Riflessione a partire da Gio 19, 1.23-27; Gv 6, 37-40
Commemoriamo i
nostri cari che sono stati chiamati all’incontro definitivo con Dio e “che
speriamo contemplino la sua gloria”. Per avere questa stupenda visione bisogna
passare per l’esperienza della morte che, secondo Santo Agostino, si tratta di
un “riposo”: “Signore, ci hai fatto per te e la nostra vita vive inquieta
finché non riposa in te”. Questo vuol dire che non camminiamo verso la rovina,
ma verso questo riposo, il quale segnala la pienezza della nostra esistenza. I
nostri cari ci hanno preceduto in questo incontro.
Secondo la
testimonianza di Giobbe, è la certezza di vedere Dio nella sua gloria che deve
motivare tutta la nostra vita su questa terra. “I nostri occhi contempleranno
Dio con la familiarità di chi non è estraneo alla sua vita”. Non siamo estranei
per Dio, ma figli, eredi, destinati a condividere la risurrezione di Gesù, dono
dell’amore del Padre. Siamo, quindi, attesi dall’amore, nell’amore realizziamo
la nostra vita e soltanto nell’amore possiamo accogliere il mistero del Dio che
attira le persone a sé per renderle veramente felici.
Quindi, il
fondamento della nostra speranza è l’amore. “Questo amore è la sostanza della
vita umana; apriti a quest’amore, vivilo e vedrai che la condizione umana verrà
trasformata. Non siamo nati per soffrire e per morire. Anche la nostra
vecchiaia diventa una preparazione a una vita piena e definitiva, non alla
morte definitiva”. Cosa significa dire che “non nasciamo per morire”, se la
morte fa parte del nostro quotidiano? La Scrittura parla di due tipi di morte:
la morte, che è parte della nostra condizione umana fragile e limitata e
anche quella morte che è eterna, che non è stata creata da Dio, ma dalla
libertà umana. Così dice la Sapienza: “Non affannatevi a cercare la morte con
gli errori della vostra vita, non attiratevi la rovina con le opere delle
vostre mani, perché Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei
viventi” (Sap 1, 13-14).
Gesù con la
sua morte e risurrezione ha distrutto la morte. A partire da Lui la morte non
ha più l’ultima parola. In Lui e per il suo potere tutti risusciteremo, perché
questa è la volontà del Padre: “Che non si perda nessuno”. È
precisamente la nostra fede in Gesù risorto che ci dà la certezza che morire
non è una perdita irreparabile, ma il passaggio alla condizione gloriosa con il
nostro Signore. Per chi crede “la vita non è tolta ma trasformata”.
Nel mistero di
Gesù Cristo, che è la resurrezione e la vita, ci sentiamo in comunione con
tutti quanti ci hanno preceduto nella vita eterna e rinnoviamo la speranza di
ottenere in Cristo la piena realizzazione per la nostra vita. L’eredità di vita
dei nostri cari ha un grande valore per noi che siamo chiamati a continuare il
nostro cammino di fede vivendo secondo il vangelo. Se non possiamo vedere
ancora una volta coloro che ci hanno preceduto, i valori che hanno vissuto e ci
hanno lasciato testimoniano che la loro presenza in mezzo a noi non è stata
vana. Cosi, celebrare i nostri cari è una dimostrazione di come essi continuano
ad essere presenti nella nostra vita e come ci aiutano nel nostro cammino. Che
il Signore li ricompensi con la felicità eterna per tutto il bene che hanno
fatto tra noi.
Fr Ndega
Revisione dell'italiano: Giusi
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