vicini a lui ma lontani dai fratelli e sorelle che convivono con noi e addirittura pensiamo di avere l’autorità di dire agli altri: “dovete tacere!”. Secondo il vangelo di oggi, siamo dinanzi a un grande equivoco. Dovremmo essere attenti a certe esperienze che ci aprono a Dio, ma ci chiudono agli altri. Se la nostra fede non ci conduce agli altri né ci rende compassionevoli dinanzi ai dolori altrui, questa fede è cieca. Non ci fa vedere bene. Ha bisogno di essere evangelizzata (guarita). Chiediamo a Dio la grazia di una vera fede.

Fr Ndega 
Revisione dell'italiano: Giusi

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