Riflessione su Gv 13, 31-35
Il contesto
del brano del Vangelo è quello dell’ultima cena in cui Gesù istituisce
l'Eucaristia, il sacramento che unisce per sempre l’amore e il servizio. Amore
che non diventa servizio non è un vero amore e il servizio senza amore non ha nessun
valore, come ci ricorda l’apostolo Paolo: “E se avessi il dono della profezia e
conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della
fede così da trasportare le montagne, ma non avessi l’amore, non sono nulla” (1
Cor 13:2).
Gesù sapeva
che era giunta la sua Ora, che comprende la sua passione, morte e risurrezione.
Attraverso quest’Ora Egli darà gloria al Padre e adempirà la sua opera di
salvezza. Da parte dei suoi discepoli, quest’Ora diventa il momento cruciale;
essi devono decidere se continuare la missione del maestro oppure no.
L’evangelista Giovanni menziona il momento giusto in cui Giuda prende la sua
decisione: lascia il luogo di intimità con Gesù e con gli altri ed è
inghiottito dalla notte, cioè, dal dominio delle tenebre. Allo stesso tempo
però, Gesù annuncia la sua vittoria su queste stesse tenebre: “Ora il Figlio
dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui”.
Il dialogo di
Gesù e Giuda e l’uscita dal cenacolo di quest’ultimo sono preparazione per la
rivelazione che avrà luogo più tardi, quando consegnerà ai suoi il comandamento
nuovo dell’amore. È molto interessante il modo con cui Gesù si rivolge ai suoi
discepoli: figlioli. Egli parla con loro come una madre e un padre fanno con i
loro figli. Condivide con loro i suoi
sentimenti più profondi e la cosa più importante da custodire per rimanere in
lui e lui in loro: il suo amore.
I discepoli
avevano un’idea di questo comandamento perché esso era già presente nella Legge
Mosaica, ma sono chiamati a viverlo in modo totalmente nuovo, secondo ciò che Gesù
ha loro insegnato. Nuovo vuol dire “inedito”, “migliore”, “non ci sarà mai un
altro come questo”. Oltre a consegnare questo grande tesoro, Gesù mostra loro
come vivere questo dono. Loro devono amare non tanto quanto il maestro, impossibile
alle loro forze, ma come lui, cioè, con lo stile suo. Il loro modo di amare
deve realizzarsi servendo nella gratuità, prendendosi cura a vicenda, fino al dono
totale di sé.
Gesù ama i
suoi discepoli fino a donare la vita per loro; infatti, Egli non sa amare in modo
diverso. E’ per amore che Dio ha dato il suo unico Figlio per la salvezza del
mondo. È stato l’amore a motivare la sua missione in ogni istante e sarà l’amore
a dare senso ed identità ai suoi discepoli. Tramite l’amore come lo ha vissuto
il loro maestro saranno riconosciuti da tutti come suoi discepoli.
L’amore
vissuto tra noi deve essere espressione di ciò che crediamo e così diventa
anche la prima testimonianza da portare al mondo, come accadeva riguardo i
primi cristiani di cui si diceva: “Guardate come si amano!” (Tertuliano) La
loro vita ci fa capire che “Non basta essere credenti, dobbiamo essere anche
credibili” (Rosario Livatino). E solo saremo credibili se permettiamo che sia
l’amore di Cristo a motivare i nostri rapporti, i nostri atteggiamenti e le
nostre azioni. L’amore è strumento di comunione; è ciò che ci unisce a Dio che
ha voluto rimanere tra noi come amore. Questo amore deve essere la centralità
della nostra vita e il senso della nostra missione. Solo tramite questo amore
possiamo donarci come Cristo e fare nuovi discepoli per lui, riconoscendo che
non siamo noi a fare delle opere, ma che è lo stesso Dio a operare in noi e
attraverso di noi.
Fr Ndega
Revisione dell'italiano: Giusi
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