Riflessione a partire da Lc 13, 22-30
Gesù è in cammino verso Gerusalemme.
Questa direzione ha un senso più spirituale che geografico. Come sappiamo, Gesù
va a compiere la sua opera di salvezza in questa città famosa per l’uccisione dei
profeti. Viene seguito da molte persone e quando viene interpellato sul numero
di quelli che si salvano, non risponde direttamente. Coglie l'occasione per
chiedere più impegno personale nella sua sequela come condizione per entrare
nel regno. Non basta essere suoi discepoli per ottenere la salvezza, Egli
suggerisce la porta stretta come una sfida.
Se Gesù annuncia una porta stretta
è perché c'è anche una porta larga. Parlando ai giovani nel 1993, S. Giovanni
Paolo II distinse chiaramente queste due vie, dicendo: “Rifiutate la via
facile: la via del lusso, del crimine, del disprezzo del bene e della fuga dalla
responsabilità. L'alcolismo, l'uso di droghe e l'immoralità non dovrebbero
avere opportunità nella vostra vita. Passate attraverso la porta stretta.
Scegliete la strada che conduce alla vita eterna e alla felicità con Dio”.
Gesù dice che la porta stretta è la
via che conduce alla vita e solo pochi possono trovarla. “Questa è la porta
della pazienza, della saggezza, della dedizione, della generosità, della
gentilezza, della gratitudine e del lavoro”. Per quanto riguarda la porta larga,
questa è una via facile che porta alla rovina e ci sono molti che la percorrono.
Quindi, la porta stretta diventa la condizione fondamentale per avere un buon risultato
nella sequela di Cristo.
Nel nostro ambiente, la porta
stretta è un simbolo del nostro sforzo per superare una cattiva mentalità o
tendenza, i cattivi atteggiamenti e comportamenti, la fatica nel rapportarsi
bene con gli altri. In questo processo, siamo noi i primi a trovare un
risultato buono o la sfortuna, perché ciò che facciamo per gli altri causa una
situazione buona o cattiva anche per noi. Quindi, il bene che ci aspettiamo per
la nostra vita lo dobbiamo agevolare per gli altri. Se vogliamo essere felici,
dobbiamo facilitare questa situazione buona per chi vive intorno a noi e ha
problemi come noi.
L’interesse per la situazione
dell’altro fratello e sorella viene ricordato molte volte nelle Sacre
Scritture: quando Dio domanda a Caino, “Dov’è tuo fratello?”; oppure quando
Gesù dice alla donna samaritana, “Va a chiamare tuo marito!”. Recentemente Papa
Francesco ha proclamato a tutto il mondo che “Nessuno si salva da solo. O ci
salveremo tutti o periremo tutti”.
“Signore, aprici! Abbiamo mangiato e
bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze!” riferendoci a
questo passo del Vangelo abbiamo qui un’allusione all’Eucaristia e al
catechismo, attraverso i quali dimostriamo una “certa” conoscenza di Dio. Possiamo
parlare molto bene di Gesù per mostrare che lo conosciamo. Potremmo anche
pensare che parlare meglio degli altri ci garantisca un vantaggio in modo da
ricevere alcune ricompense da Dio. Ma, secondo questo brano, le parole non
bastano per entrare nel regno di Dio. La salvezza non è un nostro merito, ma un
dono della generosità di Dio.
Come mai diciamo di conoscere Gesù
e lui dice che non ci conosce? Questo perché nella Bibbia il verbo conoscere
significa una relazione di intimità, un'esperienza profonda che ci conforma
alla persona che amiamo e ci fa incarnare la sua proposta. Nel nostro caso,
significa vivere a partire da Cristo: “…Non io, ma è Cristo che vive in me”. Senza
questa relazione non c'è identità. Chi rende testimonianza è perché ha visto
qualcosa. Non si diventa testimone di Gesù senza esperienza di Lui. E l’esperienza
che abbiamo di Lui non ci rende migliori degli altri in modo da assicurarci la
salvezza. Non vogliamo rimanere fuori bussando alla porta chiusa disperati,
dicendo di aver fatto tante cose per Dio mentre abbiamo dimenticato ciò che
realmente importa alla fine: aver fatto tanto per gli altri. Possa la grazia di
Dio guidarci affinché possiamo fare la sua volontà e trovare la vita.
Fr Ndega
Revisione dell'italiano: Giusi
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