Riflessione a partire da 2 Sam 5, 1-3; Col 1, 12-20; Lc 23, 35-43
Concludendo
l’anno liturgico, la Chiesa celebra la solennità di Cristo Re dell’Universo. Questa
solennità “è stata istituita da Pio XI nel 1925, in un periodo di dittature, e,
probabilmente, nell’intenzione del Papa, doveva essere un richiamo al fatto che
ogni sovrano sarà giudicato e dovrà rendere conto del suo operato a Gesù Cristo
Re”. Ogni potere emana da Dio, è partecipazione alla sua stessa autorità e
dipende da Lui, che è Sovrano sopra ogni cosa.
Dopo essere
stato scelto da Dio e unto da Samuele (1Sm 16, 1.13), Davide riceve una seconda
unzione da parte degli anziani di Giuda, con la quale inaugura il regno su
Giuda (2Sm 2,4). Ma il brano di oggi parla di una terza unzione in cui entrano
in scena questa volta gli anziani di Israele. Ora Davide viene riconosciuto
ufficialmente re su tutta la nazione. Lui sarà il re secondo il cuore di Dio,
prefigurando il regno senza fine che Gesù instaurerà con la sua opera di salvezza.
Il testo ai
Colossesi è un inno cristologico in cui San Paolo ci invita a ringraziare Dio
che ci concede la grazia di prendere parte al regno del suo Figlio. Come
immagine del Dio invisibile, Egli è il centro di tutto il creato e tutto
sussiste in lui. Tutto deve ruotare intorno a lui e in funzione di lui. Come
discepoli suoi, per l’azione del suo Spirito, ci viene data la grazia di
formare un solo corpo con lui, il nostro capo, e ricevere dalla sua pienezza
grazia su grazia.
Il brano del
vangelo scelto per quest’occasione ci aiuta a riflettere sul potere regale di
Gesù che, attraverso la sua morte e risurrezione, vince tutto il potere del
mondo, salvando tutta l’umanità e stabilendo il regno di Dio suo Padre. Gesù è
il re che accettò la croce come suo trono, dove mostrò il suo grande amore per
il mondo. Il suo amore, la sua compassione fino alla fine è il punto di
riferimento del nostro agire. Tutte le persone sono invitate a partecipare a
questo Regno, che è già presente tra noi e solo l’unione con Cristo ci rende in
grado di provarlo in modo concreto.
Gli
evangelisti mostrano che Gesù ha rifiutato il titolo di re nei suoi momenti
prodigiosi e l’ha accettato proprio nel momento in cui sembrava sconfitto, vale
a dire, sulla croce: “Non aveva apparenza né bellezza per attirare i nostri
sguardi” (Is 53, 2). La sua opposizione a questo titolo era dovuta alla
mentalità politica di regno, contraria al significato della sua missione. Il
suo regno non proviene da questo mondo e non può essere visto, dicendo: eccolo
qui o eccolo lì. Esso segue una logica diversa: non si vede ma c’è, non chiama
l’attenzione ma è efficace nella sua azione.
Gesù ammette
che è re. Però, un re strano, un re sulla croce, un re umiliato, un re che
muore amando. Quindi, “un re giustiziato, ma non vinto; che noi possiamo
rifiutare, ma che non ci rifiuterà mai. E la risurrezione è la conferma che un
amore così non andrà mai perduto”. Gesù è un re che si fa servitore dei suoi:
“sono venuto per servire e non per essere servito”. La sua corona e il suo
trono esprimono la potenza dell’amore che ha motivato tutta la sua vita. Mentre
è sulla croce gli viene chiesto di salvare sé stesso affinché quella gente
possa credere in Lui. Ma questa è la logica dei regni di questo mondo dove
ciascuno pensa a sé stesso e si mostra meglio dell’altro.
Gesù non ha
bisogno di salvare sé stesso perché non è venuto per questo. Durante tutta la
sua vita ha vissuto per gli altri, pensato solo agli altri e donato tutto senza
prendere niente. Anche se non ha definito cosa sia il Regno di Dio, lo ha
mostrato presente nel mondo nella sua stessa persona. Ci ha invitato a fare
l’esperienza della sua presenza e vicinanza attraverso l’appello alla
conversione. Il Signore ha vissuto la
sua regalità non esercitando il potere sugli altri, ma offrendo la sua vita
fino alla morte, spendendo tutto se stesso per gli uomini: la sua regalità l’ha
vissuta nel servizio e proprio per il suo amore gratuito è stato risuscitato
dal Padre e costituito Re dell’universo.
Noi che siamo suoi discepoli, abbiamo ereditato questo messaggio. Tocca a noi l’impegno di collaborare affinché i valori del regno si diffondano sempre di più tra la gente. Anche se il regno non è da questo mondo, è proprio per questo mondo, il quale ha tanto bisogno di cambiamento. Nonostante questo, con uno sguardo ottimista, possiamo trovare molti segni della presenza del regno nella nostra società, come scriveva S. Paolo VI: “i valori che il regno annuncia sono vissuti dalle culture dei popoli e l’evangelizzazione non può raggiungere esito se questi valori vengono trascurati”. Siccome la gloria di colui che seguiamo passa per l’offerta di sé, ci sentiamo uniti a lui e rendiamo visibile il suo regno solo se accogliamo la sua logica di dono totale al Padre e ai fratelli.