sábado, 12 de dezembro de 2020

LASCIARE DIO ESSERE DIO

 

Riflessione a partire da Is 61, 1-2a. 10-11; 1Ts 5, 16-24; Gv 1, 6-8.19-28




 

        “Io gioisco pienamente nel Signore”; “Gioite sempre nel Signore!” Stiamo per celebrare il Natale, festa della gioia, e questi brani intendono anticipare nel nostro cuore il clima che vivremo fra poco. Il Signore che deve venire, secondo il Battista, è già in mezzo a noi e vuole trovarci così: lieti. E la nostra gioia si esprime specie nella preghiera fervorosa e nella carità ardente.

      Non dobbiamo spegnere lo Spirito che è stato acceso in noi. È lui che ci fa esultare di gioia per la salvezza con cui siamo stati rivestiti e ci manda a portare questo lieto annuncio a tutti. La gioia è condizione vitale per una testimonianza e una ricerca della santità che siano credibili: “un santo triste è un triste santo”. Cerchiamo di imparare da Giovanni a gioire a pieno alla voce dello Sposo (Gv 3, 29).

      Il vangelo definisce Giovanni come ‘un uomo mandato da Dio’. Da questo mandato dipende tutta la sua esistenza. Egli era consapevole della sua missione perché ha ricevuto un mandato da Dio per questo. Così sono i profeti: loro non inventano la loro “missione”, semplicemente la accolgono. È una iniziativa divina a partire da un rapporto intimo con la persona scelta e con una finalità ben concreta – come nel caso di Giovanni - per dare testimonianza alla luce.

        Giovanni è un mediatore, un precursore. Tramite lui la gente è stata attirata alla luce e come un vero testimone, al momento giusto, si è fatto da parte per non offuscare il brillio della vera luce. Questo atteggiamento ci fa ricordare quello che dicevano i samaritani alla donna: “Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito…” (Gv 4, 42). Pensiamo alla grande gioia che quella donna ha provato dopo aver compiuto con esito la sua missione!

       Giovanni è interrogato sulla sua identità, vale a dire, ‘tu, che dici di te stesso?’ La sua risposta è una grande lezione di umiltà, contrariando tutte le aspettative umane. Di solito usiamo ogni occasione opportuna per presentare i nostri titoli e le cose che facciamo. In altre parole, normalmente parliamo di noi stessi. Giovanni invece no. Quello che egli risponde in questo brano riguardante Gesù ha uno scopo molto chiaro e viene ripreso al capitolo 3 di questo stesso vangelo: “Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3, 30).

        La vera testimonianza di Giovanni è una negazione di se stesso per affermare l’identità di un altro. La sua vera identità era quella di annunciare l’identità di un altro. La testimonianza di Giovanni è già annuncio di come dovrà essere la vita dei futuri discepoli di Gesù: essere in mezzo alla società come il lievito nella pasta, per cambiarla, senza richiamare tanto l’attenzione. Riguardo a questo affermava Don Calabria: “Busetta e tanetta…”; “L’Opera sarà grande se sarà piccola”. 

         Giovanni dichiara di essere soltanto una voce che grida nel e dal deserto: ‘rendete diritta la via del Signore’, diceva. I profeti sono ‘portavoce di Dio’, cioè parlano in nome di Dio. E questo è dovuto a una intensa esperienza di lui, vissuta nella solitudine del “deserto”. I grandi personaggi biblici hanno trovato in questa esperienza la ragione della loro identità, la forza e l’entusiasmo necessario per la missione che Dio ha affidato loro.  Dopo questa esperienza di cambiamento personale, Giovanni è in grado di proporre dei cambiamenti alla gente. Il suo compito è preparare le persone per l’incontro con “Colui che era già in mezzo a loro ma che esse non conoscevano”.

       La testimonianza di Giovanni è vera perché parte da una rivelazione su Gesù fin dall’inizio quando era ancora nel grembo di Elisabetta. Ci sono delle persone che trovano senso per la loro vita cercando riconoscimento dagli altri. Giovanni invece trova senso nell’essere solo la voce che annuncia una presenza, che prepara l’incontro e, al suo tempo, si assenta per non disturbare il rapporto che ognuno è chiamato a fare con Colui che è già in mezzo a noi.

      La mediazione di Giovanni non dà fastidio ma facilita. Il suo esempio ci fa capire che bisogna essere consapevoli della propria identità per non occupare il posto che appartiene a un altro. E Giovanni non ha nessuna pretesa in questo senso perché sa che il punto di riferimento non è se stesso ma un altro. Lui è la voce che annuncia la Parola. Quando finisce il suono rimane solo la Parola. Il suo gesto di battezzare la gente annunciando la misericordia di Dio è stato significativo in quel momento e poi si è fermato perché annunciava un altro battesimo che rimarrà per sempre trasformando interiormente il cuore di ogni persona.

       Questo gesto che la Chiesa ripete fin dall’inizio della sua fondazione configura la gente con Cristo. È un gesto che annuncia Cristo perché parla della nuova condizione di coloro che rinascono da Cristo. Nella nostra vita cristiana, è Cristo il punto di riferimento. Quando mettiamo noi stessi al centro, noi annunciamo un altro, non il Cristo quello vero. Dobbiamo pensare come diceva Madre Teresa, “Signore, quando penso solo a me stesso, attira la mia attenzione su un’altra persona”.

       L’esperienza intensa vissuta nel deserto ha dato a Giovanni Battista la consapevolezza della sua vera identità. La mancanza di intimità con il Signore può portarci ad occupare nella vita delle persone un posto sbagliato: il posto che appartiene unicamente a Dio. Non possiamo dimenticare che siamo soltanto “la voce e non la parola”. Una volta che abbiamo mediato, l’incontro, dobbiamo farci da parte come ha fatto molto bene il Battista. La nostra missione è “raccontare la bellezza di essere innamorati di Dio” con la vita più delle parole. Se leghiamo le persone a noi stessi, siamo noi i protagonisti e non Dio. Che prendiamo sul serio l’impegno di annunciare Dio senza prendere il posto che appartiene a Lui. In altre parole, lasciare che Dio sia Dio nella vita delle persone.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

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