Riflessione a partire da Ml 3, 19-20; 2Ts 3, 7-12; Lc 21, 5-19
La liturgia ci
sta conducendo pian piano verso la fine dell’anno liturgico e la frase che può
riassumere la riflessione di oggi è questa: camminiamo nella speranza, anche in
mezzo alle prove. Il Signore ci assicura che non sono le prove l’ultima parola
nella nostra vita. Dobbiamo considerare che la nostra vita appartiene a Dio e
che lui la conduce secondo un piano di sapienza e bontà.
Secondo il
profeta Malachia, il male deve essere eliminato alla radice e il Signore è il
primo interessato perché questo avvenga. Egli non è indifferente ai nostri
atteggiamenti: si rifiuterà ad accogliere chi ha deciso di vivere lontano da
lui ma chi ha deciso di vivere secondo la sua volontà lo ricompenserà per ogni
bene fatto.
La
testimonianza di gratuità e generosità dell’apostolo Paolo nell’annuncio del
vangelo è modello per ogni cristiano che vuole che la sua vita sia gradita a
Dio. Il cristiano non deve cercare riconoscimento o ricompensa per il servizio
che fa per il vangelo, anzi deve essere grato per il compito che gli è stato
affidato.
All’inizio del
vangelo troviamo un’allusione alla bellezza delle pietre e i doni votivi del
tempio di Gerusalemme che attiravano l’ammirazione di tutti i visitanti. Il
tempio era orgoglio dei giudei, espressione del loro potere politico, economico
e religioso. I gruppi che facevano opposizione a Gesù e il suo messaggio, vale
a dire, i farisei, scribi e dottori della legge, assolutizzavano questo spazio
al punto di confondere la sua finalità. In un altro passo, con una frusta in
mano, li aiuterà a ripensare la loro posizione. Così, Gesù si mostra molto
libero e capace di relativizzare quella dimora di Dio, che è soggetta alla
caducità, facendo capire che il titolo di assoluto va riservato a Dio solo.
Nel seguito, Gesù
annuncia la distruzione di quel luogo. Questa rivelazione motiva alcuni dei
suoi discepoli a chiedere riguardo i segni, il giorno e l’ora di questo
drammatico avvenimento. Allora, usando un linguaggio simbolico, Gesù rivela il
senso della storia e la missione della comunità dei discepoli in mezzo a una
realtà ostile, che agirà con violenza nei suoi confronti. Questo sconvolgerà la
fede dei discepoli portandoli alla mancanza di entusiasmo ma Egli li incoraggia
a perseverare fino in fondo in vista della salvezza. Non basta essere
discepolo, bisogna perseverare fino alla fine.
Infatti, al
tempo in cui è stato scritto questo vangelo, la comunità cristiana viveva un
periodo di crisi a motivo delle ininterrotte persecuzioni, che causavano la
morte di alcuni dei suoi membri (i martiri) e che portavano altri a rinunciare
alla loro identità di seguaci di Gesù. Davvero sembrava la fine del mondo.
Coloro che perseveravano si domandavano: “Cosa vuol dire tutto questo?”. Il
ricordo degli insegnamenti di Gesù è stato fondamentale per una ripresa di
quello che dava vero senso alla loro vita, consapevoli che se Gesù è il punto
di riferimento di tutto, allora, la vita e la storia non camminano per una fine
ma per un vero fine: Gesù stesso.
Gesù è
vincitore del peccato e della morte e farà vincitori tutti coloro che lo
seguono. La sua Parola ci dice che le prove e difficoltà accompagnano la nostra
condizione di cristiani, però ci assicura anche che “è per la nostra
perseveranza che saremo salvi”. In un altro passo dice: “Non vi terrorizzate. Devono infatti accadere
queste cose, ma non sarà subito la fine" (Lc 21,9). Ed il vangelo
di Marco aggiunge che tutti questi segnali sono "appena l’inizio dei dolori di parto!" (Mc 13,8). “Ora, i dolori del
parto, pur essendo molto dolorosi per la madre, non sono segno di morte,
bensì di
vita! Non sono motivo di timore, bensì di speranza! Questo modo di
leggere i fatti porta tranquillità alle comunità perseguitate” e a tutti noi, specie
quando dobbiamo affrontare i nostri momenti di buio.
La nostra
testimonianza coraggiosa deve portare la gente a ripetere ciò che dicevano i
maghi in Egitto davanti ai segni e al coraggio di Mosè e Aronne: “Qui c’è il dito di Dio” (Es 8,15).
Siccome non sempre riusciamo a capire gli avvenimenti attorno a noi, dobbiamo
avere fiducia nel Padre, consapevoli che “siamo nelle sue mani e, quindi, in
buone mani. Nulla sfugge al suo sguardo. Tutto è guidato da un piano suo di
saggezza e bontà” (Calabria). Quindi, dalla nostra parte, fiducia in colui che
sta conducendo la storia. Anche se ci avvengono le prove, ci accompagna anche
la speranza che non delude mai. “La vita cristiana è un cammino, non triste, ma
gioioso”. Quindi, viviamo con gioia ed entusiasmo la nostra vocazione e tutto
sarà bello per noi e per gli altri!
Fr Ndega
Revisione dell'italiano: Giusi
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