segunda-feira, 20 de janeiro de 2020

ECCO L’AGNELLO DI DIO



Riflessione su Is 49, 3.5-6; 1Cor 1, 1-3; Gv 1, 29-34



       Vogliamo riflettere sulle tre testimonianze che la liturgia di questa domenica ci propone e che ci aiutano a vivere la nostra vocazione. In primo luogo, la testimonianza del servo del Signore (prima lettura); in secondo luogo, la testimonianza di S. Paolo come apostolo per volontà di Dio (seconda lettura); e, terzo, la testimonianza di Giovanni Battista su Gesù come l'Agnello di Dio (Vangelo). In tutte queste testimonianze, è sempre Cristo il nostro punto di riferimento e il nostro essere testimone è sempre a partire da una esperienza vissuta con Lui; così la nostra missione sarà sempre una partecipazione alla sua missione.

    Per quanto riguarda la testimonianza del servo del Signore scritto durante l’esilio babilonese, possiamo trovarlo nella seconda parte del libro di Isaia. Ci colpisce molto quanto questo servo è consapevole dell’origine divina della sua vocazione del supporto di Dio nella sua vita. Dio conosce il suo servo perché lui stesso lo ha preparato dal seno di sua madre e lo presenta in forma molto affettuosa perché la vita del suo servo gli è cara. La vita di chi serve il popolo di Dio è gradita a Dio, perché non cerca se stesso, ma la gloria di Dio. Il rapporto d’amore con il suo Signore è la ragione della sua fedeltà. Questa è l’esperienza che genera identità e dà senso alla missione. 

     Nella seconda lettura, San Paolo è consapevole del fatto che la sua chiamata come apostolo di Gesù Cristo è la volontà di Dio. Egli ha vissuto la sua vocazione con grande passione e disponibilità assoluta per l'evangelizzazione. La sua esperienza di vita ci aiuta a capire il senso profondo della nostra partecipazione al sacerdozio di Cristo mediante il battesimo. Come battezzati siamo membri del corpo di Cristo e chiamati ad agire per l'edificazione di questo suo corpo, che è la chiesa. In ogni battezzato sta presente tutta la Chiesa. Ciò che accade nella vita di un membro è responsabilità di tutto il corpo.

       All’inizio di questo brano di Vangelo troviamo l’espressione “Il giorno dopo”. Certamente ci viene la curiosità di sapere cos’è successo il giorno prima. Giovanni era già diventato famoso e questo causava preoccupazione. Allora, viene inviata da Gerusalemme una delegazione per interrogarlo: “19Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». 20Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo»”. Giovanni non si mette a parlare di se stesso ma di qualcun altro. La sua missione è vivere per annunciare la presenza di un Altro e preparare le persone per accoglierlo.
     
      Ci colpisce il modo entusiasmante e bello di Giovanni quando parla di Gesù. Più tardi quando Gesù troverà l’opportunità parlerà bene anche lui di Giovanni. Abbiamo molto da imparare da questi due. Giovanni, che è stato visitato dal Salvatore quando era ancora nel ventre di Elisabetta, e che è stato raggiunto dalla Parola nel deserto, per due volte afferma che fino ad allora, ancora non aveva conosciuto Dio. Questo ci fa pensare che la vera conoscenza di Dio si dà quando ammettiamo la nostra ignoranza di Lui. Più pensiamo di conoscere Dio, più Egli ci sorprende sempre!

       Gesù stava passando e Giovanni era attento al suo passaggio e all’ispirazione dall’alto. La sua voce si fa sentire, presentandolo come “l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!” “L'agnello, nella Bibbia, come del resto in altre culture, è il simbolo dell'essere innocente, che non può fare del male ad alcuno, ma solo riceverlo”. Ricordiamo l'agnello pasquale, preparato e mangiato quella notte della fuga dall’Egitto. Il suo sangue fu segno di salvezza. Abbiamo anche l’immagine del servo sofferente della profezia di Isaia che portava su di sé i peccati di tutti. Abramo è impedito di sacrificare il suo figlio e al suo posto Dio fa trovare un agnello. Anche questo agnello è immagine del sacrificio del Figlio unigenito di Dio, l’innocente che soffre.

       Portando su di sé le sofferenze e i dolori del mondo Cristo ha dato un nuovo senso alla sofferenza e al dolore umano. “L’ha cambiato dall'interno: da segno di maledizione, ne ha fatto uno strumento di redenzione. Gesù non ha dato però solo un senso al dolore, gli ha conferito anche un potere nuovo, una misteriosa fecondità. Guardiamo cosa scaturì dalla sofferenza di Cristo: la risurrezione e la speranza per tutto il genere umano”. La nostra grande risposta dinanzi al dolore umano è Gesù Cristo. C’è dolore ma è un dolore redento. C’è una grande differenza tra soffrire con Cristo e soffrire senza Cristo. Se soffriamo con Cristo anche la nostra sofferenza diventa redentrice.

       Nelle sue lettere l’apostolo Paolo ci racconta la sua esperienza di patire nella sua carne quello che manca alla passione di Cristo. Egli e tanti altri hanno fatto l’esperienza di essere agnelli come Cristo, trovando in essa il vero senso per la loro vita. Tutti noi che siamo discepoli, siamo invitati ad essere “agnelli” anche noi, entrando nella dinamica del vero Agnello, Colui che toglie i peccati del mondo perché è in grado di donare la vita per coloro che egli ama. La sua logica è la logica dell’amore, del dono di sé. Unendo la nostra vita alla sua diamo un senso nuovo alla nostra. Quindi non cerchiamo il sacrificio ma mettiamoci a disposizione del Signore, secondo le chiamate e le opportunità che Egli ci offre per farci capire che non siamo da soli in qualsiasi situazione in cui la nostra vita si trova.

Fr Ndega
Revisione dell'italiano: Giusi


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