Att. 10: 25-26, 34-35, 44-48; 1Gv 4: 7-10; Gv 15, 9-17
Dio non fa discriminazione di persona perché ama e nell’amore non c’è
discriminazione. In questo modo, il vero culto a Dio va accompagnato dalla
pratica della giustizia e della fraternità, che sono espressioni concrete
dell’amore. Non è possibile adorare Dio soltanto con le labbra mentre il cuore
rimane lontano da lui. È lo Spirito Santo che rende qualcuno in grado di avere
un rapporto vero con Dio. È stata questa l’esperienza di Pietro in casa di
Cornelio. Quando lo Spirito discese sopra coloro che ascoltavano la Parola di Dio
per bocca di Pietro, confermò che veramente Dio è un Padre attento ai desideri
che i suoi figli portano nel cuore ed è sempre pronto ad aiutarli quando si rivolgono
a lui con fede non importa la nazione a cui appartenga. Davanti a Dio nessuna
persona ha più dignità di un’altra anche se gode di privilegi davanti agli
altri. Dio spera soltanto che possiamo imparare da lui il modo giusto di
ragionare ed agire.
San Giovanni nella sua lettera invita i cristiani a coltivare un amore
reciproco perché l’amore ha la sua origine in Dio e colui/colei che ama viene
da Dio e conosce Dio. Quindi, amare è conoscere. Dio conosce perché ama.
Conoscere Dio è amarlo, cioè, avere con lui un rapporto profondo. Dio è amore e
ha amato tanto l’umanità da donare suo Figlio unigenito come dimostrazione di
questo amore per insegnare alla gente ad amare veramente. Da questa esperienza
abbiamo ricevuto la vita stessa di Dio, cioè, l’identità e dignità di figli. Lui
sa che non siamo in grado di retribuirlo con un amore così tanto grande, ma
spera che almeno amiamo gli altri da fratelli.
Nel contesto
dell’ultima cena, Gesù lascia ai suoi discepoli il suo testamento, cioè il
comandamento dell’amore. Interessante che questo brano inizia parlando della
fonte dell’amore di Gesù, cioè, il Padre, e finisce con una proposta: “Amatevi
gli uni gli altri”. Nonostante ci fosse
già questo comandamento nell’Antico Testamento, Gesù vuole chiamarlo nuovo,
perché in lui possiamo trovare il modo giusto di capire e di vivere questo
comandamento. Gesù chiede ai suoi di amare gli uni gli altri non in qualsiasi
modo, ma come egli stesso ha amato loro, fino al punto di donare la propria
vita. Non c’è amore maggiore di questo. Il rapporto che Gesù ha vissuto con i
suoi è stato rapporto di profonda amicizia basato sulla tenerezza e sulla
confidenza reciproca. In questo clima di familiarità Gesù li ha coinvolti nella
stessa comunione d’amore che egli vive con il Padre e cosi loro sono chiamati a
vivere in modo che i loro rapporti siano veri e autentici.
Gesù ha amato
dando la vita per i suoi amici. Per questo non li chiama ‘servi’ ma ‘amici’. Per
Lui, amicizia ha molto a che fare con donare la vita perché è così che si ama
veramente. Qui c’è la condizione perché una persona sia amica vera di Gesù,
vale a dire: che sia in grado di amare fino al dono di sé. Essere amico è essere
dono. La vera amicizia si concretizza nell’offerta della vita. Coltiviamo,
allora, una amicizia vera con Gesù non soltanto quando diciamo che lo amiamo ma
anche quando spendiamo la nostra vita per il suo regno. Gesù è nostro amico
perché ha dato la vita per noi. E noi siamo i suoi amici se siamo in grado di
fare lo stesso per gli altri.
Per la sua
iniziativa libera e generosa, Gesù ci ha fatto conoscere il Padre. Conoscere
nella bibbia vuol dire intimità, relazione sponsale. Gesù ci ha mostrato il
Padre non presentando un contenuto sull’esistenza di Dio per soddisfare il
nostro intelletto, ma invitandoci a un
rapporto filiale con lui. Quindi, è nella intimità di una relazione che Gesù ci
rivela il Padre e ci coinvolge nella comunione che lui stesso vive con il Padre
suo. Gesù insiste che è necessario rimanere nel suo amore perché la nostra
gioia sia piena. Questo è un altro modo di esprimere l’unione del tralcio alla
vite, che è lui. Questa unione ci porta alla gioia piena non solo perché ci
sentiamo uniti a Gesù ma perché siamo in grado di testimoniarlo al mondo. Su
questo papa Francesco afferma che “la nostra gioia non sarà mai piena se non la
comunichiamo agli altri”.
Viviamo in un
mondo nel quale l’amore è stato svuotato del suo senso originale, cioè ‘io amo
se posso avere dei vantaggi’ oppure ‘io amo fino a un certo punto’ oppure ancora
‘io amo alcuni, ma altri no’. Gesù ci parla di un amore diverso; un amore vero
la cui veracità è misurata dalla capacità di donare e servire, senza fare
discriminazione di persona. Chi ama veramente vuole soltanto il bene della
persona amata. È a questo amore che Gesù ci chiama quest’oggi. Non è un amore
che mi porta a fare solo ciò che mi conviene ma che mi rende capace di sacrificarmi
per gli altri. Si tratta di un amore che mi fa lasciare il mio egoismo e andare
incontro gli altri nei loro bisogni. Cosi è amare come Cristo ci ha amato.
Questo è l’amore che fa diventare fecondo il nostro apostolato.
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