domingo, 1 de junho de 2025

LA NUOVA MODALITÀ DI PRESENZA DI GESÙ

 Una riflessione a partire da Lc 24, 46-53




 

La festa di oggi parla di una presenza/assenza di Gesù, una nuova modalità della sua presenza. Dopo essere risorto dai morti Egli apparve per molto tempo ai suoi discepoli per infondere incoraggiamento e passare alcune consegne, vale a dire: confermò loro nella missione, li donò la sua pace e lo Spirito Santo. Voleva dire proprio questo: “Ora tocca a voi”. Questo non vuol dire che si è lavato le mani, anzi, aggiunse: “Sarò con voi sempre.” Egli non è più visibile ma può essere credibile. Non è più vivo, in carne e ossa fra i discepoli, ma resterà in ogni persona attraverso lo Spirito.

    Se alle volte ci chiudiamo in noi stessi per paura, lo Spirito ci viene a ricordare che non siamo soli e ci infonde coraggio per raccontare con gioia la bellezza di essere innamorato di un Dio che si fa vicino e si mette a servizio dell’essere umano, che ci dona tutto e non ci esige nulla. Luca menziona due aspetti per esprimere come i discepoli devono continuare la missione affidatagli dal maestro.  

Il primo aspetto è quello della tavola: mentre era a tavola dà loro delle istruzioni. I discepoli ricevono indicazioni per la missione vivendo l’intimità e familiarità con il maestro attorno a tavola. Questo rimanda all’eucaristia e ai tanti insegnamenti che ci vengono offerti mentre viviamo questa esperienza di comunione con il maestro e tra di noi. L’eucaristia fa la Chiesa e la Chiesa vive dell’eucaristia. Tutto nella nostra pastorale parte dall’eucaristia e converge verso di essa.

    Il secondo aspetto è quello di Betania: “Li condusse fuori, verso Betania. Betania ci ricorda l’esperienza di amicizia che Gesù viveva con Marta, Maria e Lazzaro. Questo rafforza la certezza che Gesù vuole mantenere una relazione personale con ciascuno. Se prima era insieme con i discepoli, ora è dentro di loro perché “quando Gesù è salito al cielo il cielo stesso è sceso sulla terra”. 

    La forza dall’Alto che ci viene donata ci assicura che Gesù, il nostro capo, è salito al cielo non per separarsi da noi ma per prepararci un posto. Senza merito nostro, possiamo entrare in cielo perché, portando la nostra umanità con sé ci rende partecipe della sua stessa condizione. Questo vuol dire che sarà sempre con noi perché siamo in lui. Mentre camminiamo su questa terra siamo pellegrini di una speranza che non delude, perché il nostro traguardo è Cristo; “la sua luce illumina la strada, la sua grazia ci fortifica nel cammino e la sua misteriosa presenza ci protegge e ci conforta”.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

sábado, 12 de abril de 2025

NELLE TUE MANI, O PADRE

 

Riflessione a partire di Lc 19, 28-40; Is 50, 4-7; Fl 2,6-11; Lc 22,14-23,56




 Stiamo iniziando la settimana più importante per le Comunità cristiane. Questa è la settimana che mette insieme gli avvenimenti centrali della nostra fede, narrando con molto simbolismo e profondità gli ultimi momenti di Gesù nella sua esistenza terrena e invitando alla contemplazione e al ringraziamento a motivo di tanto amore. Questa è anche un’opportunità per prendere sul serio la sequela di Cristo e lasciarci motivare dal suo esempio di fedeltà e decisione.

Abbiamo accompagnato la narrazione della entrata trionfante di Gesù a Gerusalemme per concludere la sua opera d’amore. La espressione della sua forza si trova nella mitezza e nell’umiltà. Infatti, egli non viene su un cavallo con arroganza e con un esercito potente come facevano i grandi generali quando entravano nelle città, ma viene su un puledro/asino, pieno di bontà e misericordia, così come è stata tutta la sua vita. Gesù è consapevole di ciò che gli accadrà ma non si lascia abbattere. La sua morte non sarà una fatalità ma il risultato di una missione profetica vissuta con fedeltà fino in fondo.  

Nella prima e nella seconda letture Gesù come Servo che nella sua identificazione con la condizione umana, si umilia, accetta di essere maltrattato e ucciso a causa della sua fedeltà a Dio. Il cammino di umiltà, dei piccoli gesti e l’opzione per ciò che è più insignificante nella società sono i segni autentici che identificano la vita di coloro che sono chiamati a continuare la sua opera di salvezza.    

La narrazione della passione inizia dicendo che Gesù ha tanto desiderato mangiare la pasqua con i suoi. La sua è una passione di amore e non c’è amore senza passione e senza desiderio. A tavola con i discepoli, prevedendo il tradimento di uno, il rinnegamento dell’altro e la fuga di tutti, Egli risponde con il gesto del pane spezzato in cui manifesta un traboccamento di amore e bontà nei loro confronti.

La distruzione del muro di inimicizia tra Erode e Pilato, il perdono per chi lo uccide e la promessa di vita per chi lo consola rivelano il quanto è vincitore colui che dona la sua vita per amore. Solo la persona che ama è in grado di donare la vita per la persona amata. La consegna dello Spirito nelle mani del Padre è una nuova testimonianza di comunione, di totale fiducia e abbandono alla sua volontà riempendo il mondo di speranza. Cristo ha fatto suoi i dolori di tutte le persone di tutti i tempi. Egli continua a soffrire in noi quando sperimentiamo il dolore e le prove nel nostro cammino. La sua risurrezione conferma che vale la pena aspettare una risposta del Padre il quale non abbandona mai coloro che si fidano di Lui.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

sábado, 22 de fevereiro de 2025

MISERICORDIOSI COME IL PADRE

 

Una riflessione a partire da Lc 6, 27-38

 

    Gesù ci ha rivelato il volto amoroso e misericordioso del Padre. Sembra che noi non abbiamo assimilato questa verità né ci disponiamo a farne l’esperienza. “Lo conosciamo male perché non ascoltiamo la voce del suo Figlio Gesù, che è venuto al mondo per rivelarcelo. Se lo conoscessimo bene, cercheremmo di essere anche noi come lui, benevoli con i malvagi e con gli ingrati”. Non ameremmo solo coloro che ci vogliono bene, coloro che ci sembrano degni del nostro amore, quelli simpatici, escludendo gli altri dal nostro amore, ma ameremmo gratuitamente, come lui.

    Viviamo in un mondo in cui prevale ancora la vecchia Legge del Taglione, che stabiliva: “Occhio per occhio, dente per dente”. Ciò significa violenza, vendetta nella stessa misura. Gesù, invece, chiede ai suoi discepoli di superare questa realtà offrendo l'altra guancia, cioè un'altra alternativa di azione. Non bisogna opporsi a coloro che sono violenti usando le loro stesse armi: saremmo come loro e la violenza non finirebbe mai. Solo la bontà del cuore può eliminare la violenza perché disarma le persone, portandole a riflettere meglio.

    Ricominciamo da capo! Cosa dobbiamo tenere presente, innanzitutto? Dio è amore. “Dio ama i nostri nemici – ecco quel che ci dice la croce – per loro egli soffre, per loro conosce la miseria e il dolore, per loro ha dato il suo Figlio amato”. Per questo è di capitale importanza che dinanzi a chi ci fa un torto, “subito pensiamo: Dio lo ama, per lui Dio ha dato tutto. Anche tu, ora, dagli ciò che hai…” il meglio di te, il tuo amore. Ma lo merita? Sì. Chi infatti merita di essere amato, chi è bisognoso del nostro amore più di colui che odia, chi fa dei torti? Chi è più povero di lui?

    Quando respingi il tuo nemico tu respingi il più povero dei poveri. Tutte le minacce, odio, aggressività sono in definitiva un mendicar l’amore di Dio, la pace, la fraternità. Per questo non dobbiamo giudicare, sparlare o condannare nessuno, poiché non si sa mai... “Perché piuttosto non condanniamo noi stesso e le nostre malefatte, che conosciamo con precisione e di cui dobbiamo dare conto a Dio? Perché usurpiamo il giudizio di Dio, che di ciascuno conosce la condizione, la capacità, il carattere, le attitudini?” Con i nostri giudizi non facciamo altro che ferire la dignità dell’altro.

    Ma perché ci capita questo, se non perché non abbiamo amore? L’amore copre un grande numero di peccati. Quando Gesù inviò i suoi discepoli li mandò per annunciare la misericordia. La nostra vita di discepoli di Cristo compie la sua finalità quando diventa un annuncio dell’amore e della misericordia del Padre come è stata quella di Cristo stesso. Solo così, saremo un vangelo vivente.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

 

 

domingo, 26 de janeiro de 2025

OGGI LA PAROLA SI COMPIE NELLA NOSTRA VITA

 

Ne 8, 2-4. 5-6. 8-10; Sal 18; 1 Cor 12, 12-31; Lc 1, 1-4; 4, 14-21




 

    Abbiamo cantato: siamo qui sotto la stessa luce, sotto la sua croce (o davanti). Siamo qui con Lui perché Lui è qui con noi. Egli è morto ed è risorto per renderci persone nuove. Siamo qui per ascoltare la sua parola e sentirla rivolta proprio a noi oggi in questo momento della nostra storia, in questo percorso che stiamo facendo verso il giubileo dei giovani. Oggi la Parola si compie nella nostra vita.

    Siamo qui perché vogliamo essere teofilo: teo – Dio, filo – amico, cioè, amici di Dio.  Se hai un amico, ti piace sentire cosa ha da dirti? È così la nostra amicizia con Dio. Egli ha tanto da dirci e quando parla dimostra tutta la sua tenerezza nei nostri confronti. Da noi viene chiesto soltanto l’ascolto attento e rispettoso della sua parola, come è successo agli israeliti, i quali sono rinati come popolo dopo il lungo ascolto della Parola di Dio. La Parola crea identità e ci fa rinascere.

    Questo ascolto consapevole, attento e gioioso della Parola ci rinnova continuamente e ci lega gli uni agli altri come membra di un unico corpo. L’apostolo Paolo sottolinea l’interdipendenza delle membra all’interno dello stesso corpo e questo porta non soltanto a sentirsi parte ma anche a prendersi cura a vicenda, con un’attenzione particolare alle membra più deboli, agli ultimi. È così che si compie la profezia della Parola oggi nella nostra vita di discepoli.

    “Ogni parola rivela il cuore di chi parla proprio perché ne rivela l’apertura all’altro. Per questo ogni parola ha senso solo quando viene ascoltata”. Che senso ha la Parola per me se non l’ascolto? Dice Papa Francesco che “prima di poter parlare di Dio e con Dio, bisogna ascoltarlo”. Poi, è la potenza dello Spirito che fa in modo che si realizzi in noi e intorno a noi ciò che Dio dice, come è successo a Gesù, il quale si sente unto dallo Spirito per incarnare e mettere a frutto questa parola.

    Gesù proclamò a Nazareth un nuovo tempo, che richiama “la proclamazione di un giubileo, cioè, un tempo in cui le cose cambiano”. La parola giubileo viene da giubilo, gioia. Lui ci invita a rallegrarci e rallegrare gli altri, aprendoci alla novità del vangelo. Di che cosa parla questa novità? Ci parla della vicinanza di Dio ai poveri e emarginati della nostra società, della liberazione da tutto ciò che non ci permette di essere fraterni e liberi. Ci parla di una gioia che non si può acquistare se non con cambiamento di mentalità. Il giubileo che Gesù annuncia è di speranza perché parla della fedeltà di Dio e del nostro impegno nella realizzazione del suo sogno, quello di un’umanità totalmente rinnovata.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

sexta-feira, 10 de janeiro de 2025

LA NOSTRA RINASCITA IN CRISTO

 

Riflessione a partire da Lc 3, 15-16.21-22




 

    Celebriamo la festa del Battesimo del Signore, che segna la fine del Tempo di Natale e l’inizio del Tempo Ordinario. Se il battesimo di Gesù è l’inizio della sua vita pubblica, a partire da questa liturgia ci viene data l’opportunità di accompagnarlo nell’esercizio del suo ministero in Palestina. Questa è anche un'occasione per ricordare il nostro battesimo “e gli impegni assunti per noi dai nostri genitori e padrini al presentarci nella Chiesa per farci discepoli di Gesù”. È certo che il Battesimo ci ha liberato da tutti i mali, che sono i peccati, però con la grazia di Dio che ci viene da questo sacramento dobbiamo compiere tutto il bene. Viviamo da figli amati come Gesù e ci basta!

    All’inizio del vangelo, Luca afferma che “le persone si domandavano in cuor loro riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo”. E perché sono arrivati a questa conclusione? Semplicemente a causa dello stile di vita semplice di Giovanni, della sua testimonianza vera, della sua coerenza, del suo impegno nella preparazione di un popolo ben disposto per accogliere il messia. Giovanni era molto sincero e consapevole della sua identità. Questa era la ragione della sua credibilità davanti alla gente, così grande da essere ritenuto il Cristo. Potendo approfittare della situazione in suo favore, non l’ha fatto. La sua risposta alla gente è una grande lezione di umiltà, vale a dire: “Viene uno che è più forte di me… io non sono degno…”

    Quando Gesù parlerà di Giovanni, lo chiamerà “il più grande dei profeti”. La sua grandezza si è dimostrata nel riconoscere la grandezza del Signore e la superiorità del suo battesimo, cioè, con lo Spirito Santo e fuoco. Il battesimo di Giovanni, invece, era con acqua, una pratica penitenziale, attraverso la quale la gente veniva motivata a un percorso di conversione in vista dell’incontro con la misericordia di Dio e dell’accoglienza al Cristo ormai presente in mezzo a loro.

    Quello che ci sorprende è che anche Cristo entra nella fila dei peccatori che aspettano il loro turno per ricevere un battesimo di penitenza e conversione e questo fatto ha lasciato Giovanni sconvolto. Luca non parla dei dettagli dell’incontro tra i due, ma Matteo ribadisce che all’inizio, Giovanni rifiutò di battezzare Gesù perché si considerava una voce soltanto, indegno anche di chinarsi per sciogliere i lacci delle sue scarpe. Ma accetterà per l’insistenza di Gesù. Se Gesù non aveva bisogno di conversione, allora, perché è andato con i peccatori per essere battezzato?

    Per Gesù questa fu un’occasione per mostrarsi solidale con i peccatori, compiendo la profezia di Isaia:Egli è il servo del Signore umile e mite, che non disprezza nessuna traccia di bene e opera per la salvezza di tutti”. Allora, sin dal battesimo, vediamo come Gesù manifesta il suo essere misericordioso per il suo gesto di mescolarsi con i peccatori e coinvolgersi nel loro quotidiano. Con il suo gesto Gesù apprezza anche l’opera di Giovanni, confermando che veniva da Dio e che infatti Dio cerca un popolo ben disposto che torni a Lui con tutto il cuore.

    Dice il testo che dopo aver ricevuto il battesimo, Gesù si mette a pregare e in quel momento si apre il cielo e scende lo Spirito su di lui. Anche se Gesù è pieno dello Spirito Santo, si mette a pregare invocando questo dono. Ha voluto darci l’esempio in tutto. Più avanti, Egli motiverà anche i suoi a fare lo stesso, cioè, a chiedere lo Spirito in preghiera. In quello stesso momento la voce del Padre si fece sentire: “Tu sei il figlio mio, l’amato: in te mi sono compiaciuto”. Il Padre si compiace del Figlio perché fa la sua volontà, che è salvare i peccatori, ridonandoci la dignità di figli.  La presenza della Trinità segnala l’importanza di questo evento nella vita di ogni persona chiamata a rinascere, coinvolgendosi nella missione del Figlio e nella stessa comunione delle Persone divine.

    Dopo questa esperienza, Gesù si sente motivato dallo Spirito Santo a iniziare la sua opera di salvezza proponendo la grazia di una nuova nascita a tutti coloro che sono chiamati ad essere figli amati nel Figlio. Il battesimo che Gesù suggerisce è la capacità di partecipare alla sua stessa vita. Il segno distintivo che ci viene stampato, cioè, la nuova identità di figli di Dio non può essere spazzato via. Rimane per sempre! Ci è stato dato di accedere alla vita dell’Eterno. Questa nuova vita non è merito nostro, ma gratuità, dono di Cristo stesso e compimento della sua missione.

    È molto interessante il fatto che il Tempo del Natale comincia parlando della nascita di Cristo e finisce parlando della necessità di rinascere in Cristo. Infatti è proprio questo che proviamo con il gesto esteriore del battesimo: moriamo veramente al peccato, e sperimentiamo la risurrezione per una nuova vita in Cristo. Questo ci porta a contrapporre tutto ciò che va contro questa identità, contro la dignità di questa vita. Siamo fatti cristiani per fare la differenza in un mondo che si allontana sempre di più dalla proposta di vita predicata da Giovanni e incarnata da Gesù. Egli è la vera luce che illumina tutti. “Chi lo segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”. Siamo stati illuminati per illuminare. Quindi, a partire da lui, vivendo come figli amati, siamo chiamati a far conoscere sempre di più il progetto d’amore del Padre per tutti i suoi figli e figlie.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

 

terça-feira, 24 de dezembro de 2024

IL VERBO SI È FATTO CARNE

 

Una riflessione a partire da Gv 1, 1-18




 

    È natale! Cos’è il natale? Un tempo di gioia e di ringraziamento. Perché? Perché il Padre ci ha fatto un grande dono, il dono insuperabilmente più grande di tutti gli altri che abbiamo ricevuto, il suo Figlio Gesù. Ringraziamo Dio perché nella sua bontà ci ha portato la salvezza e, nella sua sapienza, ha fatto dimora in mezzo a noi.

    Eravamo nelle tenebre e siamo stati illuminati dalla luce. La luce che è apparsa in realtà è un bambino, un essere umano fragile, carne. In questa carne, nella sua storia, Dio (quel Dio che nessuno ha mai visto) si è fatto visibile. La sua salvezza, la sua parola hanno preso carne in Gesù. Siamo invitati a immergerci in essa non per intenerirci di fronte a un bambino ma per contemplare e custodire tutto di lui, ogni sguardo, ogni gesto, ogni parola e fare nostro tutto il suo vissuto.

    Proviamo ad immaginare lo scenario creato da San Francesco, a partire dalla narrazione biblica, mettendo al centro quel Signore mite che si fa bambino con lo sguardo di tutti rivolto verso di Lui. Scandalosamente l’Onnipotente si fa bisognoso in ogni senso: bisognoso di protezione, di cura, di attenzione, di essere cresciuto, senza essere risparmiato di problemi e sofferenze. In somma, bisognoso dell’affetto di Maria e Giuseppe e di ogni essere umano che accetta il suo messaggio di pace e di amore.    

    Il brano del vangelo odierno è il prologo del vangelo di Giovanni il quale porta come prima espressione, vale a dire, “In principio…” ci richiama l’inizio del libro della Genesi, che ci parla della creazione. Così si capisce che l’intenzione di Giovanni è di sottolineare che con il Verbo Gesù Cristo avviene una nuova creazione: “L’attività di Gesù, inviato dal Padre, consiste nel fare nascere un uomo nuovo; la sua azione corona l’opera creatrice iniziata da Dio “in principio”.

    «A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio». La parola speciale che ci viene proposta è «accogliere». Accogliere lo stesso Dio! Dio, facendosi uomo, si mette alla portata di ognuno di noi. “Accogliere” significa aprirGli le nostre porte, permetterGli di entrare nelle nostre vite, nei nostri progetti, in quelle azioni che colmano i nostri giorni. Insomma, fare spazio a Dio nella nostra vita. Fino a che punto l’abbiamo accolto?

    Accogliere Gesù vuol dire lasciarsi interrogare da Lui. Permettere che i suoi criteri illuminino sia i nostri pensieri più intimi, sia le nostre relazioni ed attività sociali e lavorative. Che le nostre attuazioni concordino con le Sue! “Accogliere lui, riconoscerlo, permette di rinascere come figli di Dio. Quindi, mentre celebriamo la nascita di Gesù, celebriamo la nostra rinascita, cercando di avere i suoi stessi sentimenti, i suoi pensieri, il suo amore, in modo che la nostra propria carne mostri (proprio come quella di Gesù) il Padre”.

 

Fr Ndega

Revisione dell’italiano: Giusi

domingo, 22 de dezembro de 2024

MODELLO DELLA CHIESA IN USCITA

 

Una riflessione a partire da Mic 5, 1-4; Eb 10, 5-10; Lc 1, 39-48.



     Oltre la gioia, questo periodo che precede il natale anticipa al nostro cuore altri temi importanti che parlano dello stile particolare di Dio: la piccolezza e l’umiltà. Ci viene ricordato che le vie del Signore non sono le nostre e il nostro modo di scegliere è lontano dal suo. Non sono i potenti i preferiti di Dio, ma i piccoli, gli umili. Si è fatto piccolo per renderci più umani. La piccolezza è la via della vera umanità. La Chiesa è in uscita per annunciare questo stile di Dio, non un altro.

    Il Regno di Giuda viveva un periodo di instabilità e paura perché i suoi governanti - discendenti di Davide – sono stati dediti più alla cura dei loro interessi che a quelli della gente. inoltre era minacciato dall’Assiria. È in questo contesto che sorge la profezia di Michea, ricordando al popolo e a chi gli governa che bisogna ricominciare da capo, cioè da Betlemme, non solo perché è la città di Davide, ma perché il modo come questo re viene scelto ha rivelato lo stile proprio di Dio, vale a dire, ha preferito un luogo insignificante e il più piccolo e insignificante tra i fratelli. Questo ci insegna che non ci sarà una rinascita se non ripartiamo dai piccoli gesti, da quello che è trascurato nella nostra vita, da quello che crediamo essere insignificante.

    L’autore della lettera agli ebrei vede in Cristo il re-messia atteso che compie in tutto la volontà di Dio. Così, chiarisce il senso profondo dell’Incarnazione: la santificazione dell’essere umano per mezzo dell’obbedienza di Cristo. Egli assume la nostra condizione umana al fine di metterla totalmente alla disposizione della volontà di Dio. Quindi, la nostra santificazione non è un processo che viene da fuori, qualcosa estraneo alla nostra natura, come succedeva riguardo i sacrifici antichi, ma si dà interiormente poiché Cristo con l’incarnazione si è unito ad ogni persona e tramite la sua opera di salvezza ci santifica dal di dentro.

    Maria, modello della Chiesa in uscita, ci fa capire che la vita di chi si affida a Dio è un costante movimento/pellegrinaggio non verso sé stessi ma verso gli altri. Il primo a dare l’esempio è stato lo stesso Dio quando si è degnato di venire da lei. Ora, lei fa lo stesso verso la cugina Elisabetta, la quale in riconoscenza del dono, esclama: “A che debbo che la madre del mio Signore venga da me?” Elisabetta l’accoglie con gioia perché riconosce in Maria l’arca della nuova alleanza dinanzi alla quale Giovanni “danza” di gioia, un’allusione all’atteggiamento di Davide all’arrivo della dell’arca dell’alleanza, segno della presenza di Dio.

    “Beata è colei che ha creduto nell’adempimento della promessa del Signore”. In questo tempo di attesa, l’elogio di Elisabetta a Maria suona come un invito a considerare che solo la fede come adesione alle promesse di Dio può riempire il nostro cuore di gioia e renderci motivo di gioia anche per gli altri. Solo chi vive una fede così può raccontare quanto Dio opera ancora oggi per gli umili che lo temono. In Maria si attua proprio quella profezia di Michea riguardo lo stile di Dio il quale riparte dagli ultimi, dall’insignificante. Che dall’esempio di Maria sentiamo l’urgenza di accogliere questo stile di Dio nel Cristo che ci viene incontro e ci rende in grado di portarlo ovunque.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi