sábado, 27 de abril de 2024

LA CONDIZIONE PER LA FECONDITÀ DELLA NOSTRA VITA

 

  

Riflessione su At 9,26-31; 1 Gv 3,18-24; Gv 15,1-8




 

    Gesù ha voluto che la sua opera di salvezza fosse portata avanti dai suoi discepoli, guidati e motivati da lui stesso. Così, anche se Lui non è più visibile agli occhi della gente, egli può essere percepito e riconosciuto tramite le opere buone dei suoi discepoli che siamo tutti noi. Tuttavia è necessario rimanere uniti a Gesù perché la nostra testimonianza sia significativa, cioè, sia su Gesù e non su noi stessi. Questo era molto chiaro nella vita dei primi discepoli. È chiaro anche per noi?

    Dopo la sua conversione, tutto lo sforzo di Paolo consisterà nell’annuncio credibile di Gesù Cristo crocifisso e risorto. Ma come potrà essere credibile se qualche tempo prima cercava di negare tutto questo agendo duramente contro coloro che professavano questa fede? Infatti, all’inizio della sua missione come apostolo affronterà molte resistenze. Aiutato da Barnaba, Paolo si presenterà come persona rinata, cercando di convincere la gente ad accoglierlo come uno esempio concreto di ciò che significa essere raggiunto dalla misericordia di Dio e essere chiamato ad annunciare questa vita nuova che Cristo ha portato nel mondo con la sua croce e risurrezione.

    San Giovanni, usando un linguaggio pieno di tenerezza, ci parla della concretezza dell’amore, presentando Cristo come modello e il dono dello Spirito Santo come garanzia della presenza costante del Dio amore in noi. “L’amore deve essere visibile, altrimenti è solo un rumore che esce dalla bocca. Si deve poterlo toccare, deve essere percettibile ai sensi. La Chiesa insegna che la fede deve essere sempre unita alle opere: senza le opere non ci può essere la fede. La fede è un fatto. Dove si può vedere che una persona vive di fede? Da come si comporta” (alla guida dell’auto), per la strada, al mercato, nel lavoro, nella scuola, in casa, insomma nelle sue relazioni.

Per parlare di sé e del rapporto con i suoi, Gesù usa l’immagine della vite. Si tratta di un’immagine molto conosciuta dagli ebrei poiché era molto usata nell’ AT per parlare dell’identità di questo popolo come vigna del Signore. Questa, però, è una vigna che dopo tanto lavoro e nutrimento da parte del suo vignaiolo non ha prodotto i frutti attesi, cioè, erano acerbi. Ecco perché nel brano di oggi, Gesù si autorivela come “la vite vera”. Perché è vera? Per contrastare il comportamento infedele e, quindi, deludente della vigna dell’Antica Alleanza, portando a compimento il volere del Padre. Inoltre, l’immagine della vite con i suoi tralci sottolinea il rapporto profondo e personale che Gesù vuole avere con ciascuno dei suoi discepoli.

Il contesto di questo discorso di Gesù è quello dell’ultima cena. Lui deve tornare al Padre e non sarà più visibile. Saranno i suoi discepoli a portare avanti l’opera del maestro e perché ciò dia frutto devono rimanere uniti a lui. Questo verbo ‘rimanere’ è usato per sette volte. Il numero sette è un richiamo alla perfezione, all’esperienza totalizzante e piena nel rapporto del discepolo con il loro maestro. Ci fa capire l’importanza di questo atteggiamento per la vita dei discepoli e la vitalità della loro missione. “Il frutto della vite è opera della forza della linfa che scorre nei suoi tralci. È questa la forza alla quale possiamo attingere per essere fecondi” e superare i momenti di difficoltà.

L’immagine della vigna con i suoi rami parla molto di come deve essere il nostro rapporto con Gesù e la finalità della nostra vita. Quando ascoltiamo nella fedeltà la sua parola e partecipiamo attivamente all’Eucaristia e all’incontro con la comunità, portiamo a compimento il suo appello di rimanere uniti a lui dal quale ci viene tutta la forza della nostra testimonianza. Siamo stati scelti non per fare cose, ma per coltivare questa amicizia profonda, con Cristo e tra di noi. Senza Cristo non si può far nulla. Allora, rimanere in Cristo è la condizione fondamentale perché la nostra vita sia sempre feconda, compiendo dei gesti concreti d’amore per gli altri. Alla fine di tutto, questo è il frutto che rimane, ed è ciò che realmente conta davanti a Dio. Il resto non conta nulla.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

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