terça-feira, 24 de dezembro de 2024

IL VERBO SI È FATTO CARNE

 

Una riflessione a partire da Gv 1, 1-18




 

    È natale! Cos’è il natale? Un tempo di gioia e di ringraziamento. Perché? Perché il Padre ci ha fatto un grande dono, il dono insuperabilmente più grande di tutti gli altri che abbiamo ricevuto, il suo Figlio Gesù. Ringraziamo Dio perché nella sua bontà ci ha portato la salvezza e, nella sua sapienza, ha fatto dimora in mezzo a noi.

    Eravamo nelle tenebre e siamo stati illuminati dalla luce. La luce che è apparsa in realtà è un bambino, un essere umano fragile, carne. In questa carne, nella sua storia, Dio (quel Dio che nessuno ha mai visto) si è fatto visibile. La sua salvezza, la sua parola hanno preso carne in Gesù. Siamo invitati a immergerci in essa non per intenerirci di fronte a un bambino ma per contemplare e custodire tutto di lui, ogni sguardo, ogni gesto, ogni parola e fare nostro tutto il suo vissuto.

    Proviamo ad immaginare lo scenario creato da San Francesco, a partire dalla narrazione biblica, mettendo al centro quel Signore mite che si fa bambino con lo sguardo di tutti rivolto verso di Lui. Scandalosamente l’Onnipotente si fa bisognoso in ogni senso: bisognoso di protezione, di cura, di attenzione, di essere cresciuto, senza essere risparmiato di problemi e sofferenze. In somma, bisognoso dell’affetto di Maria e Giuseppe e di ogni essere umano che accetta il suo messaggio di pace e di amore.    

    Il brano del vangelo odierno è il prologo del vangelo di Giovanni il quale porta come prima espressione, vale a dire, “In principio…” ci richiama l’inizio del libro della Genesi, che ci parla della creazione. Così si capisce che l’intenzione di Giovanni è di sottolineare che con il Verbo Gesù Cristo avviene una nuova creazione: “L’attività di Gesù, inviato dal Padre, consiste nel fare nascere un uomo nuovo; la sua azione corona l’opera creatrice iniziata da Dio “in principio”.

    «A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio». La parola speciale che ci viene proposta è «accogliere». Accogliere lo stesso Dio! Dio, facendosi uomo, si mette alla portata di ognuno di noi. “Accogliere” significa aprirGli le nostre porte, permetterGli di entrare nelle nostre vite, nei nostri progetti, in quelle azioni che colmano i nostri giorni. Insomma, fare spazio a Dio nella nostra vita. Fino a che punto l’abbiamo accolto?

    Accogliere Gesù vuol dire lasciarsi interrogare da Lui. Permettere che i suoi criteri illuminino sia i nostri pensieri più intimi, sia le nostre relazioni ed attività sociali e lavorative. Che le nostre attuazioni concordino con le Sue! “Accogliere lui, riconoscerlo, permette di rinascere come figli di Dio. Quindi, mentre celebriamo la nascita di Gesù, celebriamo la nostra rinascita, cercando di avere i suoi stessi sentimenti, i suoi pensieri, il suo amore, in modo che la nostra propria carne mostri (proprio come quella di Gesù) il Padre”.

 

Fr Ndega

Revisione dell’italiano: Giusi

domingo, 22 de dezembro de 2024

MODELLO DELLA CHIESA IN USCITA

 

Una riflessione a partire da Mic 5, 1-4; Eb 10, 5-10; Lc 1, 39-48.



     Oltre la gioia, questo periodo che precede il natale anticipa al nostro cuore altri temi importanti che parlano dello stile particolare di Dio: la piccolezza e l’umiltà. Ci viene ricordato che le vie del Signore non sono le nostre e il nostro modo di scegliere è lontano dal suo. Non sono i potenti i preferiti di Dio, ma i piccoli, gli umili. Si è fatto piccolo per renderci più umani. La piccolezza è la via della vera umanità. La Chiesa è in uscita per annunciare questo stile di Dio, non un altro.

    Il Regno di Giuda viveva un periodo di instabilità e paura perché i suoi governanti - discendenti di Davide – sono stati dediti più alla cura dei loro interessi che a quelli della gente. inoltre era minacciato dall’Assiria. È in questo contesto che sorge la profezia di Michea, ricordando al popolo e a chi gli governa che bisogna ricominciare da capo, cioè da Betlemme, non solo perché è la città di Davide, ma perché il modo come questo re viene scelto ha rivelato lo stile proprio di Dio, vale a dire, ha preferito un luogo insignificante e il più piccolo e insignificante tra i fratelli. Questo ci insegna che non ci sarà una rinascita se non ripartiamo dai piccoli gesti, da quello che è trascurato nella nostra vita, da quello che crediamo essere insignificante.

    L’autore della lettera agli ebrei vede in Cristo il re-messia atteso che compie in tutto la volontà di Dio. Così, chiarisce il senso profondo dell’Incarnazione: la santificazione dell’essere umano per mezzo dell’obbedienza di Cristo. Egli assume la nostra condizione umana al fine di metterla totalmente alla disposizione della volontà di Dio. Quindi, la nostra santificazione non è un processo che viene da fuori, qualcosa estraneo alla nostra natura, come succedeva riguardo i sacrifici antichi, ma si dà interiormente poiché Cristo con l’incarnazione si è unito ad ogni persona e tramite la sua opera di salvezza ci santifica dal di dentro.

    Maria, modello della Chiesa in uscita, ci fa capire che la vita di chi si affida a Dio è un costante movimento/pellegrinaggio non verso sé stessi ma verso gli altri. Il primo a dare l’esempio è stato lo stesso Dio quando si è degnato di venire da lei. Ora, lei fa lo stesso verso la cugina Elisabetta, la quale in riconoscenza del dono, esclama: “A che debbo che la madre del mio Signore venga da me?” Elisabetta l’accoglie con gioia perché riconosce in Maria l’arca della nuova alleanza dinanzi alla quale Giovanni “danza” di gioia, un’allusione all’atteggiamento di Davide all’arrivo della dell’arca dell’alleanza, segno della presenza di Dio.

    “Beata è colei che ha creduto nell’adempimento della promessa del Signore”. In questo tempo di attesa, l’elogio di Elisabetta a Maria suona come un invito a considerare che solo la fede come adesione alle promesse di Dio può riempire il nostro cuore di gioia e renderci motivo di gioia anche per gli altri. Solo chi vive una fede così può raccontare quanto Dio opera ancora oggi per gli umili che lo temono. In Maria si attua proprio quella profezia di Michea riguardo lo stile di Dio il quale riparte dagli ultimi, dall’insignificante. Che dall’esempio di Maria sentiamo l’urgenza di accogliere questo stile di Dio nel Cristo che ci viene incontro e ci rende in grado di portarlo ovunque.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

quarta-feira, 11 de dezembro de 2024

SANTI E IMMACOLATI ANCHE NOI

 

Una riflessione a partire da Gn 3, 9-15.20; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1, 26-38




     La colpa originale introduce la morte nella vita dell’essere umano e davanti alla domanda “dove sei?” l’essere umano non sa cosa dire perché non è più al suo posto, che non si tratta di fisico, ma di condizione, cioè, non è più in Dio, non è più in comunione con lui. Prima era libero, ora è schiavo; prima sentiva gioia, ora sente solo paura e vergogna. Sono sentimenti che proviamo quando per il peccato rompiamo la comunione con Dio. Anche Dio prova un grande dispiacere con questa realtà. Ma non lascia che sia il male a dire l’ultima parola. Annuncia la vittoria della vita che passa attraverso il sì di una Donna, sua umile serva Maria. In lei ci vediamo meglio, poiché ci viene indicata la nostra vera e nobile vocazione, quella di essere santi e immacolati nell’amore, nella carità.

    I tempi messianici iniziano con uno invito alla gioia: “Rallegrati, piena di grazia!” Dire piena di grazia richiama anzitutto a un dono, vale a dire, Maria è stata ricolmata di grazia, cioè, è la creatura umana che Dio ha plasmata in modo perfetto e questa è la ragione della sua gioia: il dono che Dio le ha fatto. Nella sua umile serva, Dio offre a tutti il modello cui l’umanità è chiamata: “Ti lodo, ti rendo grazia, Signore, tu mi hai fatto come un prodigio” (Sl 139).

    Allo stesso tempo Maria rimane turbata, ma non ha paura. Ha soltanto il sacro timore dinanzi alla misteriosa realtà di Dio, “è il sentimento che invade tanto più la creatura quanto più essa è pura. Nella sua umiltà perfetta, Maria comprende tre cose: la grandezza della missione ricevuta, la gratuità del dono, la sproporzione tra la propria piccolezza e l’onnipotenza divina”. Ma si tratta di un’onnipotenza che si fa vicinanza e riempie di senso e di gioia la nostra quotidianità.

    La festa dell’Immacolata ci parla dell’innocenza assoluta di Maria come un mistero di gioia e di grazia al quale siamo chiamati anche noi. Ci sono alcune immagini che la Sacra Scrittura usa per parlare di questa realtà: Nell’Antico Testamento, per esempio, abbiamo l’espressione “vesti di salvezza”; nel Nuovo, si tratta dell’abito reso candido dal sangue dell’agnello. Maria prova questa realtà ancor prima della sua nascita. Anche noi la proviamo quando riceviamo il battesimo.

    Il Padre ha come battezzata Maria in anticipo nel mistero della morte e della risurrezione di Cristo per presentarla tutta bella, tutta donata. Non tutta estranea alla nostra umanità, ma una di noi e ciò che siamo chiamati ad essere. Ecco perché il Concilium Vaticano II attraverso la Lumen Gentium la chiama di “Immagine della Chiesa realizzata”. Il nostro amore per la Madonna sostanzialmente si deve concretizzare nel desiderio di vivere profondamente il suo mistero, quello di essere tutta di Dio, tutta affidata a Lui, facendo del nostro cuore una piccola Nazareth e della nostra vita un pezzetto di terra in cui il seme del Verbo possa accadere serenamente, esservi accolto generosamente, germinare timidamente e fiorire in tutta la sua bellezza.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

 

sexta-feira, 15 de novembro de 2024

OS MOMENTOS DE PROVAÇÃO SÃO OPORTUNIDADE DE CRESCIMENTO

 

Reflexão a partir de Dan 12, 1-3; Hb 10, 11-14; Mc 13, 24-32




 

    “Como os cristãos devem se comportar em tempos difíceis e diante das incertezas do nosso tempo? como pessoas de esperança, com total confiança na proximidade de Cristo. É a certeza da sua proximidade que nos dá força para enfrentar as provações da vida. Esta certeza é alimentada no encontro quotidiano com a sua Palavra, sempre atual. Hoje acontece também o Dia Mundial dos Pobres, que nos lembra o compromisso cristão com a transformação da realidade social. Segundo o Papa Francisco, “A pobreza não é fruto do destino, mas conseqüência do egoísmo”. Nesse sentido, ninguém pode dizer: “Essa realidade não tem nada a ver comigo”.  

    O texto do profeta Daniel é um dos textos do Antigo Testamento que falam da fé na ressurreição (ver também 2 Mac 7, 9). Essa profecia surgiu numa época em que o povo de Israel estava sob o domínio grego e sofria muito. Muitos deles cessaram de crer no Deus de seus pais e aqueles que buscavam manter a fé precisavam de uma mensagem de esperança para continuar a caminhada deles. Deus está sempre presente no meio do seu povo, motivando-o quando tem de enfrentar situações difíceis. A ressurreição prometida é realizada com a ressurreição de seu Filho dentre os mortos, como primicia – primeiro - de uma multidão de irmãos e irmãs que creem nele.

    A carta aos Hebreus enfatiza que o sacrifício de Cristo superou todos os sacrifícios que os sacerdotes faziam no Antigo Testamento. Os sacrifícios que ofereciam não tinham força para remover os pecados das pessoas, ou seja, eram ineficazes. Quanto a Cristo, ele se ofereceu de uma vez por todas e por isso mesmo a sua oferta foi capaz de nos purificar dos pecados e dar origem a uma nova humanidade. Em cada missa celebramos o mistério deste sacrifício único, renovando a nossa adesão à vida que ele oferece, para a salvação nossa e de todos. A parte que cabe a Cristo é garantir nossa salvação; cabe a nós acolhê-la e ser instrumentos dela.

    Jesus alerta seus discípulos sobre alugns eventos dramáticos e suas consequências para suas vidas. Não quer aterrorizar, mas sim convidar a confiança, pois diante de sua gloriosa manifestação os poderes dos céus, ou seja, os poderosos deste mundo, que atribuem a si mesmos caracteristicas de divindade, serão abalados. Marcos escreveu o seu evangelho quando a comunidade cristã vivia um período de crise devido às perseguições ininterruptas, que causaram a morte de muitos membros (os mártires) e que levaram outros a renunciar à sua identidade como seguidores de Jesus. Esta situação parecia o fim. do mundo. Aqueles que perseveraram se perguntavam: “O que tudo isso significa?” Foi a memória dos ensinamentos de Jesus que os motivou à perseverança, conscientes de que se Jesus é o ponto de referência de tudo, então a vida e a história não caminham para um fim, mas para uma verdadeira finalidade: o próprio Jesus.

    Jesus é vencedor sobre o pecado e a morte e fará vencedores todos os que o seguem. Na sua vinda no fim dos tempos, isto é, no cumprimento dos tempos, Ele quer nos encontrar perseverantes no bem, fiéis aos seus ensinamentos, para partilhar com ele a sua mesma alegria. Sua Palavra nos diz que provações e dificuldades acompanham nossa condição de cristãos, mas também nos garante a proximidade do Senhor: "Saiba que Ele está perto, está às portas!" Ele só quer ser reconhecido e bem acolhido. Como nem sempre conseguimos compreender os acontecimentos que nos rodeiam, devemos ter confiança no Pai, conscientes de que “estamos nas suas mãos e, portanto, em boas mãos. Nada escapa do seu olhar. Tudo é orientado segundo o seu plano de sabedoria e de bondade ”(São João Calabria).

     Então, da nossa parte, confiemos em Deus que está conduzindo a história. Somos convidados a continuar a missão de seu Filho Jesus e devemos estar atentos aos sinais de sua presença ao nosso lado. Para que ele seja verdadeiramente Soberano em nossa vida, muitos falsos ídolos devem perder o esplendor, por exemplo, os falsos valores e falsas imagens de Deus que cultivamos, o fruto de nossos medos, a mentalidade e o comportamento contrário aos ensinamentos do Evangelho, etc. Chega de hipocrisia! Chega de mediocridade! Vivamos a nossa vocação com alegria e entusiasmo e tudo será belo para nós e para os demais!


Fr Ndega

I MOMENTI DI PROVA SONO OPPORTUNITÀ DI CRESCITA

 

Riflessione a partire da Dan 12, 1-3; Eb 10, 11-14; Mc 13, 24-32




 

    “Come devono comportarsi i cristiani nei momenti difficili e davanti alle incertezze di questo nostro tempo? Come persone di speranza, con totale fiducia nella vicinanza di Cristo. È la certezza della sua vicinanza che ci dà la forza per affrontare le prove della vita. Questa certezza viene nutrita nell’incontro quotidiano con la sua Parola, che è sempre attuale. In questo giorno ricorre anche la Giornata Mondiale dei Poveri, che ci ricorda l’impegno cristiano per la trasformazione della realtà sociale. Secondo Papa Francesco, “la povertà non è frutto del destino ma conseguenza dell’egoismo”. In questo senso nessuno può dire: “Questa realtà non ha nulla a che fare con me”.  

    Il brano del profeta Daniele è uno dei testi dell’Antico Testamento che parlano di fede nella risurrezione (vedi anche 2 Mac 7, 9). Questa profezia è sorta in un periodo in cui il popolo di Israele era sotto il dominio greco e soffriva molto. Molti di loro avevano smesso di credere nel Dio dei padri e coloro che cercavano di mantenere la fede avevano bisogno di un messaggio di speranza per continuare il loro cammino. Dio è sempre presente in mezzo al suo popolo e lo motiva quando deve affrontare delle situazioni difficili. La risurrezione promessa viene compiuta con la risurrezione di suo Figlio dai morti, come primizia di una moltitudine di fratelli e sorelle che credono in Lui.   

    La lettera agli Ebrei sottolinea che il sacrificio di Cristo ha superato tutti i sacrifici che i sacerdoti compivano nell’Antico Testamento. I sacrifici che offrivano non avevano la forza per rimuovere i peccati della gente, cioè erano inefficaci. Riguardo Cristo, Egli ha offerto se stesso una volta per tutte e proprio per questo la sua offerta è stata in grado di purificarci dai peccati e fare sorgere una umanità nuova. In ogni messa celebriamo il mistero di questo unico sacrificio rinnovando la nostra adesione alla vita che esso offre, per la nostra salvezza e per tutti.  Quello che tocca a Cristo è assicurarci la salvezza; a noi tocca accoglierla e essere strumenti di essa.

    Gesù mette in guardia i suoi discepoli riguardo agli eventi tragici della storia con le conseguenze che ne derivano per la loro vita. Non vuole terrorizzare, ma invitare alla fiducia poiché davanti alla sua manifestazione gloriosa le potenze dei cieli, cioè, i potenti di questo mondo saranno sconvolti. Quando Marco scrisse il suo vangelo la comunità cristiana viveva un periodo di crisi a motivo delle ininterrotte persecuzioni, che causavano la morte di molti membri (i martiri) e che portavano altri a rinunciare alla loro identità di seguaci di Gesù. Questa situazione sembrava la fine del mondo. Coloro che perseveravano si domandavano: “Cosa vuol dire tutto questo?”. Il ricordo degli insegnamenti di Gesù li motivò alla perseveranza, consapevoli che se Gesù è il punto di riferimento di tutto, allora, la vita e la storia non camminano per una fine ma per un vero fine: Gesù stesso.

    Egli è vincitore del peccato e della morte e farà vincitori tutti coloro che lo seguono. Alla sua venuta alla fine dei tempi, cioè, all’adempimento dei tempi, vuol trovarci perseveranti nel bene, fedeli ai suoi insegnamenti per condividere con lui la sua stessa gioia. La sua Parola ci dice che le prove e difficoltà accompagnano la nostra condizione di cristiani, però ci assicura anche la vicinanza del Signore: “Sappiate che Egli è vicino, è alle porte!” Siccome non sempre riusciamo a capire gli avvenimenti attorno a noi, dobbiamo avere fiducia nel Padre, consapevoli che “siamo nelle sue mani e, quindi, in buone mani. Nulla sfugge al suo sguardo. Tutto è orientato secondo un piano suo di saggezza e bontà” (San Giovanni Calabria).

    Quindi, dalla nostra parte, fiducia in Dio che guida la nostra storia. Siamo invitati a continuare la missione del suo Figlio Gesù attenti ai segni della sua presenza accanto a noi. Perché lui sia davvero Sovrano nella nostra vita, molti falsi idoli devono perdere il loro splendore, ad esempio, i falsi valori e le false immagini di Dio che coltiviamo, frutto delle nostre paure, la mentalità e i comportamenti contrari agli insegnamenti del Vangelo, ecc. Basta ipocrisia! Basta mediocrità! Viviamo con fedeltà, gioia ed entusiasmo la nostra vocazione e tutto sarà bello per noi e per gli altri!


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

 

 

 

 

 

 

sexta-feira, 8 de novembro de 2024

A ATITUDE FUNDAMENTAL DO DISCIPULO DI CRISTO

 

Uma reflexão a partir  de 1 Re 17, 10-16; Sal.145; Eb 9, 24-28; Mc 12, 38-44




 

    A centralidade da nossa reflexão é a palavra “generosidade” como atitude fundamental da pessoa que crê e para ser mais preciso, do discipulo de Jesus. Deus não se deixa vencer em generosidade. Quem é generoso para com Ele recebe muito mais. Esta experiência está muito presente na nossa vida quotidiana e muito evidente na vida das duas viúvas apresentadas na liturgia de hoje.

    Na primeira leitura, temos a primeira viúva que responde generosamente ao pedido do profeta Elias, expressando uma atitude confiante na ação providente de Deus, para quem nada é impossível. Da parte de Deus, providencial assistência. Da parte da viúva, total confiança, isto é, se abandona nas mãos de Deus. É a esta atitude que somos chamados para que a ação da graça de Deus seja eficaz na nossa vida.   

    A segunda leitura sublinha a excelência do sacerdocio de Cristo o qual cancelou o pecado através da oferta total de si mesmo na cruz. Este é o mistério que nos salvou e que revivemos em cada Eucaristia que celebramos. Através dela experimentamos de um modo muito concreto a abundante generosidade de Deus que nos amou tanto que deu o seu Filho para a nossa salvação.

    No Evangelho, Jesus nos apresenta duas atitudes: uma a ser evitada, ou seja aquela dos escribas, e uma segunda atitude a ser cultivada, ou seja, o exemplo da viúva. Quem è essa viuva? “Ela não conhecia Jesus, não foi batizada”, mas demonstrou a maneira correta de ser discípula de Jesus. O seu gesto simples e quase escondido, cheio de generosidade, atraiu a atenção de Jesus que imediatamente a apresentou aos seus discípulos como um modelo a seguir.

    É muito importante aqui estarmos atentos ao modo como Jesus olha. “O ser humano vê a aparência, mas Deus olha o coração”. E Jesus vê que na sua oferta a viúva doou tudo o que tinha para viver, ou seja, deu tudo de si. Esta é a oferta que agrada a Deus. Não interessa a Deus tanto a quantidade de coisas que alguém é capaz de oferecer ou fazer em seu nome, mas a generosidade do seu coração. A grandeza do coração de uma pessoa não se mede pela grandiosidade do dom que oferece, mas pela beleza do seu gesto. Na verdade, são os pequenos gestos que fazem a diferença. Encontramos o verdadeiro sentido da vida quando imitamos Deus que na sua generosidade não sò nos oferece algo, mas a si mesmo.


Fr Ndega

sábado, 2 de novembro de 2024

A RADICALIDADE DA NOSSA IDENTIDADE

 

Uma reflexão a partir de Mt 5, 1-12




 

    Estamos celebrando a solenidade de todos os santos. Mas quem são os santos? São os irmãos mais velhos que a Igreja nos apresenta como modelos porque, pecadores como cada um de nós, se deixaram encontrar por Jesus, através dos seus desejos, das suas fraquezas, dos seus sofrimentos e até das suas tristezas. Agora, eles contemplam a face de Deus e se alegram plenamente com esta visão. Celebrar todos os santos significa olhar para aqueles que já gozam da herança da glória eterna e significa também comprometer-se em abraçar, como eles, o caminho indicado por Jesus através das bem-aventuranças.

    Jesus nos convida a subir a montanha com ele. Na Bíblia o monte é um lugar de forte experiência de Deus. Porém, o sentido aqui é mais teologico que geografico, fisico. Bem-aventurado é quem aprende a olhar o mundo e a vida a partir do monte, isto é, a partir do alto, di um plano superior. O monte quer provocar uma mudança na nossa maneira de ver e de viver. Aqui estamos no capítulo cinco de Mateus, que juntamente com os capítulos seis e sete são chamados de “Sermão da Montanha”.  É o discurso inaugural do reino de Deus. O que é o reino? É o mistério da realidade divina revelado aos pequenos.

    Na verdade, entre os espectadores deste discurso não estão os ricos e poderosos, mas os pequenos, os pobres e os sofredores. Jesus sabe olhar para quem o procura e o segue, sabe discernir antes de tudo o seu cansaço e o seu sofrimento e fica profundamente comovido pelos seus males. Com o seu feliz anúncio, Jesus lhes traz grande consolação e esperança. Ele os chama de “bem-aventurados”, não pela sua situação de sofrimento, mas porque Deus os ama, vem ao seu encontro e está verdadeiramente próximo deles. O ponto de referência não é o sofrimento, mas a proximidade divina.

    As bem-aventuranças são um programa de vida para todos nós que seguimos Jesus, já que foram vividas primeiramente por le mesmo e as quis apresentar como caminho eficaz para entrar no seu reino. O ser humano procura a felicidade, a vida plena e sem fim, e Jesus quer dar resposta a esta sede profunda presente no coração de cada pessoa. “Bem-aventurado” não é um adjetivo, é um convite à felicidade, à plenitude da vida, à santidade, à consciência de uma alegria que nada nem ninguém pode roubar ou extinguir.  

    Como ser santo hoje? Que ninguém pense na santidade como uma alegria livre de provações e sofrimento. A pessoa se santifica vivendo a sua vida quotidiana no meio destas realidades, mas com os olhos fixos em Jesus, cuja atividade vivida estava em conformidade com a vontade do Pai. São João Calabria dizia que “para ser santo não é preciso fazer nada de extraordinário; basta que sejam santas as nossas disposições ordinárias”. Os santos não são somente aqueles que estão nos altares. No meio de nós existem muitas pessoas que buscam conformar a sua vida segundo o estilo de vida de Jesus vivendo con radicalidade a proposta do evangelho. São esses que o Papa Francisco chama de “santos da porta ao lado”. E não pensemos que a santidade ou o ser santo é coisa só para os outros, pois desde o nosso batismo è esta a nossa vocação. As escolhas que fazemos ao longo da caminhada são somente formas de vida para responder a esta únicia vocação.    


Fr Ndega

quinta-feira, 31 de outubro de 2024

CHAMADOS A EXPERIMENTAR A MESMA VIDA DE CRISTO

 

Reflexão a partir de Jó 19, 1.23-27; João 6, 37-40




 

    Comemoramos os nossos entes queridos que foram chamados ao encontro definitivo com Deus e “que esperamos que contemplem a sua glória”. Para ter esta visão estupenda é preciso passar pela experiência da morte que, segundo Santo Agostinho, é um “repouso”: “Senhor, tu nos fizeste para ti e a nossa vida vive inquieta enquanto não repousar em ti”. Isso significa que não caminhamos para a ruína, mas para esse repouso, que sinaliza a plenitude da nossa existência. Nossos entes queridos nos precederam neste encontro.

    Segundo o testemunho de Jó, é a certeza de ver Deus na sua glória que deve motivar toda a nossa vida nesta terra. “Nossos olhos contemplarão Deus com a familiaridade de quem não é estranho à sua vida”. Não somos estranhos a Deus, mas filhos, herdeiros, destinados a experimentar a ressurreição de Jesus, dom do amor do Pai. Somos, portanto, esperados pelo amor, no amor realizamos a nossa vida e só no amor podemos acolher o mistério do Deus que atrai a si as pessoas para torná-las verdadeiramente felizes.    

    Portanto, o fundamento da nossa esperança é o amor. “Este amor é a essência da vida humana; abre-te a este amor, vive-o e verá que a condição humana será transformada. Não nascemos para sofrer e morrer. Até a nossa velhice se torna uma preparação para uma vida plena e definitiva, não para a morte definitiva”. O que significa dizer que “não nascemos para morrer”, se a morte faz parte do nosso cotidiano? A Escritura fala de dois tipos de morte: a morte, que faz parte da nossa frágil e limitada condição humana, e há também aquela morte que é eterna, que não foi criada por Deus, mas pela liberdade humana. Assim diz a Sabedoria: “Não ocupeis o vosso tempo em buscar a morte com os erros da vossa vida, não destruais vós mesmos com as obras das vossas mãos, porque Deus não criou a morte e não se alegra com a ruína dos vivos” (Sab. 1, 13-14).

    Jesus com sua morte e ressurreição destruiu a morte. A partir Dele, a morte não tem mais a última palavra. Nele e pelo Seu poder todos ressuscitaremos, pois esta é a vontade do Pai: “Que ninguém se perca”. É justamente a nossa fé em Jesus ressuscitado que nos dá a certeza de que morrer não é uma perda irreparável, mas a passagem para a condiçao gloriosa com Nosso Senhor. Para quem crê, “A vida não é tirada, mas transformada.”

    No mistério de Jesus Cristo, que é ressurreição e vida, sentimo-nos em comunhão com todos aqueles que nos precederam na vida eterna e renovamos a esperança de obter a plena realização da nossa vida em Cristo. O legado de vida de nossos entes queridos tem grande valor para nós, que somos chamados a continuar nossa caminhada de fé vivendo segundo o evangelho. Se não podemos voltar a ver aqueles que nos precederam, os valores que viveram e nos deixaram testemunham que a presença deles entre nós não foi em vão. Assim, celebrar os nossos entes queridos é uma demonstração de como eles continuam presentes em nossas vidas e como nos ajudam em nossa caminhada. Que o Senhor os recompense com a felicidade eterna pelo bem que fizeram entre nós!


Fr Ndega

CHIAMATI A CONDIVIDERE LA STESSA CONDIZIONE DI CRISTO

 

Riflessione a partire da Gio 19, 1.23-27; Gv 6, 37-40




 

    Commemoriamo i nostri cari che sono stati chiamati all’incontro definitivo con Dio e “che speriamo contemplino la sua gloria”. Per avere questa stupenda visione bisogna passare per l’esperienza della morte che, secondo Santo Agostino, si tratta di un “riposo”: “Signore, ci hai fatto per te e la nostra vita vive inquieta finché non riposa in te”. Questo vuol dire che non camminiamo verso la rovina, ma verso questo riposo, il quale segnala la pienezza della nostra esistenza. I nostri cari ci hanno preceduto in questo incontro.

    Secondo la testimonianza di Giobbe, è la certezza di vedere Dio nella sua gloria che deve motivare tutta la nostra vita su questa terra. “I nostri occhi contempleranno Dio con la familiarità di chi non è estraneo alla sua vita”. Non siamo estranei per Dio, ma figli, eredi, destinati a condividere la risurrezione di Gesù, dono dell’amore del Padre. Siamo, quindi, attesi dall’amore, nell’amore realizziamo la nostra vita e soltanto nell’amore possiamo accogliere il mistero del Dio che attira le persone a sé per renderle veramente felici.     

    Quindi, il fondamento della nostra speranza è l’amore. “Questo amore è la sostanza della vita umana; apriti a quest’amore, vivilo e vedrai che la condizione umana verrà trasformata. Non siamo nati per soffrire e per morire. Anche la nostra vecchiaia diventa una preparazione a una vita piena e definitiva, non alla morte definitiva”. Cosa significa dire che “non nasciamo per morire”, se la morte fa parte del nostro quotidiano? La Scrittura parla di due tipi di morte: la morte, che è parte della nostra condizione umana fragile e limitata e anche quella morte che è eterna, che non è stata creata da Dio, ma dalla libertà umana. Così dice la Sapienza: “Non affannatevi a cercare la morte con gli errori della vostra vita, non attiratevi la rovina con le opere delle vostre mani, perché Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi” (Sap 1, 13-14).

    Gesù con la sua morte e risurrezione ha distrutto la morte. A partire da Lui la morte non ha più l’ultima parola. In Lui e per il suo potere tutti risusciteremo, perché questa è la volontà del Padre: “Che non si perda nessuno”. È precisamente la nostra fede in Gesù risorto che ci dà la certezza che morire non è una perdita irreparabile, ma il passaggio alla condizione gloriosa con il nostro Signore. Per chi crede “la vita non è tolta ma trasformata”.

    Nel mistero di Gesù Cristo, che è la resurrezione e la vita, ci sentiamo in comunione con tutti quanti ci hanno preceduto nella vita eterna e rinnoviamo la speranza di ottenere in Cristo la piena realizzazione per la nostra vita. L’eredità di vita dei nostri cari ha un grande valore per noi che siamo chiamati a continuare il nostro cammino di fede vivendo secondo il vangelo. Se non possiamo vedere ancora una volta coloro che ci hanno preceduto, i valori che hanno vissuto e ci hanno lasciato testimoniano che la loro presenza in mezzo a noi non è stata vana. Cosi, celebrare i nostri cari è una dimostrazione di come essi continuano ad essere presenti nella nostra vita e come ci aiutano nel nostro cammino. Che il Signore li ricompensi con la felicità eterna per tutto il bene che hanno fatto tra noi.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

 

domingo, 27 de outubro de 2024

CORAGGIO! ALZATI, EGLI NON SI È DIMENTICATO DI TE!

 

Riflessione a partire di Ger 31,1-7; Eb 5,1-6; Mc 10, 46-52


 



    Il messaggio di questi brani ci aiuta a credere che c’è una luce in fondo al tunnel e che tutto è possibile a chi crede. Colui a chi rivolgiamo le nostre preghiere non ci farà aspettare per molto tempo.

    Il brano di Geremia è un invito alla gioia perché il Signore sta per compiere un’opera stupenda nella vita del suo popolo; anzi, quest’opera è già cominciata. Egli è un padre pieno di tenerezza per il suo popolo, specialmente per i più deboli. Egli attira a sé ogni vivente per fare sperimentare la sua salvezza perché “la sua tenerezza abbraccia ogni creatura”. Davanti a un Dio che agisce così nei nostri confronti, il nostro atteggiamento deve essere di totale fiducia, lasciando spazio all’azione della sua grazia nella nostra vita, cioè, lasciando che Dio sia Dio in noi.

    Il brano agli Ebrei ci porta l’immagine del sacerdote che è scelto fra gli uomini e costituito per il bene degli uomini. Per il fatto di essere rivestito di debolezza è in grado di sentire giusta compassione per coloro che commettono errori. Questa realtà parla proprio dell’identità di Gesù Cristo, vero sacerdote, che “riunisce nella sua persona la debolezza dell'uomo e la potenza rinnovatrice dell'Altissimo”. La dignità di sommo sacerdote non si dà da sé stesso, ma l'ha ricevuta dal Padre. La dignità sacerdotale che anche noi abbiamo ricevuto per il battesimo è prima di tutto un dono, un’iniziativa di Dio a cui dobbiamo rispondere con fedeltà e gioia. Siamo aiutati dalla sua grazia e dalla comunità perché possiamo vivere la nostra vocazione come un dono per gli altri.

    Il brano del vangelo parla della guarigione del cieco Bartimeo e, quindi, la rivelazione di Gesù come luce che ci dà nuova visione. Questo miracolo è avvenuto mentre Gesù usciva dalla città di Gerico, cioè, nella periferia, lasciando dietro la fama della città conquistata tramite la violenza e il dominio della forza. Il cieco Bartimeo era seduto lungo la strada a mendicare e certamente ha sentito parlare più volte di Gesù, desiderando molto una opportunità di incontrarlo. Ed ecco l’opportunità è arrivata! Il cieco non ci vedeva ma fu in grado di riconoscere Gesù che passava. Niente e nulla riuscì ad impedirgli di gridare a Gesù che commosso lo chiamò. Il cieco gettò via quello che gli dava sicurezza e con un salto andò verso Gesù e guarito, lo seguì.

    Il grido di Bartimeo è il grido di ogni uomo consapevole della sua debolezza e quindi bisognoso della misericordia di Dio: “Gesù Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Gesù ha sentito non soltanto il grido del cieco ma anche il grido di coloro che cercavano di fare tacere il cieco, dimostrando indifferenza dinanzi alla sua situazione. Il rimprovero della gente nei confronti del cieco viene interrotto da Gesù con un ordine: “Chiamatelo!”. Così, Gesù si fa vicino al bisognoso e condanna l’indifferenza che attenta contro la fraternità, negando l’identità del vero discepolo.

    Certamente la risposta di Gesù è stata un misto di compassione e indignazione perché si trovava dinanzi a due cecità: la cecità di Bartimeo e la cecità della gente che seguiva il maestro, ma non in comunione con i suoi sentimenti. Senza sintonizzarci con il cuore di Gesù non riusciamo ad essere veri discepoli suoi. Domandiamoci: chi è cieco di più, colui che ha la cecità fisica o coloro che non riescono a vedere o percepire i bisogni di coloro che vivono accanto a sé? 

    L’intervento di Gesù sconvolge e motiva a una presa di posizione: o stiamo con Gesù e, quindi, impegnati con la causa di chi ha più bisogno oppure rimaniamo indifferenti e, quindi, rinunciamo alla sequela di Cristo. Chi è con lui è chiamato a incoraggiare e a sollevare il dolore, facendo arrivare a tutti la vicinanza di Cristo: “Coraggio! Alzati, Egli ti chiama! Egli non si è dimenticato di te né abbandona coloro che confidano in lui!” Queste voci sono strumenti che Dio usa per farsi vicino nella vita di chi lo invoca e nel cuore di coloro che sono in ricerca della loro vocazione perché siano consapevoli della chiamata divina nelle loro scelte fondamentali. 

    Il Gesù che cerchiamo di seguire è molto sensibile al dolore umano. Ha gli occhi e le orecchie attenti alla situazione della gente. Egli ci invita ad avere la stessa sensibilità. Spesso siamo come il cieco Bartimeo, cioè, abbiamo difficoltà a vedere bene e cerchiamo una opportunità, un incontro che ci trasformi veramente al fine di vedere chiaramente ciò che sta accadendo intorno a noi e seguire Gesù che porta un nuovo senso alla nostra vita. Ma alle volte siamo anche come la folla che seguiva Gesù: ci sentiamo molto vicini a lui ma lontani dai fratelli e sorelle che convivono con noi, diventando ostacolo alla fede dei deboli. Dobbiamo essere attenti a certe esperienze che ci aprono a Dio, ma ci chiudono agli altri. Se la nostra fede non ci conduce agli altri né ci rende compassionevoli dinanzi ai dolori altrui, questa fede è cieca, ha bisogno di guarigione. Chiediamo a Dio la grazia di vedere veramente.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi 

terça-feira, 22 de outubro de 2024

A SABEDORIA DA ANCESTRAL CLEMENTINA

 

Una reflexão a partir de Eclo 44, 1-15 e Lc 12, 13-21




 

    A reflexão que eu gostaria de compartilhar com vcs estabelece uma relação bela e profunda entre duas espiritualidades: a espiritualidade cristã e espiritualidade tradicional africana por se tratar di um evento muito significativo para a nossa familia, che tem uma identidade marcadamente cultural afro.  

    Eu tenho duas mães que eu não posso ver: uma è Nossa Senhora e a outra se chama Dona Senhora (Clementina). Onde està Nossa Senhora? No céu. E onde està Dona Senhora? Na condição e situação que a Igreja chama de purgatorio e quando se chega ao purgatorio, se chegarà também ao céu. Podemos dizer, em uma linguagem afro, que Mainha (Clementina) està na Morada dos Ancestrais pois ela mesma se tornou uma Ancestral. E qual é a condição para que uma pessoa possa se tornar Ancestral?

    Em uma localidade do Congo Democratico, em uma ou mais tribos das muitas tribos daquele paìs, se conta que uma pessoa adulta quando morre é avaliada por um Conselho de Anciãos. Se o testemunho da familia for positivo sobre o modo de viver e agir daquele ente querido ele é mantido no caixão na posição que nòs conhecemos, isto é, con o rosto para cima. Mas se o testemunho for negativo a pessoa è virada, isto é, colocada com o rosto voltado para a terra, pois não merece, não é digna de contemplar o mundo dos Ancestrais.

    Sob este ponto de vista nem todos se tornam ancestrais. Alguns morre para não mais serem lembrados. O texto que temos escutado do livro do Eclesiastico fala também deste tipo de pessoa, mas concentra a sua atenção sobre aquelas pessoas que devem ser lembradas para sempre.   

    Este testo faz um elogio, uma hino de louvor em reconhecimento pelas pessoas que fizeram a vida valer a pena, cioè, que “foram pessoas de bem e das quais os gestos de bondade jamais serão esquecidos... seus corpos foram sepultados em paz, seu nome vive por todas as geraçoes”. È aqui che encontramos uma forte referencia a Dona Senhora, uma grande mulher que viveu entre nòs sabiamente, pois sempre buscou acumular “tesouros” não para si mesma, como fez aquele louco da paràbola do evangelho e por isso se tornou rica diante de Deus. Por causa da escolha que fez, jamais serà esquecida.   

    Mas padre, como o senhor usa o verbo no presente (exemplo, eu tenho) se a mãe Dona Senhora morreu? Nòs nos abituamos a usar o verbo no passado e è esse o nosso problema, a linguagem. O fato de não poder ver algumas pessoas não nos dà o direito de pensar que elas não existam mais. Jesus afirmou uma vez: “Deus é o Senhor dos vivos não dos mortos pois para Ele todos vivem”. E numa linguagem afro, a comunidade é um composto de pessoas visiveis e invisiveis. Fazem parte da comunidade junto com os vivos que vemos, os bebes que ainda não nasceram e as pessoas que deixaram de serem vistas.    

    Portanto, nos consola o fato de saber que as pessoas que morreram continuam presentes na comunidade, mesmo que de um modo diferente de antes. É a esta modalidade de presença à qual Jesùs educou os seus discipulos depois de ter passado pelo sono da morte. É esta a comunhão dos santos que professamos no credo da nossa Igreja. É esta a experiencia que aumenta a nossa certeza de que Clementina dos Santos Boaventura continua viva entre nòs, pelos valores de bem que viveu e que semeou, e pela sua herança espiritual presente em muitos de nòs. Obrigado Dona Senhora (Clementina)! 


Fr Ndega   

  

MEUS QUERIDOS FILHOS, JA ME SINTO PREPARADA...

 


 

    Temos uma nova intercessora no céu e se chama Clementina dos Santos Boaventura. Certo que estamos tristes mas com o coração cheio de esperança. O que nos consola é saber que tivemos uma mãe guerreira, mãe ternura, mãe cuidadora. Em um dos nossos diálogos nestes dias, em meio aos sofrimentos, ela queria saber como eu estava. Ela nunca cansou de se preocupar com os outros. Salvou muitas vidas como benzedeira. Levou alegria e conforto a muitos doentes como ministra extraordinária da Eucaristia; festejava com amor e gratidão cada conquista dos filhos e soube enfrentar com paciência e determinaçäo as situações difíceis que nós todos testemunhamos na nossa família.

    Uma mulher assim não temos dúvidas que encontrou um lugar especial no coração de Deus Pai que não deixa passar em vão nenhum bem feito. Nada é em vão quando feito com amor. E essa Dona Clementina soube como amar de verdade.

    Uma mulher de fé e de intensa vida de oração. Neste sentido ela foi mestra educando-nos a uma vida de oração singela e verdadeira. Serviu por muito tempo como zeladora do Apostolado da Oração, coordenando por tanto tempo grupos de novenas, levando a alegria de Jesus às familias. Foi a sua fé inabalável que a fez esperar por uma intervenção divina para liberá-la do mal que lhe afetava, afirmavando, porém, que estava disposta e pronta para acolher a vontade de Deus na sua vida. A respeito disso, assim testemunhou um dos filhos: “meus queridos filhos já me sinto preparada; na hora que Deus me chamar eu irei”.       

    Durante estes ultimos momentos, rezávamos todos os dias juntos a espera de um milagre pela intercessão de São João Calábria. O milagre da cura que esperávamos não aconteceu, mas Deus fez muitos outros milagres durante este tempo, através da presença e proximidade de tantas pessoas che vinham à nossa casa para visitá-la e confortá-la. Ela viveu os seus ultimos momentos acompanhada, cuidada e paparicada por pessoas da famìlia que a amam tanto. Por isso podemos dizer que ela partiu deste mundo gozando por antecipação daquella felicidade que Deus na sua misericórdia garante a todos aqueles que faz da sua vida doação pelos outros, que vivem neste mundo fazendo os outros felizes.     

    Mesmo que seja difícil aceitar a ideia de não poder mais vê-la entre nós fisicamente, fica a nossa gratidão ao Deus de bondade que nos deu uma mãe assim. Que a sua graça conforte o nosso coração e nos motive a seguir os passos da nossa mãe que fez a sua vida e presença valerem a pena entre nós.

    Temos agora a tarefa de levar adiante a sua herança de vida e de valores de bem que ela viveu, conscientes que é esse o modo concreto de mostrar que a passagem dessa pessoa de Deus por nossa vida não foi em vão, como afirmava São João Calábria: “Se tivermos Deus em nós faremos o bem até somente com a nossa passagem”.

    Obrigado por tudo mainha! Repousa na paz do Senhor e intercede por nós❤🙏🏾🙏🏾


Do teu filho sacerdote que tem a honra de dizer que a minha vocação foi uma resposta de Deus aos desejos do teu coração de mãe: "O meu desejo é que um dos meus filhos se torne padre".

sexta-feira, 11 de outubro de 2024

LO SGUARDO CHE CI CAMBIA LA VITA

 

Riflessione a partire da Sap 7, 7-11; Eb 4, 12-13; Mc 10, 17-30





    Il tema centrale di questa riflessione è la Sapienza. Essa ha la sua origine in Dio e si è resa visibile nella persona di Gesù Cristo, il quale si è dichiarato come “Pane disceso dal cielo”, cioè, Sapienza di Dio incarnata nelle realtà umane. In questo senso, è veramente saggia solo la persona che dà piena adesione agli insegnamenti di Gesù Cristo, condizione per la gioia piena.

    La lettura del libro della Sapienza, in stretta linea con il vangelo, riprende la testimonianza di Salomone, il quale sceglie la sapienza invece del potere e della ricchezza. La sapienza non può essere paragonata a nulla che esiste su questa terra. Essa è un dono dall’Alto e viene data a chiunque la ricerca e la preferisce nei confronti delle altre cose. La dobbiamo chiedere con umiltà e perseveranza, consapevoli che è interesse dello stesso Dio darcela, affinché possiamo fare delle scelte che siano secondo la sua volontà, come ha fatto lo stesso Salomone.

    Il brano della lettera agli ebrei è un inno alla Parola di Dio. Essa è viva e efficace e proprio per questo, ha la capacità di penetrare in profondità il nostro essere rendendoci in grado di compiere ogni buona opera. È dalla Parola che ci viene la capacità di discernere perché essa è fonte di sapienza. Quando l’accogliamo bene e permettiamo la sua azione nella nostra vita, pian piano essa trasforma il nostro cuore di pietra rendendolo sensibile e disponibile alle proposte divine.  

    Durante la vita pubblica di Gesù, molte persone sono venute da lui, lasciandosi toccare e trasformare dalla sua parola. Gesù ha potuto, in più occasioni, provare gioia e soddisfazione per i risultati positivi della richiesta alla sua sequela. Ma con l'uomo che appare nel vangelo di oggi, la situazione è stata ben diversa, perché, sebbene portasse in sé l'anelito alla vita eterna, il suo cuore era chiuso e troppo preso. Egli infatti era zelante, disponibile, seguiva i comandamenti, ma viveva senza molto senso, perché la sua vita si limitava all'adempimento delle regole e ai beni che possedeva.

    Gesù gli rivolge uno sguardo pieno d’amore, tipico di chi vuole affidare qualcosa di molto prezioso a qualcuno perché sa che esso ha il potenziale per corrispondere. L'invito a seguire Gesù, allora, viene da uno sguardo che penetra nel profondo, affascina e seduce. Esso prende in considerazione l'esperienza di fede, attraverso i comandamenti e allarga l’orizzonte attraverso una nuova proposta di vita, non basata sul rispetto delle regole o sul rigorismo, ma sul distacco e la condivisione dei beni. In altre parole, Gesù ci invita a seguirlo con saggezza.

    Una vera trasformazione deve avvenire anche per noi, poiché la Parola di Gesù che di solito ci viene rivolta porta una proposta radicale che provoca alcune rotture. O seguiamo Gesù, rinunciando al superfluo, oppure manteniamo il superfluo e rinunciamo a Gesù. Non si può optare per Gesù e continuare allo stesso modo, ad esempio, avere un rapporto sbagliato nei confronti delle cose materiali. Senza conversione non c'è vera sequela.

    Facciamo fatica a scegliere bene perché pensiamo molto a quello che dobbiamo rinunciare. L’uomo del vangelo ha fatto la peggiore scelta della sua vita perché non ha voluto rinunciare. “Non facciamo anche noi lo stesso errore perché quando il Signore ci chiede cose così grandi è solo perché, prima, ci ha raggiunto con uno sguardo pieno d’amore, donandoci le condizioni per la risposta secondo le sue attese”. E questo ci basta.

    Di fronte a una realtà che si presenta carica di proposte sempre più attraenti e affascinanti, ci vuole molta saggezza e audacia profetica per compiere un passo così significativo come quello a cui Gesù ci invita oggi. E questo non è riservato solo agli altri... Ogni persona è chiamata a coltivare uno stile di vita più semplice e distaccato, ponendo la sua speranza più in Dio che nelle cose che possiede. La dedizione al servizio fraterno e la condivisione dei beni nella comunità dimostrano che comprendiamo che la vita eterna comincia già su questa terra, facendoci sperimentare una gioia moltiplicata in ogni gesto di bene a favore degli altri.

    Lasciamoci amare dal Signore e accettiamo la sua proposta che ci assicura la vera libertà, condizione fondamentale per avere la vita eterna, cioè, la vita dell’Eterno, che comincia dal momento che decidiamo di seguirlo con radicalità. Che Egli ci conceda la sua saggezza perché possiamo avere un atteggiamento adeguato verso i beni e possiamo assumere la nostra vocazione di discepoli nella totale disponibilità a servirlo nella persona dei nostri fratelli e sorelle.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi