quinta-feira, 31 de outubro de 2024

CHIAMATI A CONDIVIDERE LA STESSA CONDIZIONE DI CRISTO

 

Riflessione a partire da Gio 19, 1.23-27; Gv 6, 37-40




 

    Commemoriamo i nostri cari che sono stati chiamati all’incontro definitivo con Dio e “che speriamo contemplino la sua gloria”. Per avere questa stupenda visione bisogna passare per l’esperienza della morte che, secondo Santo Agostino, si tratta di un “riposo”: “Signore, ci hai fatto per te e la nostra vita vive inquieta finché non riposa in te”. Questo vuol dire che non camminiamo verso la rovina, ma verso questo riposo, il quale segnala la pienezza della nostra esistenza. I nostri cari ci hanno preceduto in questo incontro.

    Secondo la testimonianza di Giobbe, è la certezza di vedere Dio nella sua gloria che deve motivare tutta la nostra vita su questa terra. “I nostri occhi contempleranno Dio con la familiarità di chi non è estraneo alla sua vita”. Non siamo estranei per Dio, ma figli, eredi, destinati a condividere la risurrezione di Gesù, dono dell’amore del Padre. Siamo, quindi, attesi dall’amore, nell’amore realizziamo la nostra vita e soltanto nell’amore possiamo accogliere il mistero del Dio che attira le persone a sé per renderle veramente felici.     

    Quindi, il fondamento della nostra speranza è l’amore. “Questo amore è la sostanza della vita umana; apriti a quest’amore, vivilo e vedrai che la condizione umana verrà trasformata. Non siamo nati per soffrire e per morire. Anche la nostra vecchiaia diventa una preparazione a una vita piena e definitiva, non alla morte definitiva”. Cosa significa dire che “non nasciamo per morire”, se la morte fa parte del nostro quotidiano? La Scrittura parla di due tipi di morte: la morte, che è parte della nostra condizione umana fragile e limitata e anche quella morte che è eterna, che non è stata creata da Dio, ma dalla libertà umana. Così dice la Sapienza: “Non affannatevi a cercare la morte con gli errori della vostra vita, non attiratevi la rovina con le opere delle vostre mani, perché Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi” (Sap 1, 13-14).

    Gesù con la sua morte e risurrezione ha distrutto la morte. A partire da Lui la morte non ha più l’ultima parola. In Lui e per il suo potere tutti risusciteremo, perché questa è la volontà del Padre: “Che non si perda nessuno”. È precisamente la nostra fede in Gesù risorto che ci dà la certezza che morire non è una perdita irreparabile, ma il passaggio alla condizione gloriosa con il nostro Signore. Per chi crede “la vita non è tolta ma trasformata”.

    Nel mistero di Gesù Cristo, che è la resurrezione e la vita, ci sentiamo in comunione con tutti quanti ci hanno preceduto nella vita eterna e rinnoviamo la speranza di ottenere in Cristo la piena realizzazione per la nostra vita. L’eredità di vita dei nostri cari ha un grande valore per noi che siamo chiamati a continuare il nostro cammino di fede vivendo secondo il vangelo. Se non possiamo vedere ancora una volta coloro che ci hanno preceduto, i valori che hanno vissuto e ci hanno lasciato testimoniano che la loro presenza in mezzo a noi non è stata vana. Cosi, celebrare i nostri cari è una dimostrazione di come essi continuano ad essere presenti nella nostra vita e come ci aiutano nel nostro cammino. Che il Signore li ricompensi con la felicità eterna per tutto il bene che hanno fatto tra noi.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

 

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