Riflessione a partire di Ab 1, 2-3; 2,2-4; 2Tm 1,6-8.13-14; Lc 17, 5-10
Ci sono alcune
situazioni che ci impediscono di credere veramente poiché ci fanno pensare che Dio sia assente. Ma la prima lettura ci porta un messaggio che motiva a
perseverare nella fede, vale a dire, Dio c’è, è vicino e si manifesterà quando
meno si spera. Ci dice don Calabria: “Quando le difficoltà sembrano aumentare,
più fede”. San Paolo ha combattuto il buon combattimento della fede fino alla
fine. Ora, in carcere, si sente motivato dalla forza di Dio e dall’aiuto del suo
Spirito a esortare il suo discepolo Timoteo e ogni cristiano a ravvivare il
dono ricevuto per non perdere l’entusiasmo nella missione.
Gli apostoli
hanno fatto una richiesta a Gesù: “Accresci in noi la fede!”. Gesù non risponde
alla richiesta ma preferisce correggere la loro mentalità affermando in un modo
piuttosto sconcertante: “Se aveste fede quanto un granello di senape…” Egli “sembra
dire che la fede c’è o non c’è e quando c’è, anche se piccola, può operare cose
prodigiose”. Dio non può aumentare la
fede di nessuno poiché non è questo il suo compito. Il suo compito è darci la
fede e con questo dono rispondiamo a Lui. Quindi, la fede è una adesione a Dio
da innamorati che siamo del suo modo d’agire e condurre l’universo e la nostra
vita. La richiesta dei discepoli non è stata corretta perché per Gesù non è
importante la quantità di fede ma la qualità. E questo dipende soltanto da noi.
Questa richiesta
è avvenuta dopo alcune condizioni proposte da Gesù per la sua sequela. Una di
queste condizioni la troviamo nel versetto che precede questo brano: “Se il tuo
fratello commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te… tu gli
perdonerai”. Così fa capire che “la misura del perdono è il perdono senza
misura”. I discepoli riconoscendo la loro difficoltà chiedono: “Accresci in noi
la fede, non ce la faremo mai”. È una conclusione a cui arriviamo anche noi
riconoscendo che non ci impegniamo abbastanza. Ma la Scrittura dice: “Il giusto
vivrà per la sua fede”. È solo per la fede che possiamo accogliere gli altri
con i loro limiti e fragilità perché anche noi siamo fatti così.
Questo rimprovero
di Gesù ai suoi discepoli ci fa capire la loro debole fede. Allora, come potranno
seguirlo con radicalità, servendolo nella gratuità e nella generosità? È per la
fede che capiranno che non si segue Gesù se non per farsi servi. Chi vive
cercando grandezza, popolarità e privilegi sta seguendo una logica che non è
quella di Cristo. Lui in persona ci ha dato l’esempio poiché è venuto non per
essere servito ma per servire e dare sua vita per tutti. Quindi, la misura
della nostra fede passa per la nostra consapevolezza di essere servi e per la
qualità del nostro servizio. Per questo diceva San Giacomo: “Mostrami la tua
fede senza le opere ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede”. Questa
verità è stata assunta con radicalità da Don Calabria. Quello che ha vissuto è
stato in grado di proporlo agli altri, vale a dire: “La nostra fede sia
pratica, coerente; nessun contrasto tra la fede che professiamo e la condotta
che abbiamo”. Il nostro comportamento può diventare un’affermazione o un
rinnegamento del Dio in cui crediamo.
Non dobbiamo
avere paura di credere perché non crediamo da soli. La fede prima di essere
individuale è un dono che si riceve in comunità e tramite la comunità. Quindi,
la nostra fede è comunitaria, ecclesiale perché “la fede della Chiesa precede,
genera e nutre la nostra fede”. L’espressione più profonda della nostra fede
sta nel fidarci di Colui per il quale nulla è impossibile. Per arrivare a
questo ci vuole maturità. Quella fede che abbiamo ricevuto nel nostro
battesimo, quando eravamo bambini, non può rimanere infantile sempre: ogni età
con la sua fede. Non possiamo proseguire nella sequela di Cristo con una fede
infantile. Ci dice San Paolo: “Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo
da bambino, ragionavo da bambino - (e
possiamo aggiungere: credevo da bambino). Divenuto adulto, ho eliminato ciò
che è da bambino”.
La maturità della
nostra fede ci aiuterà a capire che siamo soltanto servi e servi inutili, poiché
è Dio che fa le opere. Crede veramente solo chi si sente servo, semplice
strumento nelle mani di Dio. Questo è il grande prodigio della fede. Se i
miracoli non avvengono è perché non permettiamo che accadano, per la nostra debole
fede o per mancanza di fede. In tal modo si capisce che la dimensione dei miracoli
è in proporzione alla misura della fede. È interessante che anche davanti alla
difficoltà dei suoi discepoli, Gesù continua a confidare in loro, a non far
mancare loro la sua parola, il suo affetto e la sua correzione. Quindi, non ci
mancheranno i mezzi per approfondire la nostra fede, perché Gesù vuole che
facciamo le stesse opere sue. Avviciniamoci a Lui con umiltà e supplichiamolo
con amore: “nonostante la nostra debole fede, rendici tuoi servi fedeli!”
Fr Ndega
Revisione dell'italiano: Giusi
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