Riflessione a partire di Is 49, 1-6; At 13, 22-26; Lc 1, 57-66.80
Siamo invitati a celebrare la
solennità della natività di S Giovanni Battista. Insieme alla Madonna, questo è
l’unico santo del quale si celebra
anche la nascita. Questo è dovuto alla sua
stretta relazione con la venuta del Figlio di Dio. La gestazione del piano
salvifico di Dio non si dà nelle grandi strutture (tempio, palazzo, etc.) e grandi
avvenimenti, ma nel quotidiano di persone semplici, abituate e aperte alle sorprese di Dio. La grande
collaborazione ci viene data da Maria ed Elisabetta attraverso le quali Dio rende visibile la sua presenza misericordiosa nel
mondo.
La prima lettura è
tratta dal libro del profeta Isaia. Questo brano
è conosciuto come il Secondo Cantico del Servo del Signore. Secondo questo
cantico, è il proprio Dio che plasma il suo servo sin dal grembo materno e gli
affida una missione che non si limita a un piccolo gruppo né ai confini di un determinato paese. È volontà di Dio che il suo servo
diventi luce per illuminare le nazione affinché il suo progetto salvifico sia
conosciuto da tutti. Motivato per la vicinanza di Dio accanto a sé, il servo decide di impegnare tutte le sue energie per la
causa di Colui che lo ha chiamato. Questo
servo ci aiuta a pensare alla vocazione come
iniziativa divina, un dono che si riceve non per se stesso ma per il bene degli altri. Colui che ci ha chiamato ci è
molto vicino perché le nostre scelte corrispondano
alle sue aspettative sulla nostra vita.
La seconda lettura
ci ricorda che Dio inviò Gesù come Salvatore. La sua
venuta è stata preparata da Giovanni predicando un battesimo di conversione per
preparare a Dio un popolo ben disposto. Quando Giovanni viene interrogato sulla
sua missione egli non ricorre a titoli o a privilegi, a ciò che metterebbe al
centro la sua persona, ma risponde: io non
sono, io non sono degno. “’Non sono!” si contrappone a “Io sono!”, il nome
proprio di Dio. Qui si radica la vera grandezza dell’uomo: nel riconoscere che
Dio è Dio, Colui che solo “è”, mentre noi non esistimo per noi stessi, ma solo
in stretta dipendenza dal Creatore. La vita e l’atteggiamento
di Giovanni ci aiutano ad essere consapevoli della nostra identità per non pretendere
di assumere nella vita degli altri il posto che appartiene solo a Dio.
Il vangelo parla della nascita di
Giovanni Battista come una grande azione della
misericordia di Dio nella vita di Elisabetta, considerata sfortunata a causa
della sua sterilità. Ora ha una nuova
vita. Infatti, “I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato
in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei”. Abbiamo qui due aspetti a considerare: primo, la
rivelazione della misericordia di Dio è un avvenimento che sfugge ai criteri
umani, segue una logica diversa; secondo, porta intensa gioia alla vita delle
persone coinvolte e alle altre che si avvicinano da loro. Davanti a questo il
sacerdote tace e è dato alla donna l’opportunità di proclamare: “Egli si
chiamerà Giovanni”. Giovanni vuol dire dono di Dio. Solo la persona che fa l’esperienza di essere dono può riconoscere la vita, la
nascita di un bambino come dono di Dio. Subito dopo questa testimonianza e,
quindi, aiutato nella sua fede, il sacerdote Zaccaria apre la sua bocca per
proclamare la vicinanza e fedeltà di Dio nella storia del suo popolo. E cosa
sarà questo bambino? Egli sarà il grande precursore perché la mano del Signore
era con lui.
La nascita di Giovanni è preannuncio della
nascita del Salvatore e la sua missione è di preparare la via al Figlio di Dio
incarnato. La buona notizia di Gesù inizia proprio con l’attività di questo
precursore, chiamato ‘il maggiore dei profeti’. Giovanni è un ponte tra
l’Antico e il Nuovo Testamento. “Il passaggio tra i due testamenti è un tempo
di silenzio: la parola, tolta al tempio e al sacerdozio, si sta intessendo nel
ventre di due madri. Dio traccia la sua storia sul calendario della vita, e non
nel confine stretto delle istituzioni”.
Prima di iniziare la sua missione, Giovanni ha
vissuto nella solitudine del deserto, totalmente aperto all’ispirazione di Dio.
In quel luogo ha imparato dalla Parola di Dio come testimoniare la verità. Ci
colpisce il suo stile di vita semplice, specialmente riguardo il vestito e il
cibo. La grandezza di Giovanni era dimostrata nel riconoscere la grandezza del
Signore, considerando se stesso come soltanto una voce che grida “dal” deserto
preparando la strada a colui che deve venire. Nel suo messaggio, Giovanni
proclamava la misericordia di Dio e oltre le parole, egli battezzava la gente
come un segno concreto di conversione e apertura a questa misericordia di Dio.
La ragione della credibilità del messaggio di Giovanni non erano solamente le
sue parole, ma anche la sua umiltà e il suo stile semplice di vivere. Anche se
le parole non ci fossero, la sua vita era già un vero annuncio della nuova
realtà che Gesù ha portato sulla terra.
Giovanni ci dice che possiamo fare la differenza
nella vita di molte persone, ma non c’è profezia senza ‘esperienza di deserto’,
cioè, senza prendere sul serio un rapporto di vicinanza con Dio e con sua
Parola. È, quindi, dal ‘deserto’ che ci viene la proposta di ritornare, di
cambiare le vie, la mentalità, insomma, di cambiare qualcosa. Se la nostra vita
è cambiata dalla Parola saremo davvero testimoni di una nuova realtà, di una
buona notizia perché la testimonianza di vita è più efficace delle parole. “La
missione di Giovanni ci istruisce circa il fatto che anche noi dobbiamo
preparare il cuore ad accogliere il Signore e se vogliamo conoscerlo e seguirlo
più da vicino dobbiamo arare il terreno della nostra interiorità”. A partire
dall’esempio di Giovanni Battista, viviamo la nostra vocazione come
proclamazione della misericordia e vicinanza di Dio.
Fr Ndega
Revisione dell'italiano: Giusi
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