domingo, 24 de agosto de 2025

LA SALVEZZA NON È MERITO, MA DONO

 

 

Una riflessione a partire da Lc 13, 22-30




 

    Gesù è in cammino verso Gerusalemme. Questa direzione ha un senso più spirituale che geografico. Egli va a compiere la sua opera di salvezza in questa città famosa per l’uccisione dei profeti e che Isaia prevede come immagine e punto di riferimento della salvezza che Dio prepara per tutti i popoli, nonostante le cattive azioni delle sue autorità religiose. In altre parole, il più importante non è la città di Gerusalemme in sé stessa, ma l’evento salvifico che sta per accadere in essa.

(caro fratello, cara sorella, tu sei una “Gerusalemme”; il più importante non sono le tue miserie, ma la grazia di Dio in te)

    Lungo il cammino Gesù viene seguito da molte persone e quando viene interrogato circa il numero di quelli che si salvano, Egli non risponde direttamente. Coglie, invece, l'occasione per chiedere più impegno personale nella sua sequela come condizione per entrare nel regno. Non basta essere suoi discepoli per ottenere la salvezza. Così, propone la porta stretta come una sfida.

    La porta stretta è la via che conduce alla vita e sono pochi quelli che la trovano. Perché? “Questa è la porta della pazienza, della dedizione, della generosità, della gentilezza, della gratitudine, della saggezza e del lavoro”. Per quanto riguarda la porta larga, questa è una via facile che porta alla rovina e ci sono molti che la percorrono. La porta larga la percorriamo quando ci sentiamo a posto, vivendo una religione di apparenze, quando viviamo nell’indifferenza, come se Dio non ci fosse o come se tutto dovesse finire qui.

    “Signore, aprici! Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze!” abbiamo qui un’allusione all’Eucaristia e al catechismo, attraverso i quali dimostriamo di avere una “certa” conoscenza di Dio. Possiamo parlare bene di Gesù per mostrare che lo conosciamo. Potremmo anche pensare che parlare meglio degli altri ci garantisca un vantaggio in modo da ricevere alcune ricompense da Dio. Ma, secondo il brano, le parole non bastano per entrare nel regno di Dio. La salvezza non è un nostro merito, ma un dono di Dio.

    L’esperienza che abbiamo di Lui non ci rende migliori degli altri in modo da assicurarci la salvezza. Alla fine, non vogliamo rimanere bussando alla porta chiusa, disperati dicendo di aver fatto tante cose per Dio e aver dimenticato di aver fatto tanto per gli altri. Che la grazia di Dio ci guidi a fare la sua volontà e trovare la vita.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

domingo, 17 de agosto de 2025

VENGO A PORTARE LA DIVISIONE


Riflessione a partire da Ger 38,4-6.8-10; Eb 12, 1-4; Lc 12, 49-53



     La liturgia oggi ci presenta l’effetto dell’azione della Parola di Dio nella nostra vita e nell’intera società. La prima lettura racconta la persecuzione sofferta da Geremia a motivo della sua fedeltà alla Parola di Dio; successivamente l’intervento di Dio, salvando la vita del profeta, testimonia che nulla può fermare la forza della Parola. Lascia che questa possa cambiare anche il tuo cuore.

    Dalla seconda lettura ci viene l’invito a tenere lo sguardo su Gesù per testimoniare con perseveranza gli interventi salvifici di Dio nella nostra storia. Solo mantenendo uno sguardo contemplativo verso Gesù possiamo cambiare lo sguardo verso gli altri e le cose; “se cambiamo il nostro modo di guardare le persone, certamente, le persone e le cose che guardiamo cambiano”.   

    “Sono venuto a portare non pace, ma divisione”. Questa espressione ci spaventa, specialmente in questo periodo così bisognoso di pace. Si tratta di una frase che sembra mettere in crisi molte immagini di Gesù che conosciamo. Però bisogna capire bene il senso del suo discorso. Gesù non è venuto a suscitare guerre tra le persone, cioè, guerre fratricide, ma a portare un messaggio d'amore e di salvezza. Egli non ha mandato i suoi discepoli a portare la divisione, ma la pace, il perdono, la riconciliazione e l'amore dei nemici. E, allora, ha detto una bugia? No, sicuramente. Il problema è che davanti a questo splendido messaggio di bontà che viene proposto, le persone possono reagire in due modi: accogliendo o rifiutando il vangelo. L’opposizione può avvenire anche all'interno della stessa famiglia. E qui c’è la rottura e la divisione.

    Provando il suo battesimo, cioè la sua passione, Gesù dona il suo Spirito, accendendo il fuoco del suo amore in ogni cuore. La sua Parola penetra nel nostro intimo mettendo in evidenza le nostre vere intenzioni. Quando tu accogli la Parola di Dio con sincerità, oltre ad essere il messaggio d’amore del Padre verso di te, essa ti fa vedere anche quello che non va, cioè, i tuoi peccati. Alla visione dei tuoi peccati provi inquietudine. Dentro di te non c’è più pace, che poi pace non era affatto. Per questo, affermò qualche volta San Paolo: “Se credi di stare in piede, attento per non cadere”. Nessuno è giusto, nessuno è a posto davanti a Dio. Chi accoglie la Parola di Dio ingaggia una guerra dentro di sé. E cosa fa la Parola? Essa rovina il male che si annida nel cuore dell’essere umano.

    Il cristiano che ha accolto la Parola di Dio radicalmente, è come una spada che taglia nell'ambiente dove vive e lavora. Dove c'è un vero discepolo di Gesù c'è sempre una guerra in atto poiché la mentalità del vangelo e quella del mondo sono diverse. Siamo fatti discepoli per fare la differenza, non per vivere nell’indifferenza.  Immaginate quanti scandali commettiamo a causa della nostra mancanza di radicalità evangelica. Ma non perdiamoci d’animo! Oggi, Gesù ci invita a non aver paura di vivere con autenticità la nostra fede anche se questo ci porta molte prove. La certezza di essere sostenuti dalla sua grazia e dal fuoco del suo amore ci motivi ad essere suoi gioiosi e coraggiosi testimoni.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

domingo, 10 de agosto de 2025

AL PADRE È PIACIUTO DARCI IL REGNO

 

Una riflessione a partire da Lc 12, 32-48




 

    Usando un linguaggio pieno di tenerezza, Gesù rivolge a chi lo segue un messaggio di consolazione e di speranza: Il Padre ha voluto affidare a voi il suo regno. A questo piccolo gregge viene chiesto un atteggiamento di veri discepoli, vale a dire: non temere e vigilare, avere fiducia in Dio e condividere quello che si ha. Perché? Perché chi a chi crede gli basta il Regno”. La scoperta che ogni discepolo è chiamato a fare giorno dopo giorno è quella del regno come un tesoro nascosto in un campo; la persona che lo trova non perde tempo, va, vende tutto quello che possiede e compra quel campo. È a questa esperienza che il Signore invita i suoi discepoli: “dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore”.

    Tre volte è ripetuto un invito a vigilare: “siate pronti, siate simili a quelli che aspettano, tenetevi pronti”. “A che cosa? Allo splendore dell'incontro. E non con un Dio minaccioso, ladro di vita, che è la proiezione delle nostre paure (…); ma con l'impensabile di Dio: un Dio che si fa servo dei suoi servi, che “li farà mettere a tavola e passerà a servirli”. Che si china davanti all'uomo, con stima, rispetto, gratitudine. Il capovolgimento dell'idea di un Dio padrone”.

    Gesù si riferisce ai suoi discepoli chiamandoli servi e amministratori ai quali sono stati affidati molti doni. Le immagini presentate dall’evangelista, vale a dire: “Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese”, traducono gli atteggiamenti di vigilanza del servo buono e fedele che attende il ritorno del suo signore. Invece di pensare ad una giustizia selettiva divina, pensiamo, invece, alla gioia che Dio prova quando viviamo le opportunità che Egli ci dona non in dissipazioni o spadroneggiando ma costruendo fraternità e prendendoci cura a vicenda.

    La generosità del Signore nei nostri confronti non ha limiti. Egli non ci esige nulla, ma ha buone aspettative su di noi. Per quel servo, che ha posto il tesoro nelle cose, l'incontro alla fine della notte con il suo signore sarà la triste sorpresa di avere fra le mani solo il pianto, le briciole di una vita sbagliata. È importante ricordare questo: non siamo padroni, siamo solo amministratori dei doni di Dio. Nei nostri confronti Egli non agisce come un ladro che viene a rubare vita, ma come un Padre che viene a donarla.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi


Fr 

segunda-feira, 21 de julho de 2025

IL VALORE DELLA BELLA ACCOGLIENZA

 

Una riflessione a partire da Gn 18, 1-10; Sal 14; Col 1, 24-28; Lc 10, 38-42




 

    Il tema centrale di questa liturgia è l’accoglienza. Essa rende le persone più umane e, quindi, più adatte a collaborare nell’opera che il Signore vuole realizzare nel mondo.

Il primo brano che ci viene proposto parla della visita di Dio ad Abramo e Sara. Loro lo accolgono offrendo il loro meglio affinché Egli si senta a casa. In riconoscenza a tanta premura, Dio regala a questa coppia di anziani un figlio, il bimbo Isacco. Dio ama essere accolto e portare vita nuova all’interno del nostro vissuto. Che possiamo anche noi essere disponibili alle sue visite e fare spazio ai suoi piani.

Nella seconda Lettura la sofferenza che Paolo vive nell’evangelizzazione gli è motivo di gioia perché si sente unito a Cristo che ha sofferto e si è offerto perché la salvezza di Dio raggiunga tutte le persone. Di questo disegno Paolo si considera ministro, e per questo impiega tutte le sue forze, soffrendo in favore della Chiesa e, quindi, di Cristo stesso. Chi ha scelto Cristo non pensa a sé stesso perché per lui il vivere è Cristo.

Nel Vangelo Gesù accetta volentieri di essere ospitato presso la casa dei suoi amici a Betania e viene accolto da Marta e Maria, le quali cercano di offrire una accoglienza degna al nobile ospite, ma ciascuna a modo suo. Marta si occupa dell’ambiente, Maria si occupa della persona; Marta con il servizio, Maria con l’ascolto. Sembrano cose separate e contrapposte, ma Gesù ci insegna a vedere in un modo diverso:

    Marta mentre serviva si agitava, andando da una parte all’altra senza un centro, un punto di riferimento, senza fermarsi. Maria invece, si è messa come discepola ai piedi del maestro, come se non avesse niente da fare, dando più importanza a quello che Egli voleva fare per lei che a ciò che lei poteva fare per lui. Gesù rimprovera Marta con molta tenerezza perché riconosce anche la sua dedizione e premura, però lascia intendere che non ha bisogno della sua agitazione. 

    Con il suo rimprovero, Egli ha richiamato l’attenzione di Marta e di tutti noi riguardo “l’importanza fondamentale dell’ascolto della sua parola”. Le altre cose sono importanti ma possono aspettare. È la parola che deve guidare il nostro essere e il nostro agire. Quindi, il suo ascolto prioritario non va trascurato.

    Possiamo dire che una cosa è ospitare e un’altra cosa è accogliere. Marta ospita Gesù ma è stata Maria ad accoglierlo. Pensiamo di fare il massimo per il Signore, ma lui vuole soltanto il nostro meglio. Servizio e spiritualità sono due realtà che devono trovare nella nostra vita la loro integrazione e la loro giusta posizione affinché il Signore rivolgendosi a noi riconosca ciò che ha riconosciuto in Maria, vale a dire la parte migliore, la scelta migliore, perché fatta con saggezza e non con agitazione.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi    

domingo, 1 de junho de 2025

LA NUOVA MODALITÀ DI PRESENZA DI GESÙ

 Una riflessione a partire da Lc 24, 46-53




 

La festa di oggi parla di una presenza/assenza di Gesù, una nuova modalità della sua presenza. Dopo essere risorto dai morti Egli apparve per molto tempo ai suoi discepoli per infondere incoraggiamento e passare alcune consegne, vale a dire: confermò loro nella missione, li donò la sua pace e lo Spirito Santo. Voleva dire proprio questo: “Ora tocca a voi”. Questo non vuol dire che si è lavato le mani, anzi, aggiunse: “Sarò con voi sempre.” Egli non è più visibile ma può essere credibile. Non è più vivo, in carne e ossa fra i discepoli, ma resterà in ogni persona attraverso lo Spirito.

    Se alle volte ci chiudiamo in noi stessi per paura, lo Spirito ci viene a ricordare che non siamo soli e ci infonde coraggio per raccontare con gioia la bellezza di essere innamorato di un Dio che si fa vicino e si mette a servizio dell’essere umano, che ci dona tutto e non ci esige nulla. Luca menziona due aspetti per esprimere come i discepoli devono continuare la missione affidatagli dal maestro.  

Il primo aspetto è quello della tavola: mentre era a tavola dà loro delle istruzioni. I discepoli ricevono indicazioni per la missione vivendo l’intimità e familiarità con il maestro attorno a tavola. Questo rimanda all’eucaristia e ai tanti insegnamenti che ci vengono offerti mentre viviamo questa esperienza di comunione con il maestro e tra di noi. L’eucaristia fa la Chiesa e la Chiesa vive dell’eucaristia. Tutto nella nostra pastorale parte dall’eucaristia e converge verso di essa.

    Il secondo aspetto è quello di Betania: “Li condusse fuori, verso Betania. Betania ci ricorda l’esperienza di amicizia che Gesù viveva con Marta, Maria e Lazzaro. Questo rafforza la certezza che Gesù vuole mantenere una relazione personale con ciascuno. Se prima era insieme con i discepoli, ora è dentro di loro perché “quando Gesù è salito al cielo il cielo stesso è sceso sulla terra”. 

    La forza dall’Alto che ci viene donata ci assicura che Gesù, il nostro capo, è salito al cielo non per separarsi da noi ma per prepararci un posto. Senza merito nostro, possiamo entrare in cielo perché, portando la nostra umanità con sé ci rende partecipe della sua stessa condizione. Questo vuol dire che sarà sempre con noi perché siamo in lui. Mentre camminiamo su questa terra siamo pellegrini di una speranza che non delude, perché il nostro traguardo è Cristo; “la sua luce illumina la strada, la sua grazia ci fortifica nel cammino e la sua misteriosa presenza ci protegge e ci conforta”.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

sábado, 12 de abril de 2025

NELLE TUE MANI, O PADRE

 

Riflessione a partire di Lc 19, 28-40; Is 50, 4-7; Fl 2,6-11; Lc 22,14-23,56




 Stiamo iniziando la settimana più importante per le Comunità cristiane. Questa è la settimana che mette insieme gli avvenimenti centrali della nostra fede, narrando con molto simbolismo e profondità gli ultimi momenti di Gesù nella sua esistenza terrena e invitando alla contemplazione e al ringraziamento a motivo di tanto amore. Questa è anche un’opportunità per prendere sul serio la sequela di Cristo e lasciarci motivare dal suo esempio di fedeltà e decisione.

Abbiamo accompagnato la narrazione della entrata trionfante di Gesù a Gerusalemme per concludere la sua opera d’amore. La espressione della sua forza si trova nella mitezza e nell’umiltà. Infatti, egli non viene su un cavallo con arroganza e con un esercito potente come facevano i grandi generali quando entravano nelle città, ma viene su un puledro/asino, pieno di bontà e misericordia, così come è stata tutta la sua vita. Gesù è consapevole di ciò che gli accadrà ma non si lascia abbattere. La sua morte non sarà una fatalità ma il risultato di una missione profetica vissuta con fedeltà fino in fondo.  

Nella prima e nella seconda letture Gesù come Servo che nella sua identificazione con la condizione umana, si umilia, accetta di essere maltrattato e ucciso a causa della sua fedeltà a Dio. Il cammino di umiltà, dei piccoli gesti e l’opzione per ciò che è più insignificante nella società sono i segni autentici che identificano la vita di coloro che sono chiamati a continuare la sua opera di salvezza.    

La narrazione della passione inizia dicendo che Gesù ha tanto desiderato mangiare la pasqua con i suoi. La sua è una passione di amore e non c’è amore senza passione e senza desiderio. A tavola con i discepoli, prevedendo il tradimento di uno, il rinnegamento dell’altro e la fuga di tutti, Egli risponde con il gesto del pane spezzato in cui manifesta un traboccamento di amore e bontà nei loro confronti.

La distruzione del muro di inimicizia tra Erode e Pilato, il perdono per chi lo uccide e la promessa di vita per chi lo consola rivelano il quanto è vincitore colui che dona la sua vita per amore. Solo la persona che ama è in grado di donare la vita per la persona amata. La consegna dello Spirito nelle mani del Padre è una nuova testimonianza di comunione, di totale fiducia e abbandono alla sua volontà riempendo il mondo di speranza. Cristo ha fatto suoi i dolori di tutte le persone di tutti i tempi. Egli continua a soffrire in noi quando sperimentiamo il dolore e le prove nel nostro cammino. La sua risurrezione conferma che vale la pena aspettare una risposta del Padre il quale non abbandona mai coloro che si fidano di Lui.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

sábado, 22 de fevereiro de 2025

MISERICORDIOSI COME IL PADRE

 

Una riflessione a partire da Lc 6, 27-38

 

    Gesù ci ha rivelato il volto amoroso e misericordioso del Padre. Sembra che noi non abbiamo assimilato questa verità né ci disponiamo a farne l’esperienza. “Lo conosciamo male perché non ascoltiamo la voce del suo Figlio Gesù, che è venuto al mondo per rivelarcelo. Se lo conoscessimo bene, cercheremmo di essere anche noi come lui, benevoli con i malvagi e con gli ingrati”. Non ameremmo solo coloro che ci vogliono bene, coloro che ci sembrano degni del nostro amore, quelli simpatici, escludendo gli altri dal nostro amore, ma ameremmo gratuitamente, come lui.

    Viviamo in un mondo in cui prevale ancora la vecchia Legge del Taglione, che stabiliva: “Occhio per occhio, dente per dente”. Ciò significa violenza, vendetta nella stessa misura. Gesù, invece, chiede ai suoi discepoli di superare questa realtà offrendo l'altra guancia, cioè un'altra alternativa di azione. Non bisogna opporsi a coloro che sono violenti usando le loro stesse armi: saremmo come loro e la violenza non finirebbe mai. Solo la bontà del cuore può eliminare la violenza perché disarma le persone, portandole a riflettere meglio.

    Ricominciamo da capo! Cosa dobbiamo tenere presente, innanzitutto? Dio è amore. “Dio ama i nostri nemici – ecco quel che ci dice la croce – per loro egli soffre, per loro conosce la miseria e il dolore, per loro ha dato il suo Figlio amato”. Per questo è di capitale importanza che dinanzi a chi ci fa un torto, “subito pensiamo: Dio lo ama, per lui Dio ha dato tutto. Anche tu, ora, dagli ciò che hai…” il meglio di te, il tuo amore. Ma lo merita? Sì. Chi infatti merita di essere amato, chi è bisognoso del nostro amore più di colui che odia, chi fa dei torti? Chi è più povero di lui?

    Quando respingi il tuo nemico tu respingi il più povero dei poveri. Tutte le minacce, odio, aggressività sono in definitiva un mendicar l’amore di Dio, la pace, la fraternità. Per questo non dobbiamo giudicare, sparlare o condannare nessuno, poiché non si sa mai... “Perché piuttosto non condanniamo noi stesso e le nostre malefatte, che conosciamo con precisione e di cui dobbiamo dare conto a Dio? Perché usurpiamo il giudizio di Dio, che di ciascuno conosce la condizione, la capacità, il carattere, le attitudini?” Con i nostri giudizi non facciamo altro che ferire la dignità dell’altro.

    Ma perché ci capita questo, se non perché non abbiamo amore? L’amore copre un grande numero di peccati. Quando Gesù inviò i suoi discepoli li mandò per annunciare la misericordia. La nostra vita di discepoli di Cristo compie la sua finalità quando diventa un annuncio dell’amore e della misericordia del Padre come è stata quella di Cristo stesso. Solo così, saremo un vangelo vivente.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi