Riflessione a partire da Is 53, 10-11; Eb 4, 14-16; Mc 10, 35-45
La vita di chi
serve gli altri secondo la carità di Cristo è piena di senso perché è
portatrice della vera gioia. Riguardo a questo, il Libro degli Atti ci riporta queste
parole del Signore Gesù: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”. La persona
realizzata non è chi è pieno di titoli e successi ma chi ha imparato a fare
della vita dono per gli altri con umiltà e pazienza. Così dice San Paolo: “Non
fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà,
consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse
proprio, ma anche quello degli altri” (Fl 2, 3-4). Vive veramente chi serve
agli altri non chi si serve degli altri. Qui vale questa massima: “chi non vive
per servire non serve per vivere”.
È proprio su
questo che ci fa riflettere la liturgia di questa domenica. La prima Lettura,
dal profeta Isaia, è tratta da uno dei cantici del “servo del Signore”. Secondo
questo brano, il servo è una persona veramente realizzata perché ha saputo dare
un vero senso alla sua vita donandosi per gli altri. La sua esistenza vale
molto agli occhi del Signore e tutto ciò che fa ha lo scopo di rivelare la
volontà di Colui che lo ha costituito suo servo. A causa della sua fedeltà al
Signore che lo ama e gli è vicino, molte persone saranno salvate.
Secondo la
Lettera agli Ebrei, Gesù ha consumato il suo sacerdozio donando la vita in
sacrificio per la salvezza di tutti. Egli è in grado di capirci nelle nostre
miserie perché ha voluto provare sulla propria pelle quello che proviamo noi.
Questo è il sacerdote di cui abbiamo bisogno, qualcuno come noi, che prende su
di sé le nostre debolezze - fuorché il peccato - per mostrarci la via per resistere
alle suggestioni del male e superarle con l’aiuto della grazia di Dio. A lui
dobbiamo rivolgerci con piena fiducia sicuri di non essere mai delusi.
Nel Vangelo,
dopo che Gesù aveva rivelato per la terza volta il mistero della sua pasqua, cioè,
la sua passione e morte e alla fine la gloria della risurrezione, due dei suoi discepoli
andarono da lui per chiedere i posti di onore: alla sua destra e alla sua
sinistra. In un altro momento, mentre Gesù parlava di questi eventi importanti,
i discepoli discutevano su chi dovrebbe essere il più grande tra di loro. Così
dimostravano che le loro aspettative e il loro modo di pensare erano ancora
lontani dalla proposta di Gesù. Egli, dopo aver capito che questa mentalità era
presente anche negli altri richiamò a sé i dodici per riportarli all’essenziale
della sua sequela.
I due discepoli di Gesù erano affamati di
protagonismo, successo, fama e desiderio di dominio. Anche gli altri dieci
cercavano le stesse cose e non volevano rimanere indietro. Stavano impostando
la loro vita in una direzione totalmente opposta alla proposta del loro
maestro. In altre parole, avevano un progetto di vita molto chiaro da compiere,
ma avevano scelto la persona sbagliata da seguire per compiere questo progetto.
Davanti a questa divisione nel gruppo a causa della competizione per essere il
primo e comandare, Gesù li chiama a sé come la prima volta, correggendo quello
che non va: Egli rimuove l’idea che hanno costruito su loro stessi e su di Lui.
Gesù usa
questa opportunità per riprendere con loro le condizioni per essere veri
discepoli. Essi dovranno capire che lui ha una scelta e una logica diversa da
quella del mondo. “Nel Regno di Gesù, coloro che hanno autorità esistono non
per sfruttare gli altri o dipendere dall'onore e dal servizio del popolo, ma i
capi sono i servi del popolo”. Il punto
di riferimento di tutto questo si trova nella vita stessa del maestro Gesù: “Il
Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua
vita in riscatto per molti”. Non c'è altro modo per trovare il senso vero della
vita. Chiunque decida di seguire Gesù non può continuare a pensare e ad agire
come prima; non può che cercare il bene degli altri più che il proprio.
“Gesù trovò
una forte resistenza a Gerusalemme che gli costò il perdere la vita. Ma quello
che Gesù sperimenta è un servizio d’amore per il suo popolo”. È attraverso la
fede in Cristo e l’ispirazione della parola di Dio che la persona può
affrontare avversità, rifiuti e sofferenze senza rinnegare la sua fede. In ogni
gesto di bontà la persona è chiamata a vivere la proposta di Gesù di fare della
vita un dono per gli altri. La mentalità che ci circonda ci porta a cercare di
essere serviti piuttosto che servire, di dominare sugli altri, di sentirci
meglio degli altri. Possiamo anche trovare giustificazioni con l’uso della
frase: “Tutti fanno così” oppure, “è così dappertutto”. Però Gesù è molto
chiaro nella sua esortazione: “Tra voi però non è così”. Per vocazione, siamo
diversi, ma questo non vuol dire che siamo migliori degli altri. Il nostro
distintivo è la carità e il servizio.
Portiamo nel
cuore il desiderio profondo di fedeltà a Colui che ci ha affidato una missione.
Possiamo superare quello che nella nostra vita non va perché non camminiamo da
soli. Colui che accetta di “donarsi come dono a tutti gli uomini" è il
nostro modello e ci assicura il suo aiuto perché possiamo perseverare nel
servizio agli altri anche in mezzo alle prove. Se è l’amore quello che dà senso
alla vita, non c’è un altro modo di vivere con senso se non attraverso un
servizio umile e generoso agli altri come una forma concreta dell’amare. Questa
è anche una identificazione con Colui che “morto e
risorto per noi, si offre alla nostra libertà e la provoca a cercare, scoprire
e annunciare questo senso vero e pieno”.
Fr Ndega
Revisione dell'italiano: Giusi
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