sábado, 3 de fevereiro de 2018

OPPORTUNITÀ PER AMARE E SERVIRE


Riflessione su Gb 7,1-4.6-7; 1Cor 9,16-19.22-23; Mc 1,29-39

Il vivere è l’opportunità che ci è data per amare e servire ma diventa un’illusione quando sprechiamo il tempo che abbiamo vivendo per noi stessi, cercando soddisfazione e realizzazione personale nelle cose che passano. Questa è una malattia da cui il Signore vuole guarirci. Oggi Egli viene alla casa della nostra vita e solo all’interno di una relazione ci guarisce e ci fa alzare per servire con generosità e compassione. Non ha un’altra via per fare della vita l’opportunità piena per essere vissuta.
La storia di Giobbe ci insegna ad andare oltre l’esperienza che viviamo su questa terra. Egli era un uomo che viveva nell’abbondanza ma il suo cuore non era preso da quello che possedeva. Dopo che ha perso tutto ciò che era materiale e anche i suoi propri amici, passa a considerare “la vita un peso” a causa della sofferenza che lo ha colpito. Tuttavia mantiene la fede in Dio, ragione della sua speranza. Giobbe è consapevole della brevità della vita e per questo ha cercato di viverla secondo la volontà di Dio. Nella sua supplica “Ricordati…” ha una sottointesa allusione all’alleanza e alla fedeltà divine e per questo sa che non sarà deluso al momento definitivo della sua esistenza. Questa esperienza di Giobbe è un invito anche per noi a fare della nostra vita una costante consegna nelle mani di Colui per cui viviamo, ci moviamo e siamo.
Secondo la testimonianza di San Paolo, chi evangelizza, non lo fa per propria iniziativa. Evangelizzare è una missione che ci è stata affidata. Cristo ci ha donato il vangelo nella totale gratuità e ha detto: “avete ricevuto nella gratuità; date nella gratuità”. Per fare parte dell’opera del vangelo come vuole il Signore, la persona deve spendere tutte le sue energie nella totale gratuità. Chi evangelizza deve servire al vangelo non servirsi di esso. Il protagonista non è la persona che porta il contenuto ma il contenuto che la persona porta. In questo senso, dobbiamo star attenti perché la ricerca di privilegi, ricompensa e apprezzamento mette in rischio la credibilità del contenuto che portiamo. Per vincere questa tendenza dobbiamo fissare lo sguardo su Gesù.
Il vangelo inizia dicendo che Gesù ha lasciato la sinagoga e va con i suoi discepoli alla “casa” (di Pietro). È importante sottolineare questo passaggio perché quando Gesù visitava la sinagoga non andava a pregare ma a insegnare. In questo luogo Egli sempre ha affrontato opposizione ai suoi insegnamenti, perché il suo scopo era liberare la gente non servirsi della gente come facevano i suoi capi. Quando Gesù va alla “casa”, la situazione cambia totalmente. La casa ci rapporta all’esperienza familiare, all’intimità delle relazioni. Il clima che si sperimenta in questi incontri all’interno della casa permette che la salvezza avvenga: “oggi la salvezza è entrata in questa casa”.
Quando Gesù arriva alla casa di Pietro, subito i discepoli lo informano che la suocera è a letto a causa della febbre. Questo atteggiamento dei discepoli indica il punto di riferimento a cui rivolgersi per quanto riguarda la cura dei nostri cari e al rafforzamento dei rapporti familiari. Infatti questa richiesta viene incontro a ciò che Gesù davvero desidera fare per la causa dell’umanità intera. Subito Gesù si avvicina la prende per mano e la rialza. La vicinanza del Regno di Dio non è qualcosa teorico da raccontare. Trattasi di un prendere in mano l’umanità che si trova a letto con una febbre che la paralizza e le impedisce di servire e vivere in pienezza i suoi rapporti.
In proseguimento, la gente è attratta e si raduna davanti a casa perché sa che dentro della “casa”, specialmente al centro della “casa” c’è Gesù e questa esperienza genera vita nuova per tutti. Gesù è sensibile a tutti gli ammalati, li guarda con tenerezza e compassione, rivelando il vero volto di Dio che finalmente visita il suo popolo e partecipa della sua quotidianità. La fama e popolarità di Gesù crescono e tutti lo cercano, ma questo non gli impedisce di uscire per stare da solo con il Padre, la fonte che lo rende sempre capace di donarsi agli altri. Gesù è la perfetta sintesi tra l’essere tutto di Dio e tutto per il popolo che appartiene a Dio.
Gesù è libero per andare altrove. Non si lasciava prendere da nessuno. È consapevole di essere “patrimonio universale”. Egli si affidava al Padre, la gente affidava a Lui i suoi ammalati e la vita riprendeva il suo senso e vigore. Dall’esperienza di Gesù impariamo che bisogna pregare per discernere e a affidarsi per decidere. Solo la preghiera ci fa veramente umani perché ci fa sensibili ai bisogni degli altri. Solo la preghiera ci fa consapevoli delle nostri miserie e aperti alla esperienza della misericordia divina. Quindi, quando andiamo incontro agli altri, andiamo non come superiori o migliori di loro ma come persone che sono state guarite, perdonate. La preghiera vera ci apre alla eternità di Dio rendendoci tutto per tutti senza lasciarsi prendere da nessuno. Quello che siamo nel rapporto con gli altri dipende molto dalla qualità della nostra preghiera, cioè dalla intensità del nostro rapporto con Dio. La preghiera è esperienza fondante, senza di essa l’edificio della nostra esistenza crolla. Per questo diceva San Giovanni Calabria: “Potete lasciare tutto, eccetto la preghiera”.   

Fr Ndega
Revisione dell'italiano: Giusi 

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