sábado, 12 de outubro de 2019

LA FORZA LIBERATRICE DELLA PAROLA



Riflessione a partire di 2Re 5, 14-17; 2Tm 2, 8-13; Lc 17, 11-19




      La frase che riassume il messaggio di questi testi è La forza liberatrice della Parola. Secondo il primo testo, tramite la parola del profeta, lo straniero Naamàn fa l’esperienza dell’amore e della misericordia di Dio e ringrazia per il dono ricevuto. La testimonianza dell’apostolo Paolo ci fa concludere che la parola di Dio è libera e ci rende liberi. Il nostro compito è quello di annunciarla libera da ogni mentalità che riduce la sua forza profetica.

      Alcuni giorni fa abbiamo visto che Gesù aveva preso la ferma decisione di andare a Gerusalemme per compiere la sua opera di salvezza. Lungo il cammino, passando di villaggio in villaggio, annunciava la buona notizia del Regno di Dio. Essendo vicino a uno di questi villaggi gli vennero incontro dieci lebbrosi gridando: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi”. E Gesù appena li vide, conoscendo la loro situazione e sensibile al dolore umano, li mandò dai sacerdoti e li guarì mentre erano in cammino. Uno di loro, un samaritano, straniero, riconoscendo il dono ricevuto, tornò da Gesù per ringraziarlo e, a motivo della sua fede, ricevette una grazia ancora più grande: la salvezza.

      La lebbra in quel tempo, come altre malattie era considerata un castigo divino, rendendo la persona disgraziata e proprio per questo esclusa dalla comunità. Doveva tenersi lontano dal villaggio, portando dei campanacci legati ai piedi come avviso per gli altri e gridare: “non avvicinatevi, sono lebbroso!”  La legge infatti proibiva di avvicinarsi a qualcuno e chi si avvicinava una persona lebbrosa diventava anch’esso impuro. Dinanzi a questa situazione, ci domandiamo: come mai i lebbrosi escono dal villaggio incontro a Gesù? Come mai normalmente Gesù si avvicina a questa gente? Come mai potendo guarirli subito, Gesù li manda dai sacerdoti?

     Prima di tutto il villaggio secondo i vangeli non sempre ha un significato positivo. Ricordiamo che Gesù quando guarisce un cieco a Betsaida lo guarisce fuori dal villaggio e gli chiede di non tornare al villaggio che in questo caso indica quella mentalità che fa opposizione a Gesù; per la persona guarita è importante non tornare alla mentalità di prima, alla vita che aveva prima dell’incontro con Gesù. La società dell’epoca di Gesù riteneva che gli ammalati, specie i lebbrosi, erano stati condannati da Dio a causa dei loro peccati. Gesù invece si avvicina senza paura di essere contaminato, anzi, si avvicina loro per “contaminarli” con il suo amore, la sua tenerezza, la sua misericordia.

      I sacerdoti rappresentano l’istituzione religiosa, ed erano incaricati di riconoscere una guarigione e ufficializzare la riammissione alla comunità. Questo spiega il motivo di Gesù di inviare i lebbrosi dai sacerdoti. È interessante notare che Gesù li invia come se fossero già stati guariti e loro si fidano della sua parola; non sono guariti perché andavano dai sacerdoti, ma perché sono stati motivati spinti dalla parola di Gesù e si sono messi in cammino. La guarigione avviene non per l’obbedienza a una prescrizione legale ma per fiducia ad una parola scaturita da un sguardo attento e da un cuore compassionevole del dolore umano: “appena li vide, disse loro”. Gesù ha detto la parola che porta la vita.

      Il testo porta anche una certa delusione di Gesù nel vedere che soltanto uno dei lebbrosi guariti è tornato a ringraziarlo per il bene ricevuto. Gesù non è uno che cerca applausi e riconoscimenti per un’opera buona ma spera che rendiamo gloria a Dio per la sua generosità nei nostri confronti. La salvezza è gratuità divina ma chiede la nostra adesione di fede. La vera fede scaturisce da un cuore che sa riconoscere e ringraziare per i doni ricevuti. È un atteggiamento che ci apre a una realtà che va oltre l’esperienza su questa terra. “Ringraziare non è solo un atto di buona educazione, bensì un atto di amore riconoscente e, rivolto a Gesù, è un atto che apre alla salvezza, come fu per il samaritano”. Possiamo dire che anche per ringraziare “di cuore” ci vuole fede. Che possiamo essere riconoscente e grati a Dio per i doni che riceviamo e essere generosi nei suoi confronti e nei confronti degli altri. E siccome Dio non si lascia vincere in generosità ci darà molto di più. 

Fr Ndega
Revisione dell'italiano: Giusi              

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