terça-feira, 24 de dezembro de 2024

IL VERBO SI È FATTO CARNE

 

Una riflessione a partire da Gv 1, 1-18




 

    È natale! Cos’è il natale? Un tempo di gioia e di ringraziamento. Perché? Perché il Padre ci ha fatto un grande dono, il dono insuperabilmente più grande di tutti gli altri che abbiamo ricevuto, il suo Figlio Gesù. Ringraziamo Dio perché nella sua bontà ci ha portato la salvezza e, nella sua sapienza, ha fatto dimora in mezzo a noi.

    Eravamo nelle tenebre e siamo stati illuminati dalla luce. La luce che è apparsa in realtà è un bambino, un essere umano fragile, carne. In questa carne, nella sua storia, Dio (quel Dio che nessuno ha mai visto) si è fatto visibile. La sua salvezza, la sua parola hanno preso carne in Gesù. Siamo invitati a immergerci in essa non per intenerirci di fronte a un bambino ma per contemplare e custodire tutto di lui, ogni sguardo, ogni gesto, ogni parola e fare nostro tutto il suo vissuto.

    Proviamo ad immaginare lo scenario creato da San Francesco, a partire dalla narrazione biblica, mettendo al centro quel Signore mite che si fa bambino con lo sguardo di tutti rivolto verso di Lui. Scandalosamente l’Onnipotente si fa bisognoso in ogni senso: bisognoso di protezione, di cura, di attenzione, di essere cresciuto, senza essere risparmiato di problemi e sofferenze. In somma, bisognoso dell’affetto di Maria e Giuseppe e di ogni essere umano che accetta il suo messaggio di pace e di amore.    

    Il brano del vangelo odierno è il prologo del vangelo di Giovanni il quale porta come prima espressione, vale a dire, “In principio…” ci richiama l’inizio del libro della Genesi, che ci parla della creazione. Così si capisce che l’intenzione di Giovanni è di sottolineare che con il Verbo Gesù Cristo avviene una nuova creazione: “L’attività di Gesù, inviato dal Padre, consiste nel fare nascere un uomo nuovo; la sua azione corona l’opera creatrice iniziata da Dio “in principio”.

    «A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio». La parola speciale che ci viene proposta è «accogliere». Accogliere lo stesso Dio! Dio, facendosi uomo, si mette alla portata di ognuno di noi. “Accogliere” significa aprirGli le nostre porte, permetterGli di entrare nelle nostre vite, nei nostri progetti, in quelle azioni che colmano i nostri giorni. Insomma, fare spazio a Dio nella nostra vita. Fino a che punto l’abbiamo accolto?

    Accogliere Gesù vuol dire lasciarsi interrogare da Lui. Permettere che i suoi criteri illuminino sia i nostri pensieri più intimi, sia le nostre relazioni ed attività sociali e lavorative. Che le nostre attuazioni concordino con le Sue! “Accogliere lui, riconoscerlo, permette di rinascere come figli di Dio. Quindi, mentre celebriamo la nascita di Gesù, celebriamo la nostra rinascita, cercando di avere i suoi stessi sentimenti, i suoi pensieri, il suo amore, in modo che la nostra propria carne mostri (proprio come quella di Gesù) il Padre”.

 

Fr Ndega

Revisione dell’italiano: Giusi

domingo, 22 de dezembro de 2024

MODELLO DELLA CHIESA IN USCITA

 

Una riflessione a partire da Mic 5, 1-4; Eb 10, 5-10; Lc 1, 39-48.



     Oltre la gioia, questo periodo che precede il natale anticipa al nostro cuore altri temi importanti che parlano dello stile particolare di Dio: la piccolezza e l’umiltà. Ci viene ricordato che le vie del Signore non sono le nostre e il nostro modo di scegliere è lontano dal suo. Non sono i potenti i preferiti di Dio, ma i piccoli, gli umili. Si è fatto piccolo per renderci più umani. La piccolezza è la via della vera umanità. La Chiesa è in uscita per annunciare questo stile di Dio, non un altro.

    Il Regno di Giuda viveva un periodo di instabilità e paura perché i suoi governanti - discendenti di Davide – sono stati dediti più alla cura dei loro interessi che a quelli della gente. inoltre era minacciato dall’Assiria. È in questo contesto che sorge la profezia di Michea, ricordando al popolo e a chi gli governa che bisogna ricominciare da capo, cioè da Betlemme, non solo perché è la città di Davide, ma perché il modo come questo re viene scelto ha rivelato lo stile proprio di Dio, vale a dire, ha preferito un luogo insignificante e il più piccolo e insignificante tra i fratelli. Questo ci insegna che non ci sarà una rinascita se non ripartiamo dai piccoli gesti, da quello che è trascurato nella nostra vita, da quello che crediamo essere insignificante.

    L’autore della lettera agli ebrei vede in Cristo il re-messia atteso che compie in tutto la volontà di Dio. Così, chiarisce il senso profondo dell’Incarnazione: la santificazione dell’essere umano per mezzo dell’obbedienza di Cristo. Egli assume la nostra condizione umana al fine di metterla totalmente alla disposizione della volontà di Dio. Quindi, la nostra santificazione non è un processo che viene da fuori, qualcosa estraneo alla nostra natura, come succedeva riguardo i sacrifici antichi, ma si dà interiormente poiché Cristo con l’incarnazione si è unito ad ogni persona e tramite la sua opera di salvezza ci santifica dal di dentro.

    Maria, modello della Chiesa in uscita, ci fa capire che la vita di chi si affida a Dio è un costante movimento/pellegrinaggio non verso sé stessi ma verso gli altri. Il primo a dare l’esempio è stato lo stesso Dio quando si è degnato di venire da lei. Ora, lei fa lo stesso verso la cugina Elisabetta, la quale in riconoscenza del dono, esclama: “A che debbo che la madre del mio Signore venga da me?” Elisabetta l’accoglie con gioia perché riconosce in Maria l’arca della nuova alleanza dinanzi alla quale Giovanni “danza” di gioia, un’allusione all’atteggiamento di Davide all’arrivo della dell’arca dell’alleanza, segno della presenza di Dio.

    “Beata è colei che ha creduto nell’adempimento della promessa del Signore”. In questo tempo di attesa, l’elogio di Elisabetta a Maria suona come un invito a considerare che solo la fede come adesione alle promesse di Dio può riempire il nostro cuore di gioia e renderci motivo di gioia anche per gli altri. Solo chi vive una fede così può raccontare quanto Dio opera ancora oggi per gli umili che lo temono. In Maria si attua proprio quella profezia di Michea riguardo lo stile di Dio il quale riparte dagli ultimi, dall’insignificante. Che dall’esempio di Maria sentiamo l’urgenza di accogliere questo stile di Dio nel Cristo che ci viene incontro e ci rende in grado di portarlo ovunque.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

quarta-feira, 11 de dezembro de 2024

SANTI E IMMACOLATI ANCHE NOI

 

Una riflessione a partire da Gn 3, 9-15.20; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1, 26-38




     La colpa originale introduce la morte nella vita dell’essere umano e davanti alla domanda “dove sei?” l’essere umano non sa cosa dire perché non è più al suo posto, che non si tratta di fisico, ma di condizione, cioè, non è più in Dio, non è più in comunione con lui. Prima era libero, ora è schiavo; prima sentiva gioia, ora sente solo paura e vergogna. Sono sentimenti che proviamo quando per il peccato rompiamo la comunione con Dio. Anche Dio prova un grande dispiacere con questa realtà. Ma non lascia che sia il male a dire l’ultima parola. Annuncia la vittoria della vita che passa attraverso il sì di una Donna, sua umile serva Maria. In lei ci vediamo meglio, poiché ci viene indicata la nostra vera e nobile vocazione, quella di essere santi e immacolati nell’amore, nella carità.

    I tempi messianici iniziano con uno invito alla gioia: “Rallegrati, piena di grazia!” Dire piena di grazia richiama anzitutto a un dono, vale a dire, Maria è stata ricolmata di grazia, cioè, è la creatura umana che Dio ha plasmata in modo perfetto e questa è la ragione della sua gioia: il dono che Dio le ha fatto. Nella sua umile serva, Dio offre a tutti il modello cui l’umanità è chiamata: “Ti lodo, ti rendo grazia, Signore, tu mi hai fatto come un prodigio” (Sl 139).

    Allo stesso tempo Maria rimane turbata, ma non ha paura. Ha soltanto il sacro timore dinanzi alla misteriosa realtà di Dio, “è il sentimento che invade tanto più la creatura quanto più essa è pura. Nella sua umiltà perfetta, Maria comprende tre cose: la grandezza della missione ricevuta, la gratuità del dono, la sproporzione tra la propria piccolezza e l’onnipotenza divina”. Ma si tratta di un’onnipotenza che si fa vicinanza e riempie di senso e di gioia la nostra quotidianità.

    La festa dell’Immacolata ci parla dell’innocenza assoluta di Maria come un mistero di gioia e di grazia al quale siamo chiamati anche noi. Ci sono alcune immagini che la Sacra Scrittura usa per parlare di questa realtà: Nell’Antico Testamento, per esempio, abbiamo l’espressione “vesti di salvezza”; nel Nuovo, si tratta dell’abito reso candido dal sangue dell’agnello. Maria prova questa realtà ancor prima della sua nascita. Anche noi la proviamo quando riceviamo il battesimo.

    Il Padre ha come battezzata Maria in anticipo nel mistero della morte e della risurrezione di Cristo per presentarla tutta bella, tutta donata. Non tutta estranea alla nostra umanità, ma una di noi e ciò che siamo chiamati ad essere. Ecco perché il Concilium Vaticano II attraverso la Lumen Gentium la chiama di “Immagine della Chiesa realizzata”. Il nostro amore per la Madonna sostanzialmente si deve concretizzare nel desiderio di vivere profondamente il suo mistero, quello di essere tutta di Dio, tutta affidata a Lui, facendo del nostro cuore una piccola Nazareth e della nostra vita un pezzetto di terra in cui il seme del Verbo possa accadere serenamente, esservi accolto generosamente, germinare timidamente e fiorire in tutta la sua bellezza.


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

 

sexta-feira, 15 de novembro de 2024

OS MOMENTOS DE PROVAÇÃO SÃO OPORTUNIDADE DE CRESCIMENTO

 

Reflexão a partir de Dan 12, 1-3; Hb 10, 11-14; Mc 13, 24-32




 

    “Como os cristãos devem se comportar em tempos difíceis e diante das incertezas do nosso tempo? como pessoas de esperança, com total confiança na proximidade de Cristo. É a certeza da sua proximidade que nos dá força para enfrentar as provações da vida. Esta certeza é alimentada no encontro quotidiano com a sua Palavra, sempre atual. Hoje acontece também o Dia Mundial dos Pobres, que nos lembra o compromisso cristão com a transformação da realidade social. Segundo o Papa Francisco, “A pobreza não é fruto do destino, mas conseqüência do egoísmo”. Nesse sentido, ninguém pode dizer: “Essa realidade não tem nada a ver comigo”.  

    O texto do profeta Daniel é um dos textos do Antigo Testamento que falam da fé na ressurreição (ver também 2 Mac 7, 9). Essa profecia surgiu numa época em que o povo de Israel estava sob o domínio grego e sofria muito. Muitos deles cessaram de crer no Deus de seus pais e aqueles que buscavam manter a fé precisavam de uma mensagem de esperança para continuar a caminhada deles. Deus está sempre presente no meio do seu povo, motivando-o quando tem de enfrentar situações difíceis. A ressurreição prometida é realizada com a ressurreição de seu Filho dentre os mortos, como primicia – primeiro - de uma multidão de irmãos e irmãs que creem nele.

    A carta aos Hebreus enfatiza que o sacrifício de Cristo superou todos os sacrifícios que os sacerdotes faziam no Antigo Testamento. Os sacrifícios que ofereciam não tinham força para remover os pecados das pessoas, ou seja, eram ineficazes. Quanto a Cristo, ele se ofereceu de uma vez por todas e por isso mesmo a sua oferta foi capaz de nos purificar dos pecados e dar origem a uma nova humanidade. Em cada missa celebramos o mistério deste sacrifício único, renovando a nossa adesão à vida que ele oferece, para a salvação nossa e de todos. A parte que cabe a Cristo é garantir nossa salvação; cabe a nós acolhê-la e ser instrumentos dela.

    Jesus alerta seus discípulos sobre alugns eventos dramáticos e suas consequências para suas vidas. Não quer aterrorizar, mas sim convidar a confiança, pois diante de sua gloriosa manifestação os poderes dos céus, ou seja, os poderosos deste mundo, que atribuem a si mesmos caracteristicas de divindade, serão abalados. Marcos escreveu o seu evangelho quando a comunidade cristã vivia um período de crise devido às perseguições ininterruptas, que causaram a morte de muitos membros (os mártires) e que levaram outros a renunciar à sua identidade como seguidores de Jesus. Esta situação parecia o fim. do mundo. Aqueles que perseveraram se perguntavam: “O que tudo isso significa?” Foi a memória dos ensinamentos de Jesus que os motivou à perseverança, conscientes de que se Jesus é o ponto de referência de tudo, então a vida e a história não caminham para um fim, mas para uma verdadeira finalidade: o próprio Jesus.

    Jesus é vencedor sobre o pecado e a morte e fará vencedores todos os que o seguem. Na sua vinda no fim dos tempos, isto é, no cumprimento dos tempos, Ele quer nos encontrar perseverantes no bem, fiéis aos seus ensinamentos, para partilhar com ele a sua mesma alegria. Sua Palavra nos diz que provações e dificuldades acompanham nossa condição de cristãos, mas também nos garante a proximidade do Senhor: "Saiba que Ele está perto, está às portas!" Ele só quer ser reconhecido e bem acolhido. Como nem sempre conseguimos compreender os acontecimentos que nos rodeiam, devemos ter confiança no Pai, conscientes de que “estamos nas suas mãos e, portanto, em boas mãos. Nada escapa do seu olhar. Tudo é orientado segundo o seu plano de sabedoria e de bondade ”(São João Calabria).

     Então, da nossa parte, confiemos em Deus que está conduzindo a história. Somos convidados a continuar a missão de seu Filho Jesus e devemos estar atentos aos sinais de sua presença ao nosso lado. Para que ele seja verdadeiramente Soberano em nossa vida, muitos falsos ídolos devem perder o esplendor, por exemplo, os falsos valores e falsas imagens de Deus que cultivamos, o fruto de nossos medos, a mentalidade e o comportamento contrário aos ensinamentos do Evangelho, etc. Chega de hipocrisia! Chega de mediocridade! Vivamos a nossa vocação com alegria e entusiasmo e tudo será belo para nós e para os demais!


Fr Ndega

I MOMENTI DI PROVA SONO OPPORTUNITÀ DI CRESCITA

 

Riflessione a partire da Dan 12, 1-3; Eb 10, 11-14; Mc 13, 24-32




 

    “Come devono comportarsi i cristiani nei momenti difficili e davanti alle incertezze di questo nostro tempo? Come persone di speranza, con totale fiducia nella vicinanza di Cristo. È la certezza della sua vicinanza che ci dà la forza per affrontare le prove della vita. Questa certezza viene nutrita nell’incontro quotidiano con la sua Parola, che è sempre attuale. In questo giorno ricorre anche la Giornata Mondiale dei Poveri, che ci ricorda l’impegno cristiano per la trasformazione della realtà sociale. Secondo Papa Francesco, “la povertà non è frutto del destino ma conseguenza dell’egoismo”. In questo senso nessuno può dire: “Questa realtà non ha nulla a che fare con me”.  

    Il brano del profeta Daniele è uno dei testi dell’Antico Testamento che parlano di fede nella risurrezione (vedi anche 2 Mac 7, 9). Questa profezia è sorta in un periodo in cui il popolo di Israele era sotto il dominio greco e soffriva molto. Molti di loro avevano smesso di credere nel Dio dei padri e coloro che cercavano di mantenere la fede avevano bisogno di un messaggio di speranza per continuare il loro cammino. Dio è sempre presente in mezzo al suo popolo e lo motiva quando deve affrontare delle situazioni difficili. La risurrezione promessa viene compiuta con la risurrezione di suo Figlio dai morti, come primizia di una moltitudine di fratelli e sorelle che credono in Lui.   

    La lettera agli Ebrei sottolinea che il sacrificio di Cristo ha superato tutti i sacrifici che i sacerdoti compivano nell’Antico Testamento. I sacrifici che offrivano non avevano la forza per rimuovere i peccati della gente, cioè erano inefficaci. Riguardo Cristo, Egli ha offerto se stesso una volta per tutte e proprio per questo la sua offerta è stata in grado di purificarci dai peccati e fare sorgere una umanità nuova. In ogni messa celebriamo il mistero di questo unico sacrificio rinnovando la nostra adesione alla vita che esso offre, per la nostra salvezza e per tutti.  Quello che tocca a Cristo è assicurarci la salvezza; a noi tocca accoglierla e essere strumenti di essa.

    Gesù mette in guardia i suoi discepoli riguardo agli eventi tragici della storia con le conseguenze che ne derivano per la loro vita. Non vuole terrorizzare, ma invitare alla fiducia poiché davanti alla sua manifestazione gloriosa le potenze dei cieli, cioè, i potenti di questo mondo saranno sconvolti. Quando Marco scrisse il suo vangelo la comunità cristiana viveva un periodo di crisi a motivo delle ininterrotte persecuzioni, che causavano la morte di molti membri (i martiri) e che portavano altri a rinunciare alla loro identità di seguaci di Gesù. Questa situazione sembrava la fine del mondo. Coloro che perseveravano si domandavano: “Cosa vuol dire tutto questo?”. Il ricordo degli insegnamenti di Gesù li motivò alla perseveranza, consapevoli che se Gesù è il punto di riferimento di tutto, allora, la vita e la storia non camminano per una fine ma per un vero fine: Gesù stesso.

    Egli è vincitore del peccato e della morte e farà vincitori tutti coloro che lo seguono. Alla sua venuta alla fine dei tempi, cioè, all’adempimento dei tempi, vuol trovarci perseveranti nel bene, fedeli ai suoi insegnamenti per condividere con lui la sua stessa gioia. La sua Parola ci dice che le prove e difficoltà accompagnano la nostra condizione di cristiani, però ci assicura anche la vicinanza del Signore: “Sappiate che Egli è vicino, è alle porte!” Siccome non sempre riusciamo a capire gli avvenimenti attorno a noi, dobbiamo avere fiducia nel Padre, consapevoli che “siamo nelle sue mani e, quindi, in buone mani. Nulla sfugge al suo sguardo. Tutto è orientato secondo un piano suo di saggezza e bontà” (San Giovanni Calabria).

    Quindi, dalla nostra parte, fiducia in Dio che guida la nostra storia. Siamo invitati a continuare la missione del suo Figlio Gesù attenti ai segni della sua presenza accanto a noi. Perché lui sia davvero Sovrano nella nostra vita, molti falsi idoli devono perdere il loro splendore, ad esempio, i falsi valori e le false immagini di Dio che coltiviamo, frutto delle nostre paure, la mentalità e i comportamenti contrari agli insegnamenti del Vangelo, ecc. Basta ipocrisia! Basta mediocrità! Viviamo con fedeltà, gioia ed entusiasmo la nostra vocazione e tutto sarà bello per noi e per gli altri!


Fr Ndega

Revisione dell'italiano: Giusi

 

 

 

 

 

 

sexta-feira, 8 de novembro de 2024

A ATITUDE FUNDAMENTAL DO DISCIPULO DI CRISTO

 

Uma reflexão a partir  de 1 Re 17, 10-16; Sal.145; Eb 9, 24-28; Mc 12, 38-44




 

    A centralidade da nossa reflexão é a palavra “generosidade” como atitude fundamental da pessoa que crê e para ser mais preciso, do discipulo de Jesus. Deus não se deixa vencer em generosidade. Quem é generoso para com Ele recebe muito mais. Esta experiência está muito presente na nossa vida quotidiana e muito evidente na vida das duas viúvas apresentadas na liturgia de hoje.

    Na primeira leitura, temos a primeira viúva que responde generosamente ao pedido do profeta Elias, expressando uma atitude confiante na ação providente de Deus, para quem nada é impossível. Da parte de Deus, providencial assistência. Da parte da viúva, total confiança, isto é, se abandona nas mãos de Deus. É a esta atitude que somos chamados para que a ação da graça de Deus seja eficaz na nossa vida.   

    A segunda leitura sublinha a excelência do sacerdocio de Cristo o qual cancelou o pecado através da oferta total de si mesmo na cruz. Este é o mistério que nos salvou e que revivemos em cada Eucaristia que celebramos. Através dela experimentamos de um modo muito concreto a abundante generosidade de Deus que nos amou tanto que deu o seu Filho para a nossa salvação.

    No Evangelho, Jesus nos apresenta duas atitudes: uma a ser evitada, ou seja aquela dos escribas, e uma segunda atitude a ser cultivada, ou seja, o exemplo da viúva. Quem è essa viuva? “Ela não conhecia Jesus, não foi batizada”, mas demonstrou a maneira correta de ser discípula de Jesus. O seu gesto simples e quase escondido, cheio de generosidade, atraiu a atenção de Jesus que imediatamente a apresentou aos seus discípulos como um modelo a seguir.

    É muito importante aqui estarmos atentos ao modo como Jesus olha. “O ser humano vê a aparência, mas Deus olha o coração”. E Jesus vê que na sua oferta a viúva doou tudo o que tinha para viver, ou seja, deu tudo de si. Esta é a oferta que agrada a Deus. Não interessa a Deus tanto a quantidade de coisas que alguém é capaz de oferecer ou fazer em seu nome, mas a generosidade do seu coração. A grandeza do coração de uma pessoa não se mede pela grandiosidade do dom que oferece, mas pela beleza do seu gesto. Na verdade, são os pequenos gestos que fazem a diferença. Encontramos o verdadeiro sentido da vida quando imitamos Deus que na sua generosidade não sò nos oferece algo, mas a si mesmo.


Fr Ndega

sábado, 2 de novembro de 2024

A RADICALIDADE DA NOSSA IDENTIDADE

 

Uma reflexão a partir de Mt 5, 1-12




 

    Estamos celebrando a solenidade de todos os santos. Mas quem são os santos? São os irmãos mais velhos que a Igreja nos apresenta como modelos porque, pecadores como cada um de nós, se deixaram encontrar por Jesus, através dos seus desejos, das suas fraquezas, dos seus sofrimentos e até das suas tristezas. Agora, eles contemplam a face de Deus e se alegram plenamente com esta visão. Celebrar todos os santos significa olhar para aqueles que já gozam da herança da glória eterna e significa também comprometer-se em abraçar, como eles, o caminho indicado por Jesus através das bem-aventuranças.

    Jesus nos convida a subir a montanha com ele. Na Bíblia o monte é um lugar de forte experiência de Deus. Porém, o sentido aqui é mais teologico que geografico, fisico. Bem-aventurado é quem aprende a olhar o mundo e a vida a partir do monte, isto é, a partir do alto, di um plano superior. O monte quer provocar uma mudança na nossa maneira de ver e de viver. Aqui estamos no capítulo cinco de Mateus, que juntamente com os capítulos seis e sete são chamados de “Sermão da Montanha”.  É o discurso inaugural do reino de Deus. O que é o reino? É o mistério da realidade divina revelado aos pequenos.

    Na verdade, entre os espectadores deste discurso não estão os ricos e poderosos, mas os pequenos, os pobres e os sofredores. Jesus sabe olhar para quem o procura e o segue, sabe discernir antes de tudo o seu cansaço e o seu sofrimento e fica profundamente comovido pelos seus males. Com o seu feliz anúncio, Jesus lhes traz grande consolação e esperança. Ele os chama de “bem-aventurados”, não pela sua situação de sofrimento, mas porque Deus os ama, vem ao seu encontro e está verdadeiramente próximo deles. O ponto de referência não é o sofrimento, mas a proximidade divina.

    As bem-aventuranças são um programa de vida para todos nós que seguimos Jesus, já que foram vividas primeiramente por le mesmo e as quis apresentar como caminho eficaz para entrar no seu reino. O ser humano procura a felicidade, a vida plena e sem fim, e Jesus quer dar resposta a esta sede profunda presente no coração de cada pessoa. “Bem-aventurado” não é um adjetivo, é um convite à felicidade, à plenitude da vida, à santidade, à consciência de uma alegria que nada nem ninguém pode roubar ou extinguir.  

    Como ser santo hoje? Que ninguém pense na santidade como uma alegria livre de provações e sofrimento. A pessoa se santifica vivendo a sua vida quotidiana no meio destas realidades, mas com os olhos fixos em Jesus, cuja atividade vivida estava em conformidade com a vontade do Pai. São João Calabria dizia que “para ser santo não é preciso fazer nada de extraordinário; basta que sejam santas as nossas disposições ordinárias”. Os santos não são somente aqueles que estão nos altares. No meio de nós existem muitas pessoas que buscam conformar a sua vida segundo o estilo de vida de Jesus vivendo con radicalidade a proposta do evangelho. São esses que o Papa Francisco chama de “santos da porta ao lado”. E não pensemos que a santidade ou o ser santo é coisa só para os outros, pois desde o nosso batismo è esta a nossa vocação. As escolhas que fazemos ao longo da caminhada são somente formas de vida para responder a esta únicia vocação.    


Fr Ndega