domingo, 21 de outubro de 2018

“CHI NON VIVE PER SERVIRE NON SERVE PER VIVERE”



Riflessione su Is 53, 10-11; Eb 4, 14-16; Mc 10, 35-45

      La vita di chi serve gli altri secondo la carità di Cristo è piena di senso perché fa sperimentare la vera gioia. La persona realizzata non è chi è pieno di titoli e successi ma chi ha imparato a fare della vita dono per gli altri con umiltà e pazienza. Così dice San Paolo: “Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri” (Fl 2, 3-4). Vive veramente chi serve agli altri non chi si serve degli altri. Qui vale questa massima: “chi non vive per servire non serve per vivere”.

         È proprio su questo che ci fa riflettere la liturgia di questa domenica. La prima lettura, dal profeta Isaia, è tratta da uno dei cantici del “servo del Signore”. Secondo questo brano, il servo è una persona veramente realizzata perché ha saputo dare un vero senso alla sua vita donandosi per gli altri. La sua esistenza vale molto agli occhi del Signore e tutto ciò che fa ha lo scopo di rivelare la volontà di Colui che lo ha costituito suo servo. A causa della sua fedeltà al Signore che lo ama e gli è vicino, molte persone saranno salvate. La comunità cristiana vede in questo servo il proprio Gesù, che con la sua vita e missione rivela agli uomini il progetto salvifico del Padre. Secondo la Lettera agli Ebrei, Gesù è il sacerdote di cui abbiamo bisogno, qualcuno come noi, che prende su di sé le nostre debolezze - fuorché il peccato - per mostrarci la via per resistere alle suggestioni del male e accettare di vivere aiutati dalla grazia di Dio.

       Nel Vangelo due dei discepoli di Gesù andarono da lui per fargli una richiesta. Volevano che nella sua gloria, potessero occupare i posti principali, vale a dire, uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra. Questa richiesta dimostra che non hanno capito nulla sull’identità e la missione del loro maestro. È importante ricordare che questa sconvolgente situazione si è verificata dopo che Gesù aveva rivelato per la terza volta il mistero della sua pasqua, la sua passione e morte e alla fine la gloria per la risurrezione. In un altro momento, mentre Gesù parlava di questi eventi importanti, i discepoli discutevano su chi dovrebbe essere il più grande tra di loro. Così dimostravano che le loro aspettative e il loro modo di pensare erano ancora lontani dalla proposta di Gesù. Egli, dopo aver capito che questa mentalità era presente anche negli altri richiamò a sé i dodici per riportarli all’essenziale della sua sequela.

        I due discepoli di Gesù erano affamati di protagonismo, successo, fama e desiderio di dominio. Anche gli altri dieci cercavano le stesse cose e non volevano rimanere indietro. Stavano impostando la loro vita in una direzione totalmente opposta alla proposta del loro maestro. In altre parole, avevano un progetto di vita molto chiaro da compiere, ma avevano scelto la persona sbagliata da seguire per compiere questo progetto. Davanti a questa divisione nel gruppo a causa della competizione per essere il primo e comandare, Gesù li chiama a sé come la prima volta, correggendo quello che non va: “Egli rimuove l’idea che hanno costruito su loro stessi” e su di Lui. Gesù usa questa opportunità per riprendere con loro le condizioni per essere veri discepoli.

        Essi dovranno capire che lui ha una scelta e una logica diversa da quella del mondo. “Nel Regno di Gesù, coloro che hanno autorità esistono non per sfruttare gli altri o dipendere dall'onore e dal servizio del popolo, ma i capi sono i servi del popolo”.  Il punto di riferimento di tutto questo si trova nella vita stessa del maestro Gesù: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti”. Non c'è altro modo per trovare il senso vero della vita. Chiunque decida di seguire Gesù non può continuare a pensare e ad agire come prima. La nuova condizione di persona richiede dal discepolo/a un atteggiamento diverso.

       “Gesù trovò una forte resistenza a Gerusalemme che gli costò il perdere la vita. Ma quello che Gesù sperimenta è un servizio d’amore per il suo popolo (Mc 10:45)”. È attraverso la fede in Cristo e l’ispirazione della parola di Dio che chiunque può affrontare le avversità, rifiuti e sofferenze senza rinnegare la sua fede. Quindi, vivere o coltivare la vocazione di servo con fedeltà non è molto facile, perché ci sono alcune realtà che fanno opposizione alla nostra decisione, vale a dire, la mentalità attorno a noi contraria alla proposta del Vangelo, l’incomprensione dei propri familiari, la tendenza umana che dentro di noi ci porta a cercare di essere serviti piuttosto che servire, la mancanza di una fede forte e la perseveranza nel fare del bene, ecc. Tutte queste cose fanno parte del nostro cammino insieme al nostro desiderio profondo di fedeltà a Colui che ci ha affidato una missione.

       Ma non possiamo dimenticare che non camminiamo da soli. Colui che accetta “donarsi come dono a tutti gli uomini" è il nostro esempio e ci assicura il suo aiuto perché possiamo perseverare nel servizio agli altri anche in mezzo alle prove. Se è l’amore quello che dà senso alla vita, non c’è un altro modo di vivere con senso se non attraverso un servizio umile e generoso agli altri come una forma concreta di amare e come identificazione con Colui che “morto e risorto per noi, si offre alla nostra libertà e la provoca a cercare, scoprire e annunciare questo senso vero e pieno”.

Fr Ndega 
Revisione dell'italiano: Giusi

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