sábado, 14 de maio de 2022

LA NOSTRA PRIMA TESTIMONIANZA

 

Riflessione su Gv 13, 31-35




     La centralità di questo brano è il comandamento nuovo: amare gli uni gli altri come Gesù ha insegnato e con l’amore con cui lui ci ha amato. Qui abbiamo la ragione di essere discepoli suoi. Tutto quello che facciamo deve essere espressione di amore. Però, prima di essere un messaggio da comunicare, si tratta di una relazione da vivere, all’interno della comunità cristiana.

    Il contesto del brano del Vangelo è quello dell’ultima cena in cui Gesù istituisce l'Eucaristia, il sacramento che unisce per sempre l’amore e il servizio. Amore che non diventa servizio non è un vero amore e il servizio senza amore non ha nessun valore, come ci ricorda l’apostolo Paolo: “E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi l’amore, non sono nulla” (1 Cor 13:2).

    Gesù sapeva che era giunta la sua Ora, che comprende la sua passione, morte e risurrezione. Attraverso quest’Ora Egli darà gloria al Padre e adempirà la sua opera di salvezza. Da parte dei suoi discepoli, quest’Ora diventa il momento cruciale; essi devono decidere se continuare la missione del maestro oppure no. L’evangelista Giovanni menziona il momento giusto in cui Giuda prende la sua decisione: lascia il luogo di intimità con Gesù e con gli altri ed è inghiottito dalla notte, cioè, dal dominio delle tenebre. Allo stesso tempo però, Gesù annuncia la sua vittoria su queste stesse tenebre: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui”.

    Il dialogo di Gesù e Giuda e l’uscita dal cenacolo di quest’ultimo sono preparazione per la rivelazione che avrà luogo più tardi, quando consegnerà ai suoi il comandamento nuovo dell’amore. È molto interessante il modo con cui Gesù si rivolge ai suoi discepoli: figlioli. Egli parla con loro come una madre e un padre fanno con i loro figli.  Condivide con loro i suoi sentimenti più profondi e la cosa più importante da custodire per rimanere in lui e lui in loro: il suo amore.

    I discepoli avevano un’idea di questo comandamento perché esso era già presente nella Legge Mosaica, ma sono chiamati a viverlo in modo totalmente nuovo, secondo ciò che Gesù ha loro insegnato. Nuovo vuol dire “inedito”, “migliore”, “non ci sarà mai un altro come questo”. Oltre a consegnare questo grande tesoro, Gesù mostra loro come vivere questo dono. Loro devono amare non tanto quanto il maestro, impossibile alle loro forze, ma come lui, cioè, con lo stile suo. Il loro modo di amare deve realizzarsi servendo nella gratuità, prendendosi cura a vicenda, fino al dono totale di sé.

    Gesù ama i suoi discepoli fino a donare la vita per loro; infatti, Egli non sa amare in modo diverso. E’ per amore che Dio ha dato il suo unico Figlio per la salvezza del mondo. È stato l’amore a motivare la sua missione in ogni istante e sarà l’amore a dare senso ed identità ai suoi discepoli. Tramite l’amore come lo ha vissuto il loro maestro saranno riconosciuti da tutti come suoi discepoli.

    L’amore vissuto tra noi deve essere espressione di ciò che crediamo e così diventa anche la prima testimonianza da portare al mondo, come accadeva riguardo i primi cristiani di cui si diceva: “Guardate come si amano!” (Tertuliano) La loro vita ci fa capire che “Non basta essere credenti, dobbiamo essere anche credibili” (Rosario Livatino). E solo saremo credibili se permettiamo che sia l’amore di Cristo a motivare i nostri rapporti, i nostri atteggiamenti e le nostre azioni. L’amore è strumento di comunione; è ciò che ci unisce a Dio che ha voluto rimanere tra noi come amore. Questo amore deve essere la centralità della nostra vita e il senso della nostra missione. Solo tramite questo amore possiamo donarci come Cristo e fare nuovi discepoli per lui, riconoscendo che non siamo noi a fare delle opere, ma che è lo stesso Dio a operare in noi e attraverso di noi.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

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