Riflessione a partire di Is 66, 10-14; Gal 6, 14-18; Lc 10, 1-12
Quello che
riassume il messaggio di questi testi è la certezza che non solo stiamo in
missione ma che siamo anche una missione su questa terra. Non è merito nostro ma
pura gratuità di colui che ci ha chiamati ed inviati per la salvezza nostra e
altrui. Essere missionario è essere chiamato alla gioia, condizionata dalla
fedeltà al Dio fedele. “Egli vuole plasmare in noi il cuore del suo Figlio” e
per questo ci vuole disponibili e generosi.
Usando un
linguaggio materno, Isaia fa un invito alla gioia a motivo di quello che il
Signore sta per compiere nella vita del suo popolo. La presenza costante di Dio
in mezzo al suo popolo fa superare i momenti di disagio e delusione aprendo
spazi alla speranza e alla gioia anche se tutto sembra perduto. Come a questo popolo,
anche a noi viene chiesta una instancabile fiducia nell’azione del Signore,
perché è sempre fedele Colui che promette.
La seconda lettura presenta una grande polemica: alcuni giudeo-cristiani, che rimanevano ancora
legati alle loro tradizioni giudaiche, volevano costringere i pagani ad essere circoncisi
come loro. Per questo motivo Paolo dice che se giudichiamo in questo modo, rendiamo vana la croce di Cristo.
Tramite la croce, Cristo ha vinto la morte e anche il mondo vecchio è
stato crocifisso! Siamo creature nuove.
Tocca a noi vivere da risorti, abbandonando i vecchi atteggiamenti, la vecchia
mentalità, tutto ciò che contraddice la nostra nuova condizione.
Il brano del Vangelo ci presenta Gesù che oltre gli apostoli chiama ed
invia altre 72 persone ad evangelizzare. Questo numero, nell’Antico Testamento
era simbolo della totalità delle nazioni e indica l’universalità della
missione, cioè, l’evangelizzazione non è compito solo dei preti e suore ma
coinvolge tutti. Gesù li manda a due a due mettendo al centro della loro
attività l’esperienza comunitaria, la relazione. La missione è un impegno che
non si assume da soli. Abbiamo bisogno del supporto comunitario per l’esito
della nostra missione.
I discepoli devono essere persone di preghiera come esperienza fondante,
cioè, come base che mantiene l’edificio della loro esistenza. Devono essere
consapevoli che la messe ha il suo padrone, un Padre buono e generoso, che sa
dei bisogni dei suoi figli prima che gli chiedano qualcosa. Usando la parola “messe”
Gesù accenna all’importanza di valorizzare ogni luogo dove si arriva poiché ci
ha preceduto lo Spirito Santo con i semi della Parola eterna. Quindi, non si
esce da un giardino verso un deserto, ma da un giardino all’altro. “Messe vuol
dire terreno fertile”.
Dio non ha bisogno della nostra preghiera; siamo noi che abbiamo bisogno di
pregare poiché quando preghiamo cresciamo nella consapevolezza di essere figli
e discepoli molto amati; diventiamo quello che già siamo per vocazione. I
discepoli sono come agnelli in mezzo a lupi, perché sono chiamati a incarnare
la logica del vero Agnello, Colui che toglie i peccati del mondo perché è in
grado di donare la propria vita per i suoi amici. È in questa logica –
dell’amore, del dono di sé - che la loro vita trova il suo vero senso. Missione
è darsi, è donarsi.
Tra le preoccupazioni di Gesù c’è anche il problema delle cose materiali di
cui ci fidiamo tanto per la realizzazione di alcune attività. Gesù ci chiede
prudenza, sobrietà, distacco nei confronti di queste false sicurezze che a
volte fanno ombra alla Provvidenza, cioè, tendono a occupare nella nostra vita
il posto che appartiene a Dio. L’abbandono fiducioso alla Provvidenza deve
essere il distintivo del vero discepolo-missionario e diventa un annuncio
profetico dell’amore e della cura di Dio per i suoi figli. Vivere in
sovrabbondanza mette a rischio la credibilità del messaggio che portiamo essendo
ostacolo alla fede altrui.
I discepoli tornano pieni di gioia perché
hanno avuto successo nella missione, specie nei confronti dei demoni che si
sono sottomessi a loro a motivo del nome di Gesù. Ma il maestro chiede
attenzione riguardo questo tipo di gioia che ci può illudere. La vera gioia non
viene dal successo per un’opera fatta o per il diventare famosi e popolari in
questo mondo. La gloria di questo mondo è sempre passeggera. La vera gioia
consiste nell’essere accolti dal Padre come figli amati e partecipare alla
missione del Figlio, condividendo la sua stessa vita. Che possiamo essere
conformati alla vita di colui che siamo chiamati ad annunciare con la vita ancor
prima che con le parole.
Fr Ndega
Revisione dell'italiano: Giusi
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